Nell’ultimo Angelus del suo breve pontificato, due giorni prima della morte, lascia questo messaggio in risposta a due episodi di violenza accaduti a Roma, e alla domanda: cosa fare per migliorare la società. Dice: “Ciascuno di noi cerchi di essere buono e di contagiare gli altri con una bontà tutta intrisa della mansuetudine e dell’amore insegnato da Cristo”

È sera in piazza san Pietro, quando, dal comignolo sopra la Cappella Sistina, esce, per la seconda volta quel giorno, il fumo. Sembra bianco, poi, tra lo stupore generale, diventa nero e, subito dopo, grigio. L’incertezza regna per un po’ di tempo fino al suono del campanone della basilica e all’annuncio del cardinale Pericle Felici: habemus Papam. Sono passati 20 giorni dalla morte di Paolo VI e, nella Cappella Sistina, si sono trovati, l’uno accanto all’altro, quattro futuri Pontefici: i cardinali Luciani, Wojtyla, Ratzinger e Bergoglio.

Sceglie di chiamarsi, Luciani, con i nomi dei suoi due predecessori, Giovanni XXIII e Paolo VI, come dirà lui stesso il giorno dopo affacciandosi sempre dalla loggia centrale della basilica per l’Angelus.

Ma quel 26 agosto 1978 – l’anno dei tre Papi – il Papa appena eletto appare quasi incredulo per la nomina: sono le 19 e 18 minuti. Il suo volto manifesta stupore; il suo sguardo sembra cercare tra la folla quasi una sorta di conferma.

Era andato a votare in Sistina “tranquillamente” dirà all’Angelus: “mai avrei immaginato quello che stava per succedere”. Humilitas era il motto che aveva scelto già da Patriarca di Venezia, e quella parola segnerà tutto il suo breve Pontificato: 33 giorni, il tempo di un sorriso, titolerà, il giorno della sua morte, il quotidiano parigino Le Monde.

Si capisce subito che il suo sarà un modo nuovo di guidare la chiesa: chiama accanto a se un giovane chierichetto maltese, James, per parlare del comandamento onora il padre e la madre. Nella seconda udienza generale, il 13 settembre, recita una poesia di Trilussa per riflettere sulla fede. Il 23 settembre compie la sua unica uscita dal Vaticano per la presa di possesso della Cattedrale di Roma. Incontra il Sindaco della città Giulio Carlo Argan e gli recita, come risposta al discorso di saluto, una preghiera che recitava con la madre quand’era fanciullo: “I peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio sono: opprimere i poveri, defraudare la giusta mercede agli operai”. Decisamente non usuale come risposta.

Luciani era fatto così, la sua umiltà e semplicità hanno subito conquistato romani e credenti di tutto il mondo.

Come non ricordare, ad esempio, l’immagine della formichina su una pietra nera in una notte nera, “ma Dio la vede, non la dimentica” perché egli “è papà, più ancora è madre”. Erano i giorni in cui a Camp David, i presidenti Carter e Sadat, e il premier israeliano Begin erano impegnati nel tentativo di portare la pace in Medio Oriente, e Papa Luciani, guardando a quell’evento, sceglie le parole del profeta Isaia per augurare la positiva conclusione di quel vertice.

Nell’ultimo Angelus del suo breve pontificato, due giorni prima della morte, lascia questo messaggio in risposta a due episodi di violenza accaduti a Roma, e alla domanda: cosa fare per migliorare la società. Dice: “Ciascuno di noi cerchi di essere buono e di contagiare gli altri con una bontà tutta intrisa della mansuetudine e dell’amore insegnato da Cristo”.

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