Nella foto: J.J. Winckelmann. Foto di ©Wikipedia

Roma, ovvero il contatto vivo con i tesori dell’antichità

La guida indiscussa per Goethe in Italia

Roma, 13 dicembre 1786

Stamane mi caddero sotto mano le lettere scritte d’Italia da Johann Joachim Winckelmann. Con quale commozione intrapresi la lettura. Sono trascorsi 31 anni, dacché egli veniva qui per la prima volta, povero diavolo quale io sono, ma ricco di serietà tedesca, di amore per l’antichità e per l’arte. Quanto e come stupendamente egli ha lavorato! Come mi è sacra la memoria di un tanto uomo ed in questa località”.

Forse non c’è una presentazione di Winckelmann così sintetica ed eloquente come questa di Goethe, che si trova a Roma da circa un mese e mezzo, guidato nella sua visita alle antichità classiche dagli scritti dello studioso tedesco. E riconoscerà spesso nel suo diario la propria totale dipendenza da Winckelmann, citando i suoi scritti “sullo stile sublime dei Greci” (13 gennaio 1787) , sul suo eccezionale lavoro di raccolta di reperti antichi (15 gennaio 1787), sulla sapiente distinzione delle varie epoche e dei vari stili (28 gennaio 1787). Tutti apprezzamenti che il “suo allievo riconoscente”, quale si professa Goethe (28 aprile 1787), si sente in dovere di rinnovare ammirando stupefatto la Valle dei Templi di Agrigento, una meraviglia che il Winckelmann aveva invano desiderato contemplare, “trascorrendo qui il resto dei suoi giorni”.

Tanta è la sua devozione per lo studioso tedesco che nel suo andare tra antichità ed oggetti d’arte pone una costante attenzione “a non scostarsi minimamente dalla traccia segnata dal Winckelmann, che gli serve di guida sicura” (3 maggio 1787)”.

Quali le ragioni di questa affinità elettiva?

Roma, un sogno per Winckelmann

Nato a Stendal, città della Sassonia, nel 1717, da famiglia molto povera, compie un corso di studi piuttosto irregolare, poi trova impiego come precettore in case private e come insegnante di grammatica in scuole pubbliche. Ma sono anni di poche soddisfazioni e di molta pena, finché non viene assunto come bibliotecario nel 1748 dal conte Heinrich von Bϋnau, politico, storiografo ed erudito, proprietario a Nöthnitz, vicino a Dresda, di una delle più importanti biblioteche private di tutta Europa. Là stringe amicizia con Johann Michael Francke, addetto alla catalogazione, ed impara a comprendere il valore delle biblioteche, ad apprezzare le più pregiate edizioni di testi, a cogliere la bellezza delle legature.

Nella vicina Dresda, capitale del regno di Sassonia, splendida città d’arte e di cultura, ha modo di visitare la Galleria di corte, una delle più prestigiose pinacoteche del mondo, in cui può ammirare con i propri occhi, da solo e nel silenzio dei giorni festivi, le statue antiche ed i capolavori della pittura europea del Rinascimento e del Classicismo. Si forma così delle solide e vaste competenze apprezzate dal nunzio apostolico di Dresda, Alberico Archinto (1698-1758), che gli fa conoscere il gesuita Leo Rauch (1696-1775), confessore del principe elettore nonché re della Polonia Augusto III. In questo ambito matura il progetto di organizzare un viaggio in Italia per Winckelmann, ritenuto fondamentale per approfondire la sua formazione a diretto contatto con i tesori dell’antichità.

Roma, luogo ideale dello spirito, scrigno di tesori artistici e di memorie del passato, contesto di studi appassionati e di grandi sollecitazioni artistiche e culturali, era da tempo divenuta la “meta delle mete”, un sogno, un mito.

La conversione vale il viaggio in Italia

È un sogno che si sta realizzando per il giovane studioso tedesco, grazie al convinto sostegno del gesuita Rauch, che gli assicura l’appoggio finanziario del re, e per l’interessamento del cardinale Domenico Silvio Passomei (1682-1761), che gli organizza il soggiorno romano con la speranza di farlo suo collaboratore.

Ma la condizione per avere questi appoggi privilegiati è la conversione al cattolicesimo, in un tempo in cui tali passaggi, in ambienti intellettuali e aristocratici, non erano infrequenti. Basti ricordare gli esempi dei re Federico Augusto I e di suo figlio Federico Augusto II, convertitisi alla fede cattolica romana per avere il titolo di re della Polonia, o quelli del principe tedesco Christoph Rantzau, consigliere della Corte imperiale, e della regina Cristina di Svezia nella seconda metà del Seicento.

Winckelmann non giunge a questa decisione in preda a chissà quali dubbi od angosce. Mette in conto le possibili reazioni di certi ambienti luterani, ma l’amore per l’arte, la realizzazione della sua più intima vocazione, la ragione e la morale che guidano il suo operare sono indubbiamente più forti e lo portano, l’11 giugno 1754, alla professione di fede davanti al nunzio Archinto e al gesuita Rauch. Goethe giustifica questa sua scelta: “Una decisione che si armonizza perfettamente con la sua volontà, il suo desiderio, la necessità, così da raggiungere la piena unità e completezza di sé medesimo”.

Come è stato detto, “Winckelmann non fu luterano, se non per nascita, e non sarà mai cattolico, se non per l’attestato che portava in tasca”.

La preparazione del viaggio

Gli si aprono così le porte dell’Italia. Si licenzia dal conte von Búnau, approfondisce le sue conoscenze artistiche, stringe amicizia con l’archiatra di corte Giovanni Ludovico Bianconi, frequenta la Biblioteca reale e la Galleria d’arte di Dresda e soprattutto scrive un opuscolo, “Pensieri sull’imitazione delle opere greche della pittura e della scultura”, pubblicato a sue spese nel 1755, che ha subito un successo straordinario ed inatteso.

Winckelmann, nel definire la bellezza della forma d’arte, usa per la prima volta l’espressione “di nobile semplicità e di quieta grandezza”, che diventerà celebre riferita in particolare all’arte greca. Inoltre esorta tutti a considerare con occhi nuovi le opere antiche per coglierne le capacità espressive ed invita gli artisti a creare opere moderne nello stile e nello spirito degli antichi. Non più sola erudizione, ma rinnovamento delle conoscenze e dei criteri estetici.

Si attende molto dalla sua permanenza a Roma: l’arricchimento delle conoscenze, lo studio delle tecniche artistiche, i contatti con artisti e persone colte, lo sviluppo delle sue concezioni estetiche. Parte con un sussidio annuo di 200 talleri per due anni, concesso dal re Augusto III. Un budget piuttosto risicato. Ma lo studioso tedesco non avrebbe più lasciato Roma, se non per un soggiorno a Firenze e per qualche viaggio a Napoli, Taranto e in Sicilia.

L’itinerario scelto

Parte da Dresda il 24 settembre 1755, animato non da interessi di ambito naturalistico o sociale oltre che culturale, come sarà poi Goethe, ma concentrato unicamente sulla ricerca e sullo studio di fonti e di antichità classiche.

L’itinerario scelto, quello solito di tutti i viaggiatori che scendevano dalla Germania del Nord Est a Venezia, lo descrive puntualmente in due lettere del 7 e del 20 dicembre 1755, inviate a J. M. Francke, catalogatore alla biblioteca di Nöthnitz, e a Hieronimus Dietrich Berendis, suo compagno di studi e di insegnamento. Quindi da Dresda ad Eger, Amberg, Ratisbona, Neuburg sul Danubio “con il postale speciale, insieme ad un giovane Gesuita, in una compagnia molto penosa”.

Winckelmann, timido e riservato, vissuto al chiuso degli archivi e delle biblioteche, non è abituato alla vita di società e non dimostra il necessario spirito di adattamento alle nuove situazioni. Lo consolano “l’ottimo vino del Reno, fornito dal suo compagno di viaggio, figlio del cantiniere di Corte, e la rete di ospitalità offerta dai Collegi dei Gesuiti, dove si viene trattati “magnificamente”. A Ratisbona, mentre Goethe nel suo diario di viaggio fa un elogio dello stile e della religiosità dei Gesuiti ed apprezza una recita teatrale, Winckelmann visita la biblioteca del Conte de Palm, destinata a diventare una delle più grandi biblioteche private, ma con i volumi rilegati molto ordinariamente “in pelle di porco”.

Ad Augusta trova infine, con qualche difficoltà, un avventuroso passaggio in carrozza per l’Italia, “costretto a partire con un cantante castrato ed una coppia di genitori con 2 bambini piccoli, in una vettura stracarica davanti e dietro”, diretta al Brennero.

Non ci sono tante altre cose che lo interessano, solo l’ardente desiderio di giungere a Roma, dove sarebbe stato appagato della sua sete di sapere, avrebbe potuto toccare con mano i capolavori dell’antichità ed avviare nuovi percorsi di estetica e di spiritualità.

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