Le dico: sono giornalista professionista (per questo motivo mi permetto di chiamarla collega). Almeno fino all’anno scorso credevo di essere giornalista, scrittore e cantautore. Poi mio figlio Norman, ventisette anni, al terzo e ultimo anno del dottorato di ricerca in Filosofia del Linguaggio (senza borsa e senza raccomandazioni), laureatosi con 110 e lode in Filosofia della Conoscenza e della Comunicazione, specializzatosi con 110 e lode in Filosofia e Storia delle Idee, ha deciso di protestare contro il vassallaggio e le concezioni familistiche e autoconservative della sua Facoltà e di tutto l’Ateneo di Palermo, che – ahinoi – non lasciano spazio alla meritocrazia (tranne che con meritocrazia non si intenda essere figlio, nipote, o discepolo prediletto del barone di turno). Norman ha gridato il suo “no” viscerale, sordo, sofferto, tormentato (e malauguratamente, a suo modo di vedere, anche catartico) a questo sistema nel modo più eclatante e, purtroppo, consapevole, lacerante: lanciandosi dal settimo piano della sua stessa Facoltà, per rendere il suo gesto ancor più simbolico ed esplosivo. Avverto ancora l’odore del suo sangue sull’asfalto e vengo devastato dalle immagini del suo corpo spiaccicato al suolo, immerso nella sua materia cerebrale fuoriuscita dalla scatola cranica.

Non me lo hanno neanche fatto vedere. Ho visto solo la sua bara chiusa e lo immaginavo là dentro, fatto a brandelli da un sistema feudale che è forte, potente, sorgivo di accordi, sotterfugi e rifiuto della dignità umana. Norman invece aveva tanta dignità e d’estate faceva il bagnino in un circolo nautico per 25 euro al giorno, per dodici ore al giorno(e non perché in famiglia ci fossero problemi economici, ma solo per l’etica del lavoro, mi diceva) poi, quando finiva di lavorare, studiava di notte i suoi testi complicati che comunque amava (logica ed epistemologia). Quei testi erano la sua vita, il tessuto connettivo fra Norman e la vita medesima.

Mio figlio non viveva nessun disagio familiare o giovanile e soprattutto non era un depresso, anzi, gli amici lo chiamavano “Zuzzurellone” perché sapeva coniugare la solennità dei suoi studi (Norman, ripeto, si occupava di Logica, Linguaggio, Epistemologia e Meccanica quantistica) ad una concezione allegra e briosa della vita.

Egli ha inteso esprimere il suo dissenso in una forma estrema, maturata in rabbia incontenibile. La mia famiglia è distrutta, anche io sono distrutto e non riesco più a vivere: a fare il giornalista, a compiere i più naturali riti quotidiani. Niente. Solo l’unico scopo di non far morire insieme a Norman, la sua memoria di giovane studioso, altruista e impegnato su molti fronti (era anche musicista).

Norman era diventato anche giornalista pubblicista e voleva dedicarsi alle inchieste di mafia in un quartiere difficile come il nostro, Brancaccio, a Palermo. Lo stesso di don Pino Puglisi (che conoscevamo bene, è stato anche il mio insegnante di religione alle medie), tant’è che in famiglia lo avevamo esortato alla prudenza.

Nessun tigì nazionale ha dato la notizia, tranne il Tg5 di Mimun, il quale mi ha pure telefonato per il suo personale cordoglio.

Mi piacerebbe che lei, egregio collega, si occupasse della memoria di mio figlio. Basta cliccare su Google Norman Zarcone per saperne a iosa, anche se sono state scritte molte inesattezze, come quella che mio figlio fosse depresso o altre sciocchezze a tema. Norman, le ripeto, amava la vita, aveva composto con me, poco prima di morire, una canzone dal titolo "Un cielo senza stelle" (cantata da mia moglie, Giusy), dedicata a Falcone e Borsellino. E poi aveva finito di comporre, con il suo amico Gabriele Confaloni, una colonna sonora per il cortometraggio  del regista siciliano Daniele Lupo.

L’unico mio scopo è non far morire la memoria di Norman, anche per evitare che altri gesti simili vengano compiuti, per questo le chiedo ancora, con voce rotta dal pianto, ma ferma, sicura: non lasciamo che la memoria di Norman muoia con lui.

Alcuni esponenti politici, in senso bipartisan, hanno richiesto al Presidente della Regione e al Presidente del Parlamento Siciliano, la nascita di una Fondazione “Norman Zarcone” che possa essere rifugio di liberi cervelli, fucina di cultura, dispensa di idee. Ma la politica, regionale e nazionale, dopo aver strumentalizzato il gesto di mio figlio, adesso sembrerebbe voler lasciare scivolare la cosa nell’oblio del tempo.

Sono stati depositati all’Ars cinque disegni di legge per la nascita delle Fondazione intitolata a Norman, ma essi non vengono discussi, approvati. Il silenzio dell’oblio, appunto.

Le chiedo con la presente, potrebbe Lei, con la sua autorevolezza, perorare questa causa intervenendo con un appello attraverso i media, ai vertici regionali (Presidente della Regione, Raffaele Lombardo, Presidente dell’Ars, Francesco Cascio, assessore regionale all’Istruzione, Mario Centorrino e Assemblea Regionale Siciliana)? Ho già coinvolto la signora Dacia Maraini,la quale mi ha risposto via e-mail, che firmerebbe un appello.

Un’ultima cosa: il Senato Accademico ha deliberato l’intitolazione dello spazio "Generazione Norman", ma ho la sensazione che sia stata fatta un’operazione di maquillage per evitare le pressioni dell’opinione pubblica verso l’ateneo di Palermo. Infatti si è creato il contenitore, ma non si riempie di contenuti, quantunque io stesso abbia esortato il rettore Lagalla in questa direzione. Potrebbe lei, nel suo appello, parlare anche di questo argomento?

Egregio collega, mi aiuti in questa battaglia troppo grande per me, non lasci che un intellettuale colto e raffinato, sensibile e amante della vita, venga consegnato all’oblio. L’oblio starebbe bene ai baroni e ai loro vassalli. Non permetta che il suo gesto, tanto solenne quanto misterioso e drammatico, soprattutto per la mia famiglia, passi inosservato. Oggi ci si riempie la bocca con concetti quali meritocrazia, eppure i grandi mezzi di comunicazione di massa si sono lasciati scivolare addosso la storia di Norman. E pensare che anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, mi ha ricevuto per esprimermi il suo personale cordoglio.
Oggi si parla di "indignados": forse Norman, non è stato il precursore e prima vittima dell’indignazione giovanile?
Non diamogliela vinta, la prego.

Io ci conto. Claudio Zarcone

Egregio sig. Zarcone, premetto che sono contrario al suicidio, indipendentemente dalla motivazione che esso possa avere, semplicemente perché non c’è motivazione che lo giustifichi. Detto questo, il problema che la morte di Norman (di cui lessi all’epoca quanto possibile) solleva è lo stesso che cerchiamo di sollevare anche noi: il baronato nelle università, il nepotismo che sta uccidendo la società civile italiana, la cosiddetta “fuga dei cervelli” (la Germania sta diventando una delle più gettonate mete dei giovani intellettuali italiani in cerca di lavoro).

Tutto questo noi continuiamo a dirlo giorno per giorno  e la questione dei baronati universitari, fummo tra i primi (ma credo addirittura i primi!) a sollevarla.
Non conoscevo personalmente Norman, ma la sua morte all’epoca mi colpì profondamente. Non lo conoscevo, ma se lo avessi conosciuto gli avrei detto che solo i vivi hanno la possibilità di cambiare il mondo e di lasciarne uno migliore a chi ci seguirà. Sono parole che suonano probabilmente dure a Lei che ha vissuto quella tragedia così da vicino, e quasi mi dispiace scriverle. Lo faccio perché Lei stessa mi ha chiesto un intervento.

La società italiana così com’è: molto distratta quando si tratta della giustizia e del bene pubblico, ma così attiva quando si tratta della ricerca di qualche privilegio personale; questa società italiana così servile e cialtrona in tante (troppe!) sue componenti l’abbiamo costruita noi, generazione dopo generazione. La scuola, i sindacati, i partiti, le associazioni: tutti hanno contribuito in diverse forme e in diverse misure alla genesi di questo mondo dal quale Norman ha voluto uscire. In questi “tutti” c’è anche una informazione troppo spesso “di servizio”.

Solo noi possiamo quindi costruirne una migliore. Con il nostro lavoro quotidiano, con il nostro rifiuto della raccomandazione, del voto di scambio, della mazzetta. Questo non è facile, ma è possibile. Chi fa il giornalista come Lei e come me ha poi una possibilità in più che deve utilizzare. È necessario rafforzare la componente civile sana, che c’è ed è presente a tutti i livelli. E questo è un lavoro che non finisce mai. Forse la memoria di Norman può rafforzarci in questo. (Mauro Montanari)