Nel panorama europeo. Punto di partenza è il riconoscimento che "il servizio pubblico televisivo costituisce uno degli elementi più tipici del panorama audiovisivo europeo", originato da "iniziative specifiche" e, soprattutto, "come derivazione dalle originali ‚televisioni di Stato‘ monopolistiche". Nel suo concetto più moderno, il servizio pubblico "si è andato definendo – sottolinea Cappon – solo gradualmente e in tempi recenti, quando il pieno sviluppo della televisione commerciale ha reso necessario porre su basi giuridiche e culturali più ‚certe‘ l’attività precedentemente svolta dalle tradizionali ‚televisioni di Stato’". Ancora oggi è "uno dei più grandi investimenti pubblici ‚industriali‘ d’Europa, con risorse in qualche modo provenienti dalla fiscalità dell’ordine di 30 miliardi di euro annui", e "una componente ‚tipica‘ del sistema audiovisivo e della tutela della libertà d’informazione".
Forte crisi. Tuttavia, è innegabile la forte crisi che la tv pubblica sta attraversando, dovuta – secondo Cappon – a tre fattori principali: la "rivoluzione digitale", la "grande crisi della finanza pubblica", un mutato "clima culturale e politico". Dapprima il moltiplicarsi dell’offerta ha portato a una "modifica dello scenario competitivo e del flusso dei ricavi da pubblicità", cui va aggiunto che "le tv pubbliche dispongono di meno armi per reagire alla crisi, sia in termini di risorse finanziarie sia di possibilità di diversificazione delle strategie industriali e della tipologia di offerta editoriale". In secondo luogo, la crisi e le connesse "politiche di austerità" vedono su questo fronte "un bersaglio facile". Infine "la crisi, diffusa un po‘ in tutte le aree geografiche, delle aggregazioni politiche e del modo di fare politica tradizionali polarizza sempre di più sulla comunicazione di massa i messaggi e la competizione per il consenso, accentuando inevitabilmente le tentazioni di controllo da parte dei detentori di potere pubblici e privati e dei gruppi d’influenza più diversi".
Meno risorse, tv "low cost". "Queste sfide – aggiunge Cappon – sono, in misura rilevante, comuni a tutta l’industria televisiva tradizionale, alle prese con le conseguenze sempre diffuse della rivoluzione tecnologica che, in sostanza, modifica profondamente i modelli di business tradizionali basati sulla raccolta pubblicitaria e sulla visione ‚comunitaria‘ degli eventi televisivi che costituiva la ‚massa‘ su cui si concentravano gli investimenti pubblicitari". Oggi, invece, la "frammentazione dell’audience" – tra nuove offerte e pay tv – porta a "una forte erosione della base economica delle tv generaliste", "secondo il principio che ’10 canali da 1% di share valgono commercialmente molto meno di 1 canale da 10%’". Ne deriva – osserva Cappon – che la crisi delle risorse si riflette sui contenuti e sui canali pubblici si tende a un’offerta "low cost", "perdendo in ricchezza, varietà e qualità degli eventi, con la maggior parte dei prodotti ‚premium‘ che migra verso piattaforme a pagamento, pay per view o video on demand", facendo altresì emergere "un nuovo ‚divide‘ economico nelle possibilità di accesso del pubblico ai programmi". Una situazione che Cappon bolla come "’market failure‘, in quanto il mercato non pare più in grado di garantire, a tutti, quell’ampiezza e varietà di offerta di audiovisivo che è sempre stata considerata condizione di parità e uguaglianza tra i cittadini".
Un nuovo progetto. In conclusione, "discontinutà tecnologica" e "crisi delle risorse" richiedono "un nuovo progetto di servizio pubblico nell’era digitale". A tal proposito, Cappon evidenzia alcuni elementi di base. Innanzitutto "la televisione pubblica non può più essere presente ’sempre, dovunque e su qualunque mezzo", e dunque "è indispensabile progettare e realizzare interventi di ristrutturazione che, riducendo la ‚dimensione‘, consentano tuttavia un’offerta che abbia impatto sulla società e contenuti di significato". In secondo luogo, la riduzione delle risorse commerciali "configura una televisione pubblica di tipo ‚acompetitivo‘ ma più attenta a tutelare gli elementi di arricchimento del panorama audiovisivo rispetto al modello ‚low cost‘ delle televisioni commerciali e a una qualità, autonomia e diversità informativa non sostenibile su semplici basi di ritorno economico". Da ultimo, l’obiettivo di fondo di tutti questi processi è "un recupero forte del rapporto con i cittadini e con la pubblica opinione, che dia nuovo senso a un investimento pubblico, meno totalizzante e più ‚parco‘ del passato, ma più libero e indipendente e capace di fare ‚cose che altri non fanno’".