Questo non toglie che questa possa essere una buona occasione per riflettere. Intanto sul fatto che una donna su cinque in Europa è vittima di violenza in casa. Una donna su sette, sempre in Europa, è vittima di stupro. Ancora in Europa il fenomeno dei matrimoni coatti, cioè organizzati dalle famiglie tra uomini anziani e giovanissime ragazze, molto spesso minorenni, è in piena espansione, favorito anche dal silenzio della stampa, la quale, in particolare quando si tratta di Islam preferisce tacere. Con tutto che la pratica sembra diffusa anche in Paesi e regioni non islamici del sud dell’Europa, Italia compresa.
Grazie al silenzio della stampa e al voltarsi in là della politica, vengono consumate ogni anno, sempre qui in Europa, circa diecimila cosiddette „escissioni“. Che vuol dire mutilazioni o cuciture dei genitali femminili. È una antica pratica tribale africana. Serve per impedire alle donne il piacere durante il rapporto sessuale, in modo da favorire la fedeltà coniugale. Si pensa cioè che le donne, non provando piacere, non ricerchino fuori casa rapporti non consentiti. Sono dati forniti dalla Unione europea delle donne, resi noti personalmente dalla vicepresidente della sezione francese, Martine Levy. Ogni anno in Europa, -dice l’autrice- vengono registrati circa 250mila casi di traffico di esseri umani.
E si tratta quasi esclusivamente di donne, spesso giovanissime e anche minorenni: importate come merci e avviate poi alla prostituzione nei Paesi occidentali più benestanti. Sono dati del 2011. La nostra Europa, figlia dell’Illuminismo e di Kant, figlia della cultura aperta e cosmopolita del terzo millennio tollera pratiche che non dovrebbe tollerare. Talvolta persino le sfrutta. Quasi sempre le tace. Le celebrazioni come quella dell’8 marzo fanno emergere per qualche giorno il dibattito, poi silenzio fino all’8 marzo dell’anno seguente.
Invece i vari aspetti della violenza di cui stiamo parlando meriterebbero ben più che un articolo su un giornale una volta ogni tanto. In questo senso l’informazione ha molte responsabilità, perché se il dibattito pubblico fosse vivo sui temi appena citati, anche la politica sarebbe poi costretta a muoversi. Invece sono sempre altre le priorità in scaletta. Dovrebbe fare di più l’informazione, dicevamo. Dovrebbe fare di più la politica. Dovrebbero fare di più, infine, anche le donne per denunciare la situazione.
Invece per lo più tacciono, vittime -ancora- di ricatti e intimidazioni, sia da parte della famiglia, sia da parte dell’ambiente sociale. In queste condizioni è facile prevedere che anche il prossimo anno, in occasione dell’8 marzo, ci saranno altri articoli di ricorrenza, come questo che scriviamo ora, ma la situazione non cambierà. A meno che la società civile non cominci davvero a muoversi. Lo speriamo fortemente e faremo come giornale la nostra parte, pur sapendo tra la chiacchiera e l’azione c’è di mezzo l’infinito mare.