Le strutture del Ministero a livello politico e amministrativo non hanno mai ben digerito l’esistenza del CGIE che viene sopportato come un peso, tanto da violarne spesso e volentieri nello spirito e nella lettera la sua legge istitutiva.
Solo quando era vivo quel galantuomo di Tremaglia, il CGIE vedeva garantito, e rispettato dal Governo, il suo diritto ad esprimere il parere preventivo obbligatorio, prima che qualsiasi proposta di legge fosse discussa in Parlamento.
La fisica aborre il concetto di vuoto e se qualcuno lascia libero il suo spazio, c’è qualcun altro che glielo occupa. Il CGIE negli ultimi anni non ha brillato per visione strategica, per capacità di iniziativa, per volontà di garanzia degli interessi dei milioni di cittadini all’estero che non hanno voce. Ancor meno del CGIE hanno fatto i deputati e i Senatori eletti all’estero (ben 18 parlamentari).
Nessuno nega la crisi. Quanto ai soldi il di-scorso è un po’ diverso da come viene presentato. I soldi ci sono, basta andarli a sottrarre laddove si sprecano, basta agire sul grado di efficienza e di modernità, sulla selezione dei dipendenti per merito attraverso rigorosi accertamenti della professionalità, sulla messa in discussione dei cosiddetti diritti quesiti che non sono altro che assurdi privilegi anacronistici.
E invece si pensa di chiudere un gruppo di Consolati per risparmiare 8 milioni di euro ed aprire con quei soldi qualche nuova Ambasciata in Estremo Oriente.
La decisione di dare una spinta alla penetrazione commerciale chiudendo alcuni Consolati appare assunta in modo contrario alla legge perché adottata all’insaputa del CGIE, ma è del tutto ridicola perché relega ancora una volta in fondo alla scala delle priorità le aspettative ed i bisogni degli italiani che vivono all’estero.
Si vuole risparmiare? Perché non ci si domanda a che servano le Ambasciate nella zona euro? Si tratta di costosissimi apparati barocchi, perfettamente inutili ai fini della politica estera, del benessere del popolo italiano, dell’incentivazione alle esportazioni, della promozione del turismo. Esse svolgono per lo più compiti di rappresentanza e di agenzia turistica a favore dei vari politici di passaggio per motivi di lavoro o di piacere.
Una drastica riduzione delle Ambasciate nella zona euro consentirebbe (tra stipendi e indennità del personale, affitti e manutenzioni di sedi, gestione delle strutture, degli impianti e dei macchinari, canoni vari e via discorrendo) un risparmio di almeno 100 milioni di euro.
Si provi ad eliminare o a ridurre significativamente tante spese ingiustificate dirette e indirette: i trasferimenti del personale da Roma verso l’estero e viceversa o dall’estero per l’estero (attuati con le correnti modalità) costano un occhio della testa compreso il trasporto delle masserizie al seguito. Anziché stabilire un tot a persona per il trasloco dell’essenziale, come avviene in tutte le Organizzazioni Internazionali e nelle Ambasciate dei grandi paesi, noi consentiamo a tutti, dall’Ambasciatore all’usciere, il trasporto dell’automobile (spesso un catorcio di valore inferiore alla spesa stessa del trasferimento) ed un meccanismo di rimborso spese che richiede una contabilità ad hoc di almeno 20 persone al Ministero e un paio di persone in ciascun ufficio all’estero con evidenti costi aggiuntivi a scapito dell’efficienza.
L’Italia è in bolletta. Si provi allora a decurtare per una legislatura gli enormi finanziamenti per le spese di rappresentanza che non hanno più senso quando milioni di famiglie sono sul lastrico.
Si vuole risparmiare ancora? Si aumenti il numero dei contrattisti e si riduca l’inutile spreco di invio di personale da Roma con costi almeno tripli. Spendere e spandere per pagare 6-8000 euro al mese personaggi inviati da Roma, che un’industria privata non assumerebbe nemmeno come guardaportone, è un’offesa ai 4 milioni di disoccupati.
Fino a qualche tempo fa venivano inviati all’estero anche gli autisti. Ve lo immaginate un autista che raramente ha messo il naso fuori da Roma che deve guidare all’improvviso in una città come Parigi, Londra, Washington, Berlino dove non conosce le strade, non parla nessuna lingua straniera ecc? Era uno scandalo. Ed allora che ha fatto la nostra Amministrazione? Li ha inviati all’estero attribuendo loro la qualifica e le mansioni superiori di archivista.  Riservare lo stesso trattamento a tanti meritevoli e ai classici scansafatiche ha fatto cadere la distinzione tra capaci ed incapaci ed ha costituito, soprattutto per i più prepotenti, una formidabile spinta ad attaccarsi alle mammelle dello Stato, per succhiarne, senza merito, il latte dei privilegi che sarebbe il caso di cancellare (numero di giorni di ferie ingiustificatamente elevato per chi operi all’estero, congedi straordinari per malattia trascorsi in Italia con l’indennità estera, numero dei giorni di viaggio, giorni di permessi per le festività soppresse e via di questo passo).
Secondo il rapporto del CNEL, redatto sulla base dei dati forniti dal FORMEZ sulla produttività negli Uffici dell’Amministrazione, il tempo medio trascorso al lavoro dal dipendente pubblico anziché essere di 6 ore e 38 minuti al giorno non supera le 4 ore e 20 minuti. Allungare i tempi per l’invio di un rapporto sulla situazione politica di un dato paese non arreca un danno visibile, data la scarsa attenzione che i politici dedicano alla materia, ma allungare i tempi di risposta ad un cittadino bisognoso di una procura, di un passaporto, di una pensione significa approfondire il disagio e la sofferenza di chi è in attesa con danni evidenti.
Il Ministero degli Esteri è stato il primo, nella galassia della pubblica amministrazione, a dotarsi di attrezzature informatiche sin dal lontano 1987, con enorme velocizzazione delle pratiche a tutto vantaggio del servizio al cittadino. Eppure ancor oggi si continua a proteggere l’inettitudine di tanti funzionari e dipendenti, la loro scarsa cultura e preparazione, lo scarso senso dello Stato e l’incapacità professionale addossando la responsabilità della bassa qualità del servizio all’inadeguatezza delle strutture, dei mezzi finanziari, della strumentazione a disposizione.
Il fatto è che manca una politica di lungimiranza mentre, per evitare noie con il politico di turno, si continua ad assecondare i Sindacati che proteggono l’anzianità interpretata come sinonimo di “esperienza acquisita”, mentre spesso si tratta di “competenza obsoleta” se non addirittura di “incompetenza reiterata”.
(L’autore è membro del Cgie (Consiglio generale italiani all’estero)