Nella foto: Isabella Droandi. Foto di ©Serse Luigetti.

Medievista, storica dell’arte e restauratrice in Arezzo, è stata un’infaticabile protagonista del ritorno a casa di dipinti medievali nati nel territorio aretino

Un’opera d’arte non nasce soltanto una volta. Se è stata concepita secoli or sono, se è finita lontano dai luoghi in cui aveva visto la luce, se se ne sono perse le tracce, riscoprirla equivale a una rinascita. Quando poi si riesce anche a riportarla “a casa”, insieme a essa rinasce l’intero contesto storico e artistico che aveva creato le condizioni affinché vedesse la luce. Non solo. A rinascere è l’intera comunità che in quel contesto affonda le proprie radici e che in esso ripone la propria identità culturale.

I “ritorni” a casa dei dipinti medievali del territorio di Arezzo erano diventati la sua passione, lo scopo della sua vita. Un’impresa difficile, resa ardua da mille insidie, caratterizzata da indagini complesse, sottoposte alle contaminazioni, ai vizi del mercato internazionale dell’arte. Sopraffatta da una malattia più forte della sua tenacia e della stessa caparbia che metteva nel lavoro, Isabella Droandi ci ha lasciati quattro mesi fa. Aveva 67 anni. Andandosene ci ha lasciato il suo insegnamento, il suo stile, la sua generosità. Qui la vogliamo ricordare.

Ecco quello che scrisse in qualità di curatrice della mostra RITORNI, dedicata alla cosiddetta “Madonna Sarti”. L’opera dipinta da Andrea di Nerio, pittore aretino del XIV secolo, di cui Isabella Droandi era diventata specialista, fu esposta per circa due mesi (2.12.2015 – 31.01.2016) nella Casa Museo Ivan Bruschi di Arezzo. “Se gli affreschi ritrovati sotto vecchi intonaci e imbiancature sovrapposte sono rimasti al loro posto, lo stesso destino non è toccato alle opere di natura mobile come i dipinti su tavola. Il gusto antiquariale del collezionismo sette-ottocentesco, soprattutto straniero, ha messo in movimento un’enorme quantità di opere medievali, allontanandole dall’Italia… È ormai ben noto che, un po’ ovunque da noi, artigiani scriteriati incendiavano perfino le tavole dipinte del Due-Trecento, per recuperare la foglia d’oro dei fondi. Ed è un fatto che, ad Arezzo, le tavole del periodo tra il 1300 e il 1380 rimaste in loco si contano davvero sulle dita di una mano. Il ritorno ‘a casa’ di un’opera fondamentale nella ricostruzione dell’ottimo pittore Andrea di Nerio, oggi riconosciuto senza esitazioni come il maestro di Spinello Aretino, si verifica per la prima volta in assoluto e costituisce solo per questo un vero evento per la città”.

Foto: Andrea di Nerio e bottega – Andata al Calvario (1365_75) – Foto ©Pasquale Episcopo

La mostra della Madonna con Bambino custodita a Parigi dall’antiquario Giovanni Sarti “opera di straordinaria qualità artistica, notissima nel mondo accademico ma non altrettanto al grande pubblico” aveva lo scopo di diffondere la conoscenza di Andrea di Nerio e di salvaguardarne la memoria da parte degli abitanti della città in cui fu dipinta, consentendo accostamenti e confronti con altri dipinti dell’artista custoditi ad Arezzo: l’Annunciazione conservata al Museo Diocesano, l’affresco con i Santi Francesco e Domenico della Pieve di Santa Maria e l’Imago Pietatis del Museo Nazionale d’Arte Medievale e Moderna.

Ma chi era Isabella Droandi?

Storica dell’arte, medievista, esperta di conservazione e restauro di dipinti su tavola, tela e scultura lignea policroma, è stata curatrice di numerose mostre e riviste specializzate. Dal 1998 al 2008, delegata del Fondo Ambiente Italiano di Arezzo. Nel 2008 aveva curato il convegno “L’ingegno e la mano. Restaurare il mai restaurato. Il restauro della Pala Albergotti di Giorgio Vasari nella Badia delle Sante Flora e Lucilla di Arezzo”. Nel 2011 aveva curato il volume “In nome di buon pittore. Spinello e il suo tempo”, atti del convegno dedicato alla memoria degli storici dell’arte Luciano Bellosi e Miklòs Boskovits. Aveva poi collaborato al restauro del Cenotafio Tarlati (2016), affresco collocato nella navata sinistra del Duomo immediatamente prima di quello, celeberrimo, con la Maddalena di Piero della Francesca. Nel 2020 aveva contribuito al restauro del Polittico di Pietro Lorenzetti della Pieve di Arezzo.

Veniamo ora alla riscoperta, in Germania, di tre dipinti di cui si erano perse le tracce e che proprio grazie a Isabella Droandi sono stati di recente (2016) attribuiti ad Andrea di Nerio e alla sua bottega. Nel 1931 erano stati acquistati da Carl Neumann, imprenditore e collezionista di Wuppertal, come opere di Taddeo Gaddi, allievo di Giotto. Oltre ad opere di arte antica, Neumann possedeva dipinti di Monet, Van Gogh, Cézanne, Signac, Marc, Macke, Nolde. Nel 1944 gran parte della sua collezione andò perduta a causa dei bombardamenti su Wuppertal. Per ricostruire le sue aziende Neumann vendette le opere sopravvissute, ma non le tre tavolette medievali. Nel 2020, dopo una lunga e complessa trattativa tra il Ministero della Cultura e una nota Casa d’Aste di Monaco di Baviera, le tavolette sono state vendute allo Stato italiano. Oggi sono esposte nel Museo nazionale di Arte medievale e moderna di Arezzo. Pochi mesi prima di lasciarci, Isabella delle tre tavolette aveva parlato in un articolo pubblicato nel periodico “Notizie di Storia”, semestrale della Società Storica Aretina. Di seguito ne riportiamo un ampio brano.

Conoscevo le tre tavolette raffiguranti Andata al Calvario, Crocifissione e Deposizione dalla croce da molto tempo. Pubblicate prima dallo storico dell’arte Pier Paolo Donati dietro segnalazione di Luciano Bellosi, e più tardi da Miklós Boskovits, erano state impegnate nella ricostruzione virtuale di un paliotto smembrato con nove Storie della Vergine e di Cristo, ricomposto ipoteticamente con foto in bianco e nero conservate nella fototeca del Kunsthistorisches Institut di Firenze. Quasi tutte opere di ubicazione ignota o incerta, anche se di provenienza artistica riconoscibile come aretina. Quando di recente ricevetti una e-mail, con allegate tre foto a colori digitali in alta definizione, da una casa d’aste tedesca che mi chiedeva cosa ne pensassi, non credevo ai miei occhi: eccole allora! Qualcuno, dunque, le aveva trovate e se ne occupava, reimmettendole sul mercato antiquario internazionale; e me le mostrava per la prima volta, danneggiate da precedenti restauri, ma nei loro bei colori e forme, sopravvissuti nel tempo. In collaborazione con il dottor Pasquale Episcopo, al tempo consulente della casa d’aste in questione, ricostruimmo con entusiasmo le loro vicende, fino al momento in cui fu deciso di sottoporle al direttore del Polo Museale della Toscana, il dott. Casciu, in vista di una possibile acquisizione per la loro città di provenienza, Arezzo. Sappiamo come è andata… una bella vicenda finita bene. Arrivate infine al museo aretino, l’amica e collega Rossella Cavigli, funzionario restauratore del Polo museale toscano, le ha sottoposte ad un’attenta revisione dello stato di conservazione e a quello che possiamo definire un restauro ‘gentile’, cioè a un leggero intervento che ne migliorasse la leggibilità senza forzature di alcun genere. Rivedendole adesso, una ad una, pur attraversate da una vicenda conservativa che le ha segnate in modo sostanziale, non si può non accorgersi dell’evidente buona qualità pittorica e delle notevoli capacità di descrizione e introspezione, che si faceva fatica a riconoscere nelle riproduzioni fotografiche in bianco e nero. Le tre scene presentano unità di stile e omogeneità narrativa, connotate da una pacata tensione drammatica – tipico imprinting di Andrea di Nerio – che dalla concitazione delle figure accalcate nella Salita al Calvario, va a distribuirsi simmetricamente ai lati del Cristo morente sulla croce, per precipitare infine nell’atmosfera rarefatta della Deposizione. In ognuna di esse (cm 30×40 circa) i piccoli volti, quasi miniature, sono accurati, vari e descritti come ritratti dal vero, e ai loro sguardi sofferenti è affidata la tensione che carica ogni scena. Una particolare sensibilità coloristica si dipana dall’una all’altra contro i fondi oro, con contrappunti di colori caldi e freddi bilanciati da inusuali colori pastello. Numerosi sono i rimandi all’opera di Pietro Lorenzetti, che tanta suggestione doveva aver impresso alla formazione giovanile di Andrea di Nerio”.

I funerali di Isabella Droandi hanno avuto luogo, ad Arezzo, il 23 ottobre scorso, proprio all’interno della Pieve dove oggi, grazie anche al suo lavoro di restauratrice, possiamo ammirare il Polittico del Lorenzetti in tutta la sua magnifica bellezza.