"Me ne andrò", scrive Stefano D. "Voglio trascorrere la mia pensione in un Paese migliore. Lo so, verrò apostrofato come codardo, anti italiano ecc. Non mi importa. O un paesino tedesco o Londra saranno la sede del mio periodo di riposo. Non posso andarmene ora solamente per via del lavoro, il mio e quello di mia moglie. Altrimenti avrei preferito un sistema scolastico migliore per mia figlia.
Non sono anti italiano. Sono realista. Questo Paese non cambierà mai. Grazie alle mafie grazie alla sotto cultura, alle leggerezza con cui si affrontano le cose, al Sistema Italia inteso come cattive abitudini e mentalità furbacchiona. Alla corruzione, alle raccomandazioni, al disprezzo per l’eccellenza e per il primo della classe. Al buonismo gratuito. Un paese Vecchio gestito da vecchi, che fa pensare da vecchi anche i giovani. Giovani che o sono bravi e se ne vanno all’estero o sono mammoni e lontani dall’arte dell’arrangiarsi.
Donne discriminate e con poco sostegno in caso di maternità. Donne che sono costrette a fare le casalinghe da mariti italiani ma dalla mentalità talebana. Italia dal cemento di sale e dai capannoni di carta.
Italia delle pornostar in regione e addette stampa di stato. Italia con le fabbriche che chiudono ma con ricchi sempre ricchi. Politici che pensano che lo stato sia qualcosa da spolpare. Italiani che non pagano le tasse che negano tutto, anche l’evidenza. Che non ammettono l’errore ma puntano il dito sempre verso qualcun altro. Non è questo il mio Paese. Non è questo che voglio per me e per i miei figli. Lo so, sto scappando. Ma da solo non riesco a cambiare nemmeno il mio vicino di casa. E non vedo grande partecipazione popolare per un reale cambiamento. Perché in fondo in fondo l’Italia così sta bene a tutti. Anche a chi si lamenta. A me no".
La risposta del direttore de La Stampa, Mario Calabresi.
"Sull’analisi, almeno su una certa parte delle cose che racconta, si può essere d’accordo, sulla soluzione ho le mie perplessità.
Ma non perché consideri codardo chi pensa di andarsene (tentazione comune e comprensibile di questi tempi) ma perché ci sento dentro una rinuncia a combattere che dura da anni.
Non è anti-italiano chi pensa di lasciare l’Italia, ma chi non ha combattuto per un’Italia migliore e chi è vicino alla pensione è di certo molto più responsabile per la situazione nella quale ci troviamo di tutti quei ragazzi che escono da scuola pieni di ansie sul futuro e spaventati dal Paese. A parole tutti si lamentano per il nostro declino, ma è tempo che ognuno si carichi della sua quota di responsabilità senza scaricarla sempre sul vicino o sulla collettività". (aise)
Controrisposta del direttore de Il Corriere d’Italia, Montanari
Interessantissimo questo scambio di opinioni tra un lettore schifato di come vanno le cose in Italia ed il direttore de La Stampa di Torino, Mario Calabresi. Il lettore lamenta la situazione italiana, la povertà culturale, la mafiosità diffusa, il clientelismo, il nepotismo, le raccomandazioni, e dice che se ne andrà all’estero.
Risponde il direttore Calabresi: „È antitaliano chi non ha combattuto per una situazione migliore“. Benissimo, la cosa in sè sembra non fare una grinza. Ma chi è questo direttore Calabresi che sale in cattedra e dà lezioni di „italianismo“ ai suoi lettori? Chi è questo geniale direttore che, a 28 anni, praticamente appena laureato, è già corrispondente dell’Ansa, che a  29 anni è già redattore de La Repubblica nella redazione politica; che a 32 anni è Caporeddatore sempre a La Repubblica, e che a 37 anni è corrispondente a New York e che a 39 anni è già direttore di uno dei giornali quotidiani nazionali più importanti, La Stampa appunto? Chi è costui? Non sarà per caso anche Mario Calabresi il figlio di „Qualcuno“? Ma sì, è il figlio dell’eroe, commissario Luigi Calabresi, assassinato nel 1972 dalle Brigate Rosse. Non sarà allora che anche essere figlio di un eroe aiuta in qualche modo in una fulminante e brillante carriera giornalistica?
Certo, son cose antipatiche da scrivere. Il Paese deve molto al commissario Luigi Calabresi, divenuto il simbolo dello Stato contro il terrorismo. Niente da dire, inoltre, sulla intelligenza e capacità di Mario Calabresi. Ma quanti giovani giornalisti sono altrettanto bravi, brillanti e preparati, ma non hanno le credenziali e sono costretti a fare la gavetta fino a cinquant’anni e oltre, con un compenso di 2 euro ad articolo quando va bene? Allora si goda, Calabresi, la sua carica, il suo titolo ed il suo stipendio, ed il rispetto che gli è dovuto in quanto figlio del commissario Luigi Calabresi (ma Mario, diciamola in soldoni, lui, Mario, che ha fatto personalmente per guadagnarsi tanti onori?); ma per favore la smetta, Mario, di fare le prediche e la morale agli altri.
Ma andiamo avanti sulla scia dei direttori. Prendiamo ad esempio il Corriere della Sera ed il suo vecchio direttore, Paolo Mieli. Bravissimo! Preparatissimo! Capacissimo! Intelligentissimo, moralista anche lui! Ma non sarà anche Paolo Mieli figlio di qualcuno? Aspetta, fammi pensare… ma sì è il figlio del famoso Renato Mieli, il glorioso e storico fondatore dell’agenzia Ansa!!!
E ancora: i molti nomi che si leggono di giovani brillanti giornalisti che –brillantemente- a 25 anni hanno un posto in Rai, o al Corriere della Sera… sarà un caso che si chiamano tutti quanti come quel Ministro, come quel Sottosegretario, come quel Direttore?
Non vorrei tediare con esempi e nomi il cui elenco riempirebbe una Enciclopedia Treccani. Mi sia consentita soltanto un’altra citazione. Allarghiamoci un attimo ed andiamo a vedere altri moralizzatori. La ministra Elsa Fornero, ad esempio. Che fa la di colei figlia, Silvia Deaglio, anch’ella preparatissima ed intelligentissima? Accidenti! Insegna nell’ateneo dei genitori e guida una fondazione finanziata dalla Sanpaolo, di cui la madre era vicepresidente!  
Voglio dire, caro collega Mario Calabresi: le prediche, evitiamole, quando il pulpito non è adatto! Mauro Montanari