Gentili signore e signori del Corriere d’Italia, mi chiamo Giuseppe e sono uno dei 13 detenuti che si trovano nel carcere di Heilbronn. Desidererei che pubblicaste questo mio scritto sul prossimo numero del Corriere d’italia.
Come ho già scritto, sono un detenuto che da molti anni si trova qui, e ne ho ancora per un paio d’anni. Vorrei far sapere a tutti i lettori del Corriere d’Italia e ai tanti italiani come veniamo trattati del Consolato italiano di Stoccarda. Negli anni passati almeno una volta l’anno veniva qualcuno dal Consolato a farci visita e se avevamo qualche problema di passaporto oppure per qualche altro documento costoro si impegnavano per noi.
Circa dieci mesi fa avevo bisogno di un nuovo passaporto ed ho fatto la richiesta apposita per richiederne uno nuovo. Loro me lo hanno fatto, ma ho dovuto pagarlo nonostante il fatto che nel carcere, pur lavorando, guadagno 70- 80 euro al mese. Per un mese ho dovuto quindi rinunciare al tabacco e a qualche cosa da mangiare. Ma questo non è il problema. L’ho scritto solo per farlo sapere.
Quando c’era la Caritas ad Heilbronn, c’era un certo Mariano Antonio che ogni anno prima di Natale ha sempre combattuto contro il consolato perché qualcuno venisse a mangiare con noi. L’anno scorso è venuta la Viceoconsole a farci visita ed è stata con noi quasi un’ora. Ci ha detto però che adesso il consolato non ha più soldi e quindi non si può fare più niente. Da un paio d’anni non facciamo più feste e non ci mandano neanche un panettone tradizionale.
A volte mi chiedo a che cosa serve il Consolato italiano all’estero se non si prende cura dei suoi connazionali e non li aiuta quando ne hanno bisogno. Non vogliamo chissà che cosa, ma vorremmo che qualche volta qualcuno di loro si facesse vedere e ci domandasse se abbiamo bisogno di qualche documento, perché c’è gente che fuori non ha famiglia e se ha bisogno di qualche documento non sa a chi rivolgersi, e che almeno a Natale non fossimo dimenticati, perché anche se noi abbiamo commesso qualche errore, la legge tedesca ci ha punito, ed è giusto così.
Ma vorrei ricordare al consolato che anche noi siamo esseri umani, e c’è qualcuno di noi che si pente per quello che ha fatto. Vorremmo che il Consolato si comportasse come farebbe un italiano, e non come un giudice che ti condanna!
Io ringrazio tutti coloro che leggono questo mio scritto ed auguro ogni bene a tutto il team del Corriere d’italia e a tutti i connazionali. (Jva Heilbronn)
Caro Giuseppe, la Sua preziosa lettera conferma quanto già sapevamo. Il tenore della stessa ricorda un poco quello delle altre lettere di detenuti italiani in Germania, che nell’anno 2005 raccogliemmo sotto il titolo di „Che quacuno passi a sentire come stiamo“, ristampata poi nel 2007.
Ricordo il volume perché, tra la tanta carta straccia che gli uffici addetti all’emigrazione producono, quel libro ebbe almeno il merito di illumanire un problema reale. Ma veniamo ai temi che Lei tratta. Il primo è la gratuità dei passaporti. La legge apposita del 1959 recita „I passaporti ordinari sono rilasciati e rinnovati agli emigranti, in Italia e all’estero, con esenzione da qualsiasi diritto o tassa. Con regolamento saranno stabilite le norme di attuazione della presente legge“.
La legge, che si rifà ad un Regio decreto del 1919 convertito in legge nel 1925, mi pare ancora attuale nel testo, ma non riconosciuto dall’Amministrazione. In questo senso l’ex viceministro Danieli, dichiarò a suo tempo che la legge doveva essere vista in senso „evolutivo“, in soldoni che i migranti non ci sono più e tutti devono pagare la tassa sul passaporto (il libretto o il supporto elettronico sono sempre stati da pagare). Sulla questione, ricordo ancora un pronunciamento farorevole alla gratuità dell’Intercomites e del Cgie Germania, sottoscritto da tutti i membri e rimasto ovviamente inascoltato.
Per questo Lei, in quanto emigrante, non riceve il passaporto gratuito. Un po’ diversa è la questione degli „italiani indigenti“ per i quali la legge prevede ancora l’esenzione, ma ancora siamo nel nulla. Certo, quacuno potrà chiedersi cosa se ne fa un carcerato del passaporto. Forse per un carcerato il documento più adeguato dovrebbe essere la carta d’identità.
In ogni caso, nella pagina web del mio consolato di Francoforte c’è un modulo di autodichiarazione per indigenti. Se c’è il modulo, immagino che ci sia anche il riconoscimento … e quello che vale a Francoforte, certo vale anche a Stoccarda. Ma veniamo al secondo punto che Lei cita: la disattenzione assoluta nei confronti dei carcerati. Un tema per il quale questo giornale molto si è speso negli anni passati.
Il disinteresse delle istituzioni è agghiacciante, soprattutto per il fatto che i carcerati in genere non chiedono tanto soldi, quanto attenzione e solidarietà. Questo almeno quello che si legge nel volume citato e si evince dalla Sua lettera. La situazione di allora non è mutata, semmai peggiorata. Solo alcuni missionari ed altrettanti volontari vanno a far visita ai carcerati, ed a loro deve andare la riconoscenza di tutti.
Per il resto silenzio e dimenticanza. Ultimanente è uscito per il Rapporto Migrantes un saggio sulla condizione dei detenuti italiani nel mondo, firmato dal sottoscritto e dall’on. Narducci. Grazie alla sensibilità dell’on. Narducci (quella del sottoscritto non conta) un breve raggio di memoria è arrivato ad illuminare per un attimo la dimenticanza collettiva. Oltre a questo, però, niente. Una cortina di plumbeo silenzio continua a coprire l’argomento. (mau. mont.)