Foto: La canzone di Salomone n.11, Egon Tschirch, 1923, common.wikimedia.org

La terza parte dell’Antico Testamento comprende i libri che vengono chiamati sapienziali.

Il genere letterario della sapienza (in ebraico chokma e in greco sophia) è una particolarità della letteratura religiosa dell’Egitto e dell’Oriente antico. Nella visione dell’Antico Testamento la sapienza è qualcosa di originario, ma anche qualcosa che si può imparare. Si tratta di un dono divino, come pure di una competenza intellettuale che si può ottenere mediante l’esperienza e la riflessione critica. Questo sapere permette di affrontare situazioni di crisi, di superarle e quindi riuscire a condurre una vita in pienezza sia come individuo che come comunità. Alla base di questa idea si trova la convinzione che ciò che l’uomo compie e la ricompensa che ottiene sono in relazione diretta: il giusto riceverà un premio, il malvagio una punizione. La riflessione biblica presenta testi che sostengono questa idea – Proverbi, Sapienza, Siracide – e altri che la mettono in crisi e la discutono – Giobbe, Cantico dei Cantici, Qoelet.

Il libro sapienziale per eccellenza è quello di Giobbe, composto da una serie di discorsi inseriti in una cornice narrativa allo scopo di provare a rispondere alla questione della teodicea, ovvero alla domanda: come è possibile che il giusto soffra se Dio è fondamentalmente buono. Nel prologo del libro Giobbe viene presentato come modello di uomo pio e giusto. Poiché Dio si lascia convincere dall’accusatore del genere umano, il Satana, che fa parte della sua corte celeste, a fare una scommessa sulla fede degli uomini, il giusto Giobbe perde famiglia, possedimenti e salute, ma non perde la fede. Dio ha vinto la sua scommessa, ma la storia di Giobbe continua con l’arrivo di un gruppo di amici che vogliono – a modo loro – consolarlo.

Nei dialoghi viene discusso il rapporto intrinseco tra giustizia e fede, fortuna e sfortuna, destino e provvidenza. Le argomentazioni degli amici rispecchiano le normali idee trasmesse dal pensiero sapienziale: tra l’azione dell’uomo e il suo destino vi è sempre una connessione necessaria; Dio ricompensa sempre in maniera giusta e il dolore è una punizione, che non è però duratura. Un ultimo amico sottolinea la funzione pedagogica della sofferenza: la sofferenza serve a maturare. Dio stesso prende infine la parola, inserisce la sofferenza di Giobbe in un contesto più ampio e lo ricompensa restituendogli salute, possedimenti e figli. Una vera risposta al problema della sofferenza del singolo non viene data. Il Dio sapienziale può essere una figura minacciosa che colpisce fino nel profondo dell’esistenza dell’uomo. La sua forza creatrice che stabilisce ordine, può anche avere una forza distruttiva.

Il libro dei Proverbi è l’esempio più importante e completo della letteratura sapienziale intesa come raccolta di consigli pratici per affrontare le situazioni della vita. Questa sapienza assieme alla categoria della giustizia divina e del timore di Dio è la base per l’orientamento della vita.

Il libro del Qoelet – termine che in ebraico non è un nome proprio ma identifica il predicatore nell’assemblea – fornisce l’unica riflessione filosofico-sapienziale dell’intera Bibbia. Se tutto è effimero – si chiede questo filosofo ebreo – cosa guadagna l’uomo per tutta la sua fatica? Il Qoelet afferma che “ogni cosa ha il suo tempo”, ma che questo non può essere conosciuto dall’uomo. Questa consapevolezza conduce a una certa rassegnazione.

L’opera di Dio è infatti incomprensibile all’intelletto umano, l’uomo deve quindi solo cercare di dare il meglio di sé e di arrivare al miglior risultato possibile a partire dalle condizioni in cui si trova. Il concetto tradizionale di sapienza viene così relativizzato. Non c’è una soluzione univoca, la sapienza si deve riconfermare nuovamente in ogni situazione.

Lo stesso concetto emerge anche dal libro biblico più discusso in assoluto: il Cantico dei Cantici. Una serie di poemetti erotici dove due amanti si cercano, si trovano e si amano diventa simbolo del nuovo rapporto tra Dio e il suo popolo. La sapienza non è solo un’attività intellettiva, ma anche – e secondo il Cantico – soprattutto un momento sensuale, dove il sentimento – anche quello più naturale come quello erotico – può aiutare a comprendere il mondo e il divino.