Era inevitabile e dovuta la commemorazione dell’ingresso dell’Italia nella Prima Guerra mondiale. Voluta dal Governo per ricordare il sacrificio di 650 mila militari (il primo a morire fu Riccardo Giusto) e di circa 600 mila vittime civili, ai quali il Paese ha rivolto un deferente pensiero con un minuto di silenzio osservato, alle 15 del 24 maggio, dalle Istituzioni, dalla società e dal mondo dello sport.
A ciò si sono aggiunti i colpi di cannone sparati da una squadra di militari presso i monumenti ai Caduti di 24 città e, a Roma, dal Gianicolo. Qui e presso altri mausolei sparsi sul territorio nazionale – su proposta del Ministero dell’Istruzione dell’Università, della Ricerca e della Difesa – gli studenti delle scuole primarie hanno portato, in omaggio alle vittime, una stella alpina, simbolo della Guerra combattuta tra le montagne. Un atto di riverenza attuato anche negli stadi, dove calciatori e arbitri sono scesi in campo indossando una maglia con la scritta “RICORDA”.
Commemorazioni realizzate per onorare i Morti e soprattutto – come ha sottolineato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Luca Lotti – insegnare alle giovani generazioni il valore della pace e, principalmente, farne ricordare la tragedia “perché non se ne perda la memoria”. Che invece, a giudicare dall’ignoranza in merito degli studenti, pare già notevolmente diminuita, benché – ha dichiarato Lotti – “non soltanto l’Italia ma anche l’Europa come la conosciamo oggi sia nata nelle trincee. Dove si moriva dopo battaglie infinite ed orribili per la conquista di dieci metri; cento anni fa ci siamo sparati addosso, ora non più. Se non si conosce il passato non si costruisce il futuro”.
Perché, come diceva Elie Wiesel, “senza memoria non c’è cultura né futuro”. Per questo il Governo ha previsto restauri dei luoghi del conflitto, la creazione e l’allestimento di nuovi musei, la valorizzazione dei Monumenti ai Caduti e dei paesaggi ove si svolsero gli eventi bellici. Il programma ha incluso anche attività culturali e di divulgazione, quali mostre, convegni, pubblicazioni, campagne fotografiche, concerti, produzioni documentaristiche e cinematografiche, alcune delle quali eccezionali, come la Grande Guerra di Monicelli e Torneranno i prati di Ermanno Olmi.
Nonché la staffetta di soldati, partita il 10 Maggio scorso da Trapani ed arrivata la sera del 24 a Trieste, in piazza Unità d’Italia, mentre la fanfara dei bersaglieri cantava quell’inno al Piave che “mormorava calmo e placido al passaggio dei primi fanti”, pronti a combattere. Cui, durante la cerimonia dell’alzabandiera, è seguito l’inno di Mameli. A queste celebrazioni hanno partecipato anche la Rai ed il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca che, in collaborazione con il Ministero della Difesa, ha organizzato il concorso letterario, rivolto a tutti gli istituti scolastici, dal titolo “La storia della Grande Guerra riletta dai giovani di oggi – Mai più trincee”, per costruire il patrimonio culturale della memoria storica e diffondere la cultura della pace tra i popoli.
La Grande Guerra si è svolta prevalentemente sulle montagne e ha provocato migliaia di Morti, un milione abbondante di mutilati e feriti, una mobilitazione generale di 5,5 milioni di uomini, molti dei quali contadini meridionali analfabeti ed ignari degli scopi della guerra. Drammatici numeri di un conflitto durato 41 mesi, dal 24 maggio del 1915 all’armistizio del 4 novembre 1918 e degno del programma delle commemorazioni, in quanto portò a compimento il Risorgimento.
Ma anche funesto perché, provocando il tramonto delle potenze imperiali del Continente, diede origine al comunismo, nazismo e fascismo, facendo poi scatenare le rivalità che dilaniarono l’Europa e finirono nel 1945, al termine della Seconda Guerra Mondiale. Conseguenze nefaste che hanno spinto la Provincia autonoma di Bolzano a non esporre il Tricolore per ricordare il centenario, e a Trento a mettere le bandiere a mezz’asta. Ancora oggi molti ritengono un errore l’essere intervenuti contro l’Austria “a tutela delle più antiche e più alte aspirazioni, dei più vitali interessi della Patria”, tra i quali il completamento dell’unità nazionale ed un ruolo paritario fra le potenze europee, come sostenne in Campidoglio il politico Antonio Calandra, in contrapposizione al fronte neutralista comprendente liberali, socialisti e, parzialmente, cattolici.
Definita una “inutile strage” dal Papa Benedetto XV, perché ci costò migliaia di morti, per lo più contadini ignari dei motivi bellici, e per il fatto che, se fossimo rimasti neutrali, avremmo ottenuto dalle potenze vincenti quelle concessioni territoriali poi raggiunte con la vittoria. Senza contare che contribuì ad eliminare la futura classe dirigente nazionale, caduta in guerra, ed a far subire all’Italia la dittatura fascista che ci portò alla Seconda Guerra mondiale. Per fortuna, l’ultima del Continente grazie alla creazione dell’Unione europea, un’entità burocratico- monetaria che, però, ha ridotto lo scambio tra le culture e le letterature nazionali. Il che lo rendeva faro culturale del mondo.