Ma una domanda del genere può frugare anche altrove. Per esempio nel clima di tendenza, di quella che è stata la “Stimmung” alla recente Möbelmesse di Colonia, la fiera mondiale del mobile, dell´abitare e indotto. Se si parte allora da questo termometro degli umori della gente sul come e di che cosa si vive nella nicchia di rifugio dentro il privato, si nota che i popoli nel cuore d’Europa, di buono e anche di minor benessere, sono sempre più presi dalla paura di troppe cose che accadono vicino e lontano e mostrano fin dentro casa i fatti di terrore minuto per minuto. Nel senso che sempre più la gente scappa appena può da un mondo esterno inquietante e si barrica nei piccoli nidi di benessere domestico a contatto delle proprie cose rassicuranti. Alla ricerca di una protezione che taglia fuori i guai che vengono riforniti dai media dannosi alla voglia di vivere. “Lieber ganz schön für sich zu Hause wohnen und die Welt draußen lassen.”- Meglio rifugiarsi nel bel sicuro di casa propria sbattendo fuori il (resto del) mondo.

Questo è stato lo slogan volgarizzato in tutte le forme e venuto fuori un paio di settimane fa in proposte di stile e di concetto che all´esposizione di Köln gli interessati del settore mobiliere e abitativo sono venuti a mostrare al mondo, o a portarsi via come trend per i prossimi anni. E per capirli non ci vuol molto. Basti pensare ai terrorismi in nome dell’Islam di recente gravità che hanno resa la scena politica in Germania e soprattutto in Francia così perturbata. E alla replica spesso isterica, in senso di contraccusa. Si guardi ai tratti di fondamentalismo religioso – solo religioso? – che continuano a muovere emozioni di massa con spaventi uguali a senso alternato. Com’è emerso qui da noi nei fenomeni di nome “pegida” e altro, contro l`Islam di terrore e quello pacifico oltre i razzismi già presenti. Il tutto a impoverimento di interesse per la politica ufficiale che ha reagito impreparata a queste “guerre fra le culture” lontane dai partiti e dalla partecipazione ad alto impegno.

Le manifestazioni recenti che osserviamo, o in cui siamo coinvolti per forza, confermano questo disagio. Si pensi alla sfiducia verso la politica alla grande  che non interpella  le nuove generazioni, indaffarate in ben altre appartenenze. E noi italiani di Germania  sappiamo bene come la palude politica in perenne movimento può restare in realtà bloccata nell’incapacità di dare risposte nuove alla modernità dei conflitti. E quindi la fuga nel privato che protegge, attraverso scorciatoie emozionali di piazza per una stagione e poi basta. Ciò che fa risparmiare in fatica di appartenenza nella corresponsabilità pubblica. “Fermate il mondo che voglio scendere” ammoniva una canzone decenni fa, in un´Italia allora sicura di sé. Quando chi era intelligente aveva già capito che le prove generali di fuga per stanchezza dal sociale era inadeguata alle emergenze nazionali. Poi qui in Germania si vide subito il morire dell´associazionismo italiano d’emigrazione dagli anni novanta. Ma a parte questi episodi poco collegabili con l’oggi, anche fra noi italiani all’estero cresce il nervosismo verso i popoli poveri che arrivano con le loro miserie per terra e per mare, adesso anche con la complicazione islamica. Ed è chiaro che questo crea uno stato emozionale che turba la vita politica, quando la gente spegne l´intelligenza e accende televisioni e madia che minuto per minuto mostrano la violenza nuova in aggiunta a disagi già di ordinaria attualità.

Dunque che si fa? Consacriamo ansia e paura a nuovo valore di coagulo nel sentire politico, sul quale trionfa il populismo che ha rubato in sostanza e numeri di gente attiva ai partiti classici? Come vediamo nel mondo francese e nella gran provincia tedesca, dove a Dresda, Parigi  e in altre piazze questo “disagio” d’epoca sfugge alle maestranze di stato. E qui siamo sulla stessa barca, gente in questo paese a estrazioni nazionali diverse, che per forza di cose ci troviamo insieme nel preferire lo stare in salotto e cucina ben protetti. Nella “Gemütlichkeit” che diventa culto di conforto. Intanto che un residuo senso del comunitario che un tempo coagulava la gente nelle grandi  Chiese perde di portata sociale. Siccome tali conformazioni non esistono più come popolo credente, ma in apparati di servizi in domanda e offerta per clienti. Anche gli insegnanti hanno qualcosa da dire sulla fatica dell´educare alla socialità come modo di sentire ed essere, nella “Sozialcompetenz”, la cultura di rapporto, che resta poco coltivata. Lasciando all’offerta di sistema che in infinite varianti psicoterapeutiche per singoli copre i guai del civico che non educa più per gruppi. Ora, “in” è il privato.
Chi sta mettendo su famiglia e bambini al mondo, voglia o no se lo chiede dove stiamo andando fra tante ansie che diventano paura di perdere identità culturale, sicurezza nei pubblici ambienti, paura all’arrivo delle masse dei miseri del mondo e di sopraffazione etnica. Il rifugio nel proprio  è un espediente provvisorio nel quale prima o poi i guai che si sbattono fuori porta rientrano dalla finestra. E lo vediamo. Dunque il fuggire “fuori” dal  mondo,  è inganno  e convulsione di stagione. Un espediente che non può durare. Una scaramanzia di piazza al momento. Dunque ci vuole dell’altro. Per esempio una riconciliazione con la partecipazione politica a lungo impegno nella fatica di condivisione e dialogo anche fra le religioni è la via obbligata. Perché il rischio di affondamento delle democrazie europee, non è nutrito solo da islamismi pazzi, ma anche dalla caduta di robustezza democratica interna partecipante dei nostri popoli cosiddetti occidentali.