Di prossimo inizio il processo di un’intera generazione di manager Volkswagen. La più grande truffa mai attuata nel settore automobilistico mondiale continuerà ad occupare la giustizia tedesca ancora per molti anni. Resta solo da vedere, dopo i circa 30 miliardi di dollari versati negli Usa, quanti miliardi di euro la Volkswagen dovrà prossimamente pagare in Germania

Quando tre anni e mezzo fa nel settembre del 2015 Martin Winterkorn rassegnò le sue dimissioni come amministratore delegato (ceo) del gruppo automobilistico Volkswagen, egli e con lui tutto il management di Wolfsburg pensò che l’angosciosa vicenda del “dieselgate” esplosa nel settembre del 2015 negli Stati Uniti fosse così finita. Al ”dieselgate” l’intero mondo, e non soltanto quello automobilistico, collega ormai lo scandalo dei motori manipolati del gruppo Volkswagen: oltre 11 milioni di esemplari messi in circolazione tra il 2006 e il settembre del 2015 a livello globale, senza che non solo il ceo Winterkorn ma anche l’intero comitato amministrativo Vw ne fosse mai stato messo al corrente. Così almeno si continua ancora a sostenere negli ambienti della centrale di Wolfsburg. Ora, dopo tre anni e mezzo di assidue indagini, la Procura di Braunschweig ha ufficialmente accusato l’ex ceo Martin Winterkorn e nello stesso tempo anche altri quattro manager del gruppo di Wolfsburg di essere stati a conoscenza dei motori truccati almeno dal maggio del 2014, ma di non averlo mai reso noto fino al settembre 2015 quando lo scandalo divenne di pubblico dominio su iniziativa americana. Ora anche in Germania anche Winterkorn insieme con altri quattro manager, dei quali non è stato ancora reso noto il nome e le relative funzioni, sono ufficialmente accusati di frode e di violazione della legge contro la concorrenza sleale da parte della Procura di Braunschweig. La quale, come si legge nel comunicato diffuso a metà dello scorso mese di aprile, accusa l’ex ceo Winterkorn e gli altri quattro alti funzionari “di non aver rivelato alle autorità e ai clienti in Europa e negli Stati Uniti la manipolazione dei motori diesel illegali dopo esserne venuti a conoscenza” e di aver conseguentemente chiesto che essi siano processati.

Frode decennale

Dopo la formulazione delle accuse, per la quale la Procura di Braunschweig ha impiegato oltre tre anni, l’inizio del processo non dovrebbe tardare molto, nonostante i molti espedienti cui la difesa presubilmente ricorrerà. Secondo la Procura non corrisponderebbe a verità il fatto che Winterkorn e gli altri manager siano venuti a conoscenza della frode soltanto nel settembre 2015, bensì è vero che come minimo essi ne fossero stati informati già nel maggio del 2014. Ora si dovrà attendere se il competente tribunale della Bassa Sassonia formulerà la richiesta di rinvio a giudizio dei cinque manager, che potrebbero subire condanne fino a dieci anni di carcere e venir obbligati anche a restituire i premi economici a suo tempo indebitamente percepiti. Al gruppo di Wolfsburg la frode, portata a termine con l’aiuto del gruppo Bosch, è costata sinora al gruppo Volkswagen una trentina di miliardi di euro, pagati per la maggior parte negli Usa ma in parte anche in Germania: un milione di euro al Land della Bassa Sassonia, secondo azionista Volkswagen, e 800mila euro alla Baviera, azionista dell’affiliata Audi. I cinque ex alti manager del gruppo Vw sono, comunque, soltanto il gruppo di punta degli accusati e alle loro spalle ce ne sono almeno altri settanta, in parte ancora attivi, i quali in un qualche modo avrebbero partecipato alla manipolazione dei gas di scarico dei motori diesel. Va, inoltre, anche precisato che le autorità giudiziarie di Braunschweig, di Monaco e di Stoccarda, insieme con l’americana FBI non perseguono solo la frode dei gas di scarico ma anche i reati di manipolazione di capitale, di falsificazione di documenti, di sottrazione di importi fiscali e, per finire, anche quelli della distruzione di documenti di prova. Winterkorn e gli altri imputati sostengono che le accuse sarebbero infondate e su questo aspetto saranno ovviamente prossimamente i tribunali a decidere. Una cosa è e resterà incontestabile: nessuno degli alti responsabili del gruppo Volkswagen fece a suo tempo qualcosa per impedire la vendita delle auto manipolate e quindi inquinanti sui mercati internazionali.

Centraline Bosch truccate

In che cosa consistesse la truffa lo abbiamo già spiegato, ma vale la pena di farlo ancora una volta per i nostri lettori. Con l’aiuto della Bosch di Stoccarda la Volkswagen aveva deciso di inserire nei suoi motori un software molto sofisticato in grado di alterare i test sulle emissioni dei gas dannosi dei motori diesel, i quali in questo modo risultavano molto migliorati.

Queste centraline Bosch era sigillate e in nessun modo potevano essere aperte e modificate da un costruttore di automobili senza un intervento della Bosch, ragion per cui anche il gruppo di Stoccarda risulta complice nella vicenda dieselgate. “Perché è impensabile che non fosse a conoscenza del fatto che ci fosse un sistema illegale nel software di quelle centraline di cui la Bosch aveva la responsabilità della progettazione, dello sviluppo del prodotto, dei test e della manutenzione”, così sostengono i legali.

Sinora gli avvocati della Bosch non hanno una precisa presa di posizione al riguardo, pur sostenendo di prendere molto seriamente tutte le accuse, anche quelle che provengono direttamente dalla Volkswagen, la quale per prima deve rispondere alle accuse di frode per i test truccati sulle emissioni. Il problema è che difficilmente la Volkswagen è in grado di giustificare credibilmente il perché di quel dispositivo che sui banchi di prova, soprattutto in quello per il collaudo ufficiale del motore, doveva dar prova di rispettare i parametri di emissione dell’ossido di azoto (NO2) previsti dalle leggi europee e americane, per poi una volta su strada essere libero di inquinare in tutta libertà e pericolosità. A maggior ragione non è oggi in grado di farlo l’ex ceo Martin Winterkorn, il quale ha lavorato per 34 anni per il gruppo Volkswagen, prima come responsabile dello sviluppo, poi come capo dell’affiliata Audi e poi alla fine come capo per l’intero gruppo Volkswagen. Anni durante i quali s’era costruito la fama di un temuto, intransigente e preciso indagatore di ogni particolare costruttivo.

La Procura di Braunschweig oggi accusa i dirigenti che presto saliranno sul banco dell’accusa di aver causato enormi danni al gruppo Volkswagen, per un totale di almeno 78 miliardi di euro, tenuto conto che il famigerato software fu montato in circa undici milioni di auto del gruppo di Wolfsburg. 78 miliardi di euro sono una somma molto forte, soprattutto considerato che sinora la Volkswagen ne già pagati circa 30 miliardi, soprattutto negli Stati Uniti. È una stima calcolata dalla Procura della Braunschweig, ma dagli inizi del settembre 2016 il Landeskriminalamt della Bassa Sassonia arrivò a calcolare che i danni provvisori accusati dai clienti VW nei 28 Paesi dell’Unione Europea arrivano a 170 miliardi di euro. Dall’altra parte, dal punto di vista della Volkswagen, si afferma che in Europa non ci sarebbe oggi alcun danno da pagare in quanto il gruppo di Wolfsburg si sarebbe già impegnato a mettere in ordine a sue spese tutti i motori diesel che circolano sui mercati europei. Ragion per cui, diversamente dagli USA, gli automobilisti europei non avrebbero oggi alcun motivo di chiedere danni al gruppo Volkswagen.

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