A due anni di distanza dagli Stati Generali della Lingua Italiana, che si svolsero a Monaco nell’aprile del 2016, si è tenuto a Berlino il 19 e 20 ottobre scorsi un convegno dedicato al tema “L’italiano, una lingua per l’Europa”. Promossa dall’Ambasciata d’Italia e dall’Istituto italiano di cultura, oltre che da varie associazioni quali l’ADI (Associazione Docenti di Italiano in Germania) il DIV (Deutscher Italianistenverband) la VDIG (Vereinigung Deutsch-Italienischer Kultur-Gesellschaften) e sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica Italiana, la manifestazione si è tenuta ben lontana dai toni autocelebrativi con cui spesso e volentieri si magnificano le sorti della lingua italiana enfatizzandone la progressiva espansione senza tener conto delle difficoltà e dei problemi reali. È stata viceversa l’occasione di un confronto schietto, tra esperti, addetti ai lavori, insegnanti e semplici curiosi in cui si è cercato di fare il punto della situazione focalizzando l’attenzione sulla molte criticità che si registrano e discutendo delle possibili soluzioni per uno sviluppo futuro positivo.

Come eravamo: quando il bilinguismo era un problema.

La prima giornata del convegno è stata dedicata alla promozione dell’italiano. La giornalista Sandra Maria Gronewald della ZDF ha presentato sul palco vari ospiti del mondo degli affari, dell’accademia, del giornalismo, della cultura, dell’insegnamento e dell’associazionismo chiedendo a ciascuno di mostrare quali siano le potenzialità dell’italiano come lingua non solo di cultura, ma di comunicazione globale. Tra le testimonianze più interessanti vale la pena citare quelle di Andreas Züge, direttore della sede milanese della fiera di Hannover e di Andrea Carlo Cerri, manager delle Assicurazioni Generali a Berlino, i quali hanno chiarito quanto la competenza linguistica sia stata per loro non solo condizione irrinunciabile per la loro carriera, ma anche chiave di successo e di integrazione nei rapporti quotidiani. Tra gli ospiti intervistati c’era anche Sandra Maischberger, noto volto televisivo, la quale ha raccontato della sua infanzia a Roma e del suo intenso rapporto con l’italiano anche a scapito del tedesco.

Il momento clou è stata l’intervista di Sabina Magnani von Petersdorff a Giovanni Di Lorenzo, affermato giornalista, direttore della Zeit e soprattutto noto italo-tedesco. Ha presentato la sua visione a tratti molto personale di ragazzo cresciuto tra due mondi, due lingue e due culture, del suo definirsi attraverso la lingua. Di Lorenzo ha ricordato in particolare quanto sia stato difficile il suo trasferimento all’età di 11 anni da Roma ad Amburgo negli anni Settanta: pur parlando piuttosto bene il tedesco, l’inserimento a scuola in Germania è stato difficile e la derisione da parte dei compagni, a causa dell’accento italiano, continua e pesante. Lo stesso corpo docente non era preparato ad affrontare una situazione del genere. Insomma, nella Germania degli anni Settanta il bilinguismo non solo non era considerato un valore aggiunto, ma addirittura era sentito come un intralcio per l’apprendimento del tedesco. E se anche oggi la situazione è certamente migliorata, non c’è dubbio che nella mentalità di molti insegnanti tedeschi permane una forte resistenza ad accettare il fatto che un bambino capace di parlare con disinvoltura due lingue, anche se con qualche inflessione inappropriata, sia una condizione di vantaggio rispetto a quella del monolinguismo perfetto.

I dati dell’italiano oggi in Germania.

Nel corso della seconda giornata di lavoro si sono svolte alcune tavole rotonde dedicate all’insegnamento dell’italiano a livello scolastico, universitario, e nei corsi offerti dalle Volkshochschulen e dagli Istituti italiani di cultura. E qui sono emerse le note dolenti, a tratti dolentissime. Soprattutto per quanto riguarda i dati della scuola. In tutta la Germania, considerando i vari livelli di scuola dalla prima elementare alla maturità, il numero complessivo di alunni che studia l’italiano si attesta attorno a 47mila, con un progressivo arretramento (meno 5% rispetto all’anno precedente). Siamo distanti anni luce dall’inglese (studiato praticamente da tutti gli alunni tedeschi), ma anche dal francese (circa 1,4 milioni), dallo spagnolo (400mila) e perfino dal russo (100mila). Come si spiega questo scarso interesse per l’italiano e questo gap clamoroso rispetto alle altre due lingue neolatine? Tra le spiegazioni fornite dagli esperti c’è quella che ricollega la questione a un generale indebolimento delle lingue a favore di una maggiore attenzione dedicata alle cosiddette Kernfächer. “materie fondamentali” (tedesco, inglese e matematica). Per rilanciare l’italiano almeno a livello di scuola secondaria si dovrebbe puntare tra l’altro sul suo carattere di Gymnasialfach, ovvero sulla sua spendibilità interdisciplinare (legame con la musica, con l’arte, la storia e con la cultura classica) nonché sulla sua crescente importanza commerciale.

A livello universitario si riscontra una situazione di grave difficoltà per quanto riguarda i più tradizionali corsi di studio a carattere letterario, linguistico e filologico: all’elevata qualità della ricerca scientifica, non corrisponde un ritorno in termini numerici. Segnali di ripresa o di tenuta vengono da quelle realtà accademiche che hanno cercato di definire un’offerta più specifica, perseguendo ad esempio approcci interdisciplinari o diplomi binazionali ben architettati che rispondono alla domanda degli studenti. Molto migliore è la situazione dell’italiano insegnato nei Centri Linguistici d’Ateneo, dove l’insegnamento linguistico è accompagnato a prospettive più concretamente professionalizzanti.

Infine, per quanto concerne i corsi delle Università popolari (Volkshochschulen), degli Istituti italiani di cultura e dei Comitati Dante Alighieri si registra, almeno nelle grandi città, una buona tenuta della domanda da parte di un pubblico tendenzialmente anziano, benestante e con un buon livello di istruzione.

Italiano “lingua della Germania”: una proposta.

In questo panorama non troppo esaltante un ruolo di primo piano dovrebbe giocare la comunità italiana attraverso le sue rappresentanze elettive (Comites e deputati eletti nelle circoscrizioni estere) e soprattutto attraverso le iniziative che partono dal basso sulle base di esigenze concrete. Non è certo un caso che i passi in avanti più significativi degli ultimi decenni per l’insegnamento dell’italiano siano venuti in quelle città dove ci sono comunità di italiani più dinamiche e innovative che hanno compreso l’importanza di dare ai loro figli un’educazione bilingue salvaguardando la componente dell’italiano. Mi riferisco a Berlino, a Monaco e a Francoforte dove, per l’impegno e la pressione esercitata da centinaia di connazionali si è arrivati a istituire asili bilingui, sezioni bilingui dentro scuole tedesche e anche vere e proprie scuole italo-tedesche.

È un peccato che tra i relatori delle tavole rotonde del convegno berlinese non ci fossero anche rappresentanti della comunità italiana, ma gli 800mila italiani che vivono stabilmente in Germania costituiscono una risorsa fondamentale per la promozione e la diffusione della lingua italiana. È una prerogativa che altre nazioni come Francia e Spagna non hanno. Molti degli italiani residente nella Bundesrepublik hanno per altro il passaporto tedesco, sono cittadini tedeschi pleno iure. Di fatto la lingua italiana è una lingua parlata in Germania da migliaia di persone, e molti di questi parlanti italiano detengono la cittadinanza tedesca. Non sarebbe il caso di far valere questo argomento presso le autorità competenti per avere un riconoscimento pieno di tale situazione? Non si tratta di garantire agli italiani di Germania uno status di minoranza etnica o linguistica, ma di riconoscere ufficialmente che l’italiano è una “lingua della Germania”, ovvero una “lingua parlata in Germania”. Un riconoscimento del genere obbligherebbe i governi dei vari Länder a garantire nelle scuole l’insegnamento della lingua italiana perché la lingua di una comunità di cittadini residenti stabilmente sul suolo tedesco. Forse si tratta di una pura utopia, ma in fondo decenni orsono anche la doppia cittadinanza italo-tedesca era considerata un’utopia, eppure è stata realizzata.

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