Nella Foto: Flavia Vezzaro e don Angelo “lavorando per la Missione”

La cosa più importante è esserci e poi la lingua è spesso il primo strumento di contatto, per questo è essenziale la presenza di una missione di lingua italiana per poter essere trovati e raggiunti da chi ha bisogno

Non esiste, o quanto meno io non lo possiedo, un manuale per essere un buon referente pastorale. Chiaramente è una missione che richiede una formazione seria e prevede compiti precisi e ben strutturati. In Italia questo ruolo comincia timidamente a delinearsi all’orizzonte, mentre qui in Germania esiste ormai da molti anni. È un ruolo delicato quanto prezioso, difficile quanto meraviglioso, un ruolo a cui si viene “chiamati” e sappiamo benissimo che molte volte Dio si diverte nel non chiamare quelli “quelli fatti apposta per quel compito” ma misteriosamente sceglie anche chi si sente e, magari lo è davvero, debole e fragile. È il suo modo di fare…ed è anche divertente. Ti ritrovi a servizio di una comunità che è terra sacra, devi entrarci in punta di piedi, togliendoti i calzari. Ogni volto, ogni nome, ogni storia è qualcosa che ti riguarda, diviene parte di te senza se e senza ma. È un’esperienza talmente grande che riempie, non solo il mio cuore, ma ogni mia cellula, ogni singolo giorno.

Fondamentale è esserci

Esserci proprio fisicamente: esserci quando squilla il telefono alle due di notte per dire che una mamma sta morendo e, chi ti chiama, anche se si tratta di una donna adulta, ha il cuore a pezzi e ha bisogno di qualcuno che ci sia anche solo per ascoltare le sue lacrime. Esserci quando una persona stanca, sfinita, persa, bussa alla porta della missione per dirti “Sono tre giorni che cammino e vorrei trovare mio fratello che non vedo da sette anni, sono venuto dall’Italia apposta”. Esserci quando una giovane mamma chiama e ti dice d’essere appena arrivata, sola, con tre bambini piccoli, e che non parla una parola di tedesco e ha bisogno d’aiuto per registrarsi all’anagrafe. Esserci quando i figli non comprendono più i genitori o i genitori non ritrovano più i figli… e potrei dare avanti ancora.

Avere tempo

Molte volte parlando con don Angelo, il sacerdote della mia missione, lodo Dio perché il mio lavoro, oggi, mi permette di fare ciò che un tempo facevo nel mio tempo libero. Oggi posso invece porre tutto il mio tempo a “servizio del servizio”. A cominciare dalle piccole cose come andare a parlare con gli insegnati del figlio della signora che non parla tedesco o a fare la spesa per una persona in difficoltà, e magari anche portare fuori il suo cane. Non sono un’assistente sociale, non è il mio compito né ciò che sono chiamata a fare e non sarei in grado d’esserlo. Faccio spesso da ponte e connetto la persona che ha bisogno d’aiuto pratico, assistenziale, materiale, spirituale, con coloro che sono in grado di fornirlo.

Chiunque bussa viene accolto

Un’altra cosa importante è che il mio servizio non è riservato solo ed esclusivamente alle persone appartenenti alla mia Chiesa. Chiunque bussa viene accolto che sia cattolico o evangelico, buddista o musulmano, non chiediamo mai l’appartenenza a questa o quella fede. Il punto essenziale, il più delle volte, è però la lingua.

“Parlate italiano, vero?”

“Parlate italiano, vero? Potete aiutarmi?” Con queste parole nacque un bellissimo rapporto con una signora musulmana la quale ogni volta che mi saluta mi dice “Che Dio ti benedica!”. La lingua è spesso il primo strumento di contatto, per questo è essenziale la presenza di una missione di lingua italiana, per poter essere trovati e raggiunti da chi ha bisogno. Non importa davvero da dove le persone vengano, che storia o ruolo, identità, nazionalità o religione uno abbia. Sono figli di Dio e dunque fratelli. Questo è il cuore di tutto: hai bisogno di aiuto? Stai attraversando una tempesta? Sei solo, triste, perso? Suona il campanello, noi ci siamo. Noi, dico, perché ciò che sto dicendo viene condiviso con il mio responsabile don Angelo Ragosta e con la segretaria della Missione Rosaria Caramazza.

Vi è un’enorme sete di Dio

Naturalmente siamo una missione di lingua italiana cattolica e dunque, oltre la lingua, al centro c’è la fede. Poter essere accanto alle persone per parlare a loro di Dio o per parlare con loro a Dio è un privilegio incommensurabile. Vi è un’enorme sete di Dio in ogni persona, una sete bruciante, di cui la persona a volte non ne è neppure consapevole, una sete che non viene riconosciuta, una sete che è insita, tanto quanto il DNA, in ogni essere umano. Non mi è capitato di non trovarla e per questo sono infastidita da tante parole che raccontano l’indifferenza dell’umanità nei confronti di Dio.

“Siamo fatti per Te” scriveva Sant’Agostino e questa è una verità che non muta. Siamo fatti per Dio e di Lui abbiamo sete e, a volte, il mio compito è proprio quello di rivelare quella sete, di lasciare che colui o colei con cui sto interagendo, l’avverta dentro di sé e, quelli, sono momenti da contemplare.

Molte volte la fede viene trasmessa automaticamente

Spessissimo mi accade di incontrare persone che hanno ricevuto un grande dono che, però, può divenire anche un grande ostacolo: il battesimo. Cristiani si diventa e lo si diventa per un’adesione personale, che è quello che chiediamo ai nostri giovani, durante il cammino che li prepara al conferimento del sacramento della confermazione, ma che vale per tutti. Sei nato in una famiglia che ha chiesto per te il dono del battesimo…ma Dio chi è per te?

Non dovremmo mai smettere di chiedercelo e di chiederlo. O scopriamo in noi la sete di Dio oppure il battesimo ricevuto diviene un ostacolo alla ricerca, alle domande di senso, al sentire la sete. “Sono battezzato, ho ricevuto tutti i sacramenti e vado anche a Messa tutte le domeniche, sono a posto così!”, sento dire. Molte volte la fede viene trasmessa quasi automaticamente. In questi momenti mi scopro insistente quanto una venditrice porta a porta. “No, non va bene così. Ti presento qualcuno di cui ti sentirai assetato”. Certamente ho ricevuto dei rifiuti, come accade ai venditori porta a porta, ma so bene che i semi vanno solo e sempre seminati, il tempo dei frutti non compete a me. E questa consapevolezza mi dona una grande libertà.

Fondare tutto in Dio

Infine, nulla di ciò che sono e dunque faccio, sarebbe possibile se non fondassi il tutto in Dio. Le mie giornate sono scandite e tessute sulla trama della preghiera, quella della chiesa con la liturgia delle ore che mi fa sentire profondamente unita, un solo corpo con ogni sorella e fratello che con me ogni giorno si rivolge a Dio. È come il sangue che mi scorre nelle vene ed è importante proprio perché è comune, ogni giorno tutti, preghiamo con gli stessi salmi, leggiamo la medesima lettura. Poi c’è la meditazione, la preghiera del cuore, che è invece il mio respiro, l’ossigeno che circola in me. Il ripetere una sola parola o una semplice frase è come un ruminare, un masticare per assaporarla e riassaporarla, mentre passeggio con il mio cane, oppure nel letto per scivolare nel sonno, o nella cappella, quando sosto davanti a Lui.

Dio mi ha benedetta con un lavoro che è unico anche perché non so mai davvero quale nuovo compito mi assegnerà ogni giorno, chi porrà sulla mia strada, quali nuove sfide ed esigenze e bisogni.

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