Francoforte - Manifestazione per l'Ucraina contro l'invasione russa. Foto ©Daniele Messina_cdi

Premesso che la guerra è sempre una sconfitta per tutti, non ci sono né vinti né vincitori, ma l’unico che può dirsi felice è “il MALE”

Ma da cosa nasce la guerra? Dalla voglia di dimostrare che sei più forte del tuo “nemico” oppure dalla volontà di dimostrare che sei economicamente più forte di lui?

Il problema principale è sempre – comunque – una questione economica, talune volte nascoste da situazioni religiose, altre da fattori di etnia o storiche, ma andando in fondo è sempre una questione economica.

Nella storia attuale Russia-Ucraina, il tutto incomincia già dalla nascita e dalla finalizzazione del gasdotto di proprietà della compagnia energetica russa Gazprom. Nord Stream 2 è un gasdotto da 11 miliardi di dollari che si estende sul fondo del Mar Baltico per oltre 1.200 km, dall’ovest della Siberia alla Germania. Il progetto Nord Stream è nato nel 1997 per portare il gas naturale russo in Germania senza attraversare i Paesi baltici, quelli del gruppo di Visegrad – Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia, Ungheria – la Bielorussia e appunto Ucraina. Questi Paesi perdono in questo modo il ricavato dei diritti di transito e non possono intervenire sul percorso per far leva sulla fornitura di gas all’Europa mettendo così pressione negoziale alla Russia. Completato nel settembre del 2021, il gasdotto non è ancora operativo, in attesa del via libera da parte degli enti regolatori tedeschi e della Commissione Ue, anche se nella attuale situazione il cancelliere tedesco Scholz ha bloccato tutto fino a data da destinarsi.

Il nuovo gasdotto raddoppia la capacità di Nord Stream 1 portandola a 110 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Quindi l’interesse da parte statunitense in questa situazione è quello di fornire il gas americano o dal Qatar e non ricevere il gas russo, che se è pur vero da un punto di vista economico la Russia è inferiore agli Stati Uniti, allo stesso tempo la Russia dimostra la sua forza bellica, e ne è esempio ciò che sta succedendo; ma il punto principale è l’inadeguatezza di questa commissione europea e la volontà di mettere governi fantoccio nelle ex repubbliche dell’URSS come in Bielorussia, persone che rispondono unicamente a Mosca.

Francoforte – Manifestazione per l’Ucraina contro l’invasione russa. Foto ©Daniele Messina_cdi

“La nostra posizione è molto chiara: se la Russia invade l’Ucraina, in un modo o nell’altro il Nord Stream 2 non deve andare avanti”.

La presa di posizione dell’amministrazione Usa, storicamente ostile al progetto, e ribadita durante il colloquio tra il presidente americano Biden ed il cancelliere tedesco Scholz, a Washington, ha messo il gasdotto al centro della crisi Russia-Ucraina in corso ed è stato uno dei nodi affrontati anche nei colloqui tra Putin e il cancelliere tedesco Olaf Scholz, il quale, rispondendo alla domanda se la Germania avrebbe bloccato il Nord Stream 2, aveva dichiarato: “se ci sarà un’azione militare russa in Ucraina le conseguenze saranno chiare”.

Sullo sfondo ci sono i problemi di approvvigionamento energetico che l’Europa sta vivendo in quest’inverno. Ma bisogna anche ricordare che l’ex cancelliere tedesco Gerhard Fritz Kurt Schröder, alcuni mesi dopo la fine del mandato politico, accettò la nomina di Gazprom a capo del consorzio Nord Stream AG, che si è occupato della costruzione dell’omonimo gasdotto tra la costa russa nella regione di Vyborg e la costa tedesca nella regione di Greifswald, passando per il Mar Baltico.

In seguito, si è occupato della costruzione del gasdotto Nord Stream 2 ed è stato nominato presidente di Rosneft, società russa operante nel settore petrolifero e del gas naturale.

Francoforte – Manifestazione per l’Ucraina contro l’invasione russa. Foto ©Daniele Messina_cdi

Quindi di cosa parliamo?

La posa della prima conduttura Nord Stream è stata completata il 4 maggio 2011 e il 6 settembre dello stesso anno è entrato in funzione, inaugurato dall’allora presidente russo Dmitry Medvedev, dall’allora primo ministro francese Francois Fillon e dalla Cancelliera Angela Merkel l’8 novembre 2011. Viene costruita poi una seconda linea del gasdotto Nord Stream che entra in funzione nell’ottobre 2012. E poco dopo si comincia a passare a un ulteriore ampliamento della cubatura di gas da portare in Europa.

Nasce così il progetto di Nord Stream 2 che ha incontrato fin da subito la forte opposizione degli Stati Uniti, proseguita anche durante l’amministrazione Trump. Contrari l’Ucraina e alcuni Stati europei membri della Nato come la Polonia. Per i critici il gasdotto consegna a Mosca un’arma di controllo geopolitico sull’Europa e in particolare sulla Germania attraverso il dominio del mercato energetico. Sul fronte tedesco, Olaf Scholz aveva appoggiato il progetto quando era ministro delle Finanze di Angela Merkel.

Nell’incontro con Biden il cancelliere ha evitato il nodo Nord Stream 2, ma ha comunque avvertito che in caso di aggressione la Russia affronterà “conseguenze gravi” e si è detto favorevole in quel caso a sanzioni. Quindi bisognerà distinguere quella che è propaganda e quella che è la situazione reale, senza dimenticare la storia delle cosiddette repubbliche – non riconosciute da nessuno, solo qualche giorno fa dalla Russia, ma per ovvi motivi – del Donbass, questa regione dell’Ucraina – a quasi maggioranza russa – che si è distaccata nel marzo 2014, in seguito all’Euromaidan e alla rivoluzione ucraina del 2014.

Infatti vaste aree del Donbass furono prese da disordini e questa agitazione in seguito si trasformò in una guerra da parte dei separatisti filo-russi affiliati alle autoproclamate “Repubbliche popolari” di Donetsk e Luhansk (come già ribadito nessuna delle due è riconosciuta legittima da qualsiasi membro delle Nazioni Unite e solo dalla Russia da qualche settimana circa), che con il suo sostegno, compresa la fornitura di armi e munizioni e la partecipazione di servizi militari e di sicurezza, mercenari e volontari, agisce contro il governo dell’Ucraina, in modo tale da riprendere in parte ciò che si sciolse con la fine dell’URSS e comunque avere un governo che “risponda” a Mosca, come già ricordato.

Ecco quindi andare in onda non una guerra civile interna all’Ucraina, ma di un conflitto internazionale che vedrebbe di fronte la Russia e l’Occidente, e già dopo cinque ore dall’inizio dell’invasione e degli scontri c’era un bilancio di centinaia di morti, tra soldati e civili. Ma prima dell’invasione con i carri armati il Giovedì Grasso, a seminare il caos è intanto la cyberguerra strisciante da settimane, arrivata a sabotare alcuni dei principali siti web istituzionali ucraini. Sotto attacco hacker sono finite le pagine del Parlamento ucraino, la Rada, del ministero degli Esteri e persino dei servizi di sicurezza, insieme a molte altre; ma la cyberguerra non riguarda solo l’Ucraina ma anche altri paesi europei ed extraeuropei.

Però anche un po’ di storia ci aiuta a capire queste ore buie per l’Europa. Il nome Ucraina (Ukraïna) è etimologicamente legato al termine slavo “kraj” (limite, bordo), che indica una “terra di confine”. L’Ucraina è infatti, una vasta pianura dagli incerti confini, densamente popolata, ricca di risorse agricole e minerarie.

Le origini storiche di questa terra sono antiche: fu chiamata Scizia dai greci e Sarmatia dai romani. Dal medioevo fino alla caduta dell’Impero austro-ungarico fu conosciuta in Occidente come Rutenia, mentre in Russia, era chiamata “Piccola Russia”, per affermare la sua appartenenza all’Impero degli Zar.

L’Ucraina è infatti la culla della Russia, la cui nascita risale alla conversione al Cristianesimo del principe Vladimir I (980-105), detto il Santo. Il Regno di Kiev da lui fondato fu il più antico Stato slavo cristiano, che si estese dal Baltico al Mar Nero, fino ai Carpazi, costituendo una delle Confederazioni più importanti dell’Europa medioevale. Però nel 1240 questo vasto regno fu quasi completamente distrutto dai mongoli, la cui dominazione si protrasse per oltre 250 anni.

Il regno di Kiev, pur aderendo allo scisma di Oriente (1054), aveva fatto parte della Cristianità occidentale. Lo Stato moscovita che si affermò nel XVI secolo, dopo la liberazione dai mongoli, sviluppò l’eredità di Bisanzio in senso antieuropeo. Sebbene con Pietro il Grande la Russia fosse entrata a far parte del sistema degli Stati europei, l’impero zarista fu sempre percepito come una minaccia dagli altri Stati del vecchio continente per la sua connotazione asiatica e il suo carattere autocratico.

Nel corso dei secoli l’Ucraina fu più volte smembrata e sottoposta, di volta in volta, ai Granduchi lituani e ai re di Polonia, all’Impero russo e a quello austriaco, ma rimase culturalmente legata all’Occidente e i suoi abitanti rifiutarono sempre i termini di ‘piccola Russia’ o ‘nuova Russia’ (‘Novorossija’), usati dagli Zar e oggi riproposti da Putin.

Dopo il crollo dell’Impero zarista durante la Prima guerra mondiale, gli Imperi centrali, con il Trattato di Brest-Litovsk del 3 marzo 1918, imposero ai bolscevichi il riconoscimento dell’Ucraina indipendente. L’Armata rossa, nel suo intento di esportare la Rivoluzione in Occidente, attaccò la Polonia, ma nell’agosto del 1920 fu sconfitta sulla Vistola dal generale Józef Piłsudski (1867-1935), che passò al contrattacco, tentando di riconquistare i territori dell’antica Confederazione polacco-lituana.

Il Trattato di Riga, firmato il 18 marzo 1921 dalla Polonia da un lato e dalla Russia e dall’Ucraina dall’altro, segnò il fallimento del progetto di Piłsudski e, come scrive il conte Emmanuel Malinsky (1875-1938): “può essere considerato il vero giorno di nascita dello Stato bolscevico”.  Nel 1922 l’Ucraina entrò ufficialmente a far parte dell’URSS, con l’eccezione della Galizia e della Volinia, assegnate alla Polonia. Da allora, se si eccettua l’occupazione nazionalsocialista del 1941-1943, restò sovietica fino alla proclamazione della sua indipendenza, l’8 dicembre 1991.

Francoforte – Manifestazione per l’Ucraina contro l’invasione russa. Foto ©Daniele Messina_cdi

L’Ucraina post-sovietica sta cercando di entrare nella Nato e nell’Unione Europea, per difendersi dall’egemonia Russa, mentre Mosca vuole preservare la propria influenza su una nazione con cui condivide oltre 1500 chilometri di confine.

Il conflitto in corso è anche una “guerra del gas” in cui è in gioco il futuro energetico dell’Europa. Da una parte c’è la Russia, che è il principale fornitore del nostro continente; dall’altra gli Stati Uniti, che vogliono entrare nel mercato europeo con il loro Gnl (Gas naturale liquido) che viene trasportato sulle navi e costa più di quello della Russia che arriva con le “pipeline”.

Il problema però non è solo economico. Putin, si propone di restituire alla Russia una nuova coscienza imperiale ed è deciso a non tollerare ulteriori espansioni a Est della Nato dopo l’adesione delle Repubbliche baltiche e dei Paesi dell’ex-Patto di Varsavia.

Come osserva il politologo Alexandre Del Valle, “tutta la politica estera di Vladimir Putin si inserisce in questa forte tendenza della geopolitica russa tradizionalmente orientata alla conquista territoriale delle aree che circondano il suo nucleo storico centroeuropeo. In questo sistema, l’Ucraina rappresenta ovviamente il fulcro che permette alla Russia di tornare ad essere una potenza eurasiatica perché, da questo Paese, la Russia può proiettarsi sia sul Mar Nero e sul Mediterraneo orientale che sull’Europa centrale e balcanica. Da qui la strategia americana volta a sostenere in Ucraina, come in Georgia e altrove, le forze politiche ostili a Mosca”.

Per chi vede le cose con gli occhi della fede, al di là degli interessi geopolitici contrapposti, di Biden e di Putin, la prima domanda da porsi riguarda il bene delle anime.

Sotto quest’aspetto, che per noi è il più importante, non possiamo dimenticare che l’Ucraina è il centro della Chiesa greco-cattolica ucraina, di rito bizantino, con sede in Kiev, dove l’arcivescovo Svjatoslav Ševčuk, occupa oggi la cattedra arcivescovile che fu dell’intrepido cardinale Josyp Slipyj (1892-1984), deportato per 18 anni nei lager comunisti.

Inoltre, nella regione ucraina della Transcarpazia esiste anche la Chiesa greco cattolica rutena di rito bizantino, che conta tra i suoi martiri l’eparca Teodoro Romža, assassinato su ordine di Nikita Chruščëv, il 1º novembre 1947 e beatificato dal papa San Giovanni Paolo II, il 27 giugno 2001.

Oggi costituisce l’eparchia di Mukačevo, immediatamente dipendente dalla Santa Sede. L’espansionismo della Russia non corrisponde solo alle ambizioni geopolitiche di Putin, ma anche alla richiesta del Patriarcato di Mosca di esercitare la propria autorità religiosa in tutto lo spazio ex-sovietico, contro quelle che esso definisce le indebite ingerenze del Patriarcato di Costantinopoli e soprattutto del Vaticano.

Putin, da parte sua, è consapevole del fatto che la Russia non può fare a meno dei suoi legami con la chiesa ortodossa, che conferisce al regime legittimità morale e supporto in termini di consenso. L’annessione da parte di Putin dell’Ucraina, o di una parte di essa, rappresenterebbe una russificazione del paese che rafforzerebbe il ruolo della chiesa ortodossa russa a scapito di quella cattolica di rito bizantino.

Gli interessi politici dei cattolici non coincidono né con quelli di Putin né con quelli di Biden, ma sul piano religioso, che è il più elevato, bisogna respingere ogni forma di espansione del Patriarcato di Mosca nelle terre slave e forse domani in Occidente.

La Chiesa cattolica attraversa oggi una grave crisi interna, ma la soluzione a questa crisi può venire solo dalla parola di Verità della Chiesa di Roma, non certo dal “Drang nach Westen”, la spinta verso Occidente dall’autocefalia ortodossa.

E non dimentichiamo che come scriveva Pablo Neruda: “Le guerre sono fatte da persone che si uccidono senza conoscersi…. per gli interessi di persone che si conoscono ma che non si uccidono”.

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