MONACO – La ripresa della guerra in Siria riporta il Medio Oriente al centro dell’attenzione mondiale

Sicurezza e pace sono gli elementi di un binomio inscindibile: una presuppone l’altra e viceversa. Esse sono i requisiti essenziali per avere sviluppo e prosperità. Nonostante oggi interi continenti abbiano raggiunto un grado di benessere senza precedenti, in Asia e in Africa le popolazioni di vaste aree geografiche vivono in assoluta povertà e per di più sotto la minaccia della guerra. I fattori che minacciano, a livello locale e globale, la sicurezza e la pace sono svariati e molteplici, e tra di loro interconnessi. Alcuni sono difficili da identificare. Altri lo sono di meno. Soprattutto se trovano corpo nelle parole degli uomini e nei loro gesti.

La 54a Conferenza sulla sicurezza di Monaco sarà ricordata per le parole e gesti del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. La conferenza ha avuto luogo dal 16 al 18 febbraio scorsi. Nel suo discorso Netanyahu ha accusato senza mezza termini l’Iran di minacciare la pace mondiale. Come prova ha mostrato, sollevandolo, un pezzo di un drone iraniano. Quella iraniana è “una minaccia per Israele, per il mondo arabo e per voi” ha affermato senza mezzi termini rivolgendosi al pubblico. “L’Iran vuole annientare Israele e dominare il Medio Oriente. Sta sviluppando missili balistici che possono minacciare tanto l’Europa quanto l’America. Se già oggi l’Iran è una minaccia concreta pensate a cosa potrà essere quando avrà sviluppato il suo arsenale nucleare. Ciò avverrà in non più di dieci anni”.

Secondo Netanyahu prossimamente i territori che più rischiano di diventare oggetto delle mire espansionistiche iraniane saranno quelli siriani. “L’Iran vuole stabilire basi militari in Siria, a oltre 500 km di distanza dal suo territorio. E basi navali nel mediterraneo. Potete immaginare sottomarini iraniani vicini alla sesta flotta?” (ndr: è la flotta americana di stanza nel mediterraneo). “L’Iran vuole colonizzare la Siria” (ndr: come se Israele non avesse colonizzato, negli ultimi cinquanta anni, buona parte dei territori della Cisgiordania). “Israele non permetterà che questo succeda. Abbiamo distrutto il drone che ha violato la sovranità del nostro territorio e minacciato la nostra sicurezza. Abbiamo distrutto i centri operativi di controllo remoto basati in Siria e le batterie antiaeree siriane. Ci difenderemo dagli attacchi colpendo non solo le minacce vicine, ma lo stesso territorio iraniano”.

Netanyahu ha anche criticato l’accordo sul nucleare iraniano che, avviato “con intenti pacificatori, ha solo reso più ambizioso questo regime”. Poi, mostrando il pezzo del drone abbattuto ha fatto una domanda provocatoria al ministro degli esteri iraniano, guardando un punto imprecisato nel pubblico: “Mister Zarif questo è tuo, lo riconosci? Puoi riportartelo a casa con questo messaggio: non metteteci alla prova”. Ma in quel momento Mohamed Javad Zarif, pur partecipando alla conferenza, non era presente in sala. Lo è stato subito dopo il primo ministro israeliano. “Un numero da circo” ha commentato ironicamente. E, alludendo ai problemi legali di Netanyahu, ha aggiunto che alcuni “ricorrono ai cartoni animati per giustificare i propri errori o forse per evitare crisi interne”.

Dopo Netanyahu anche Adel Al-Jubeir, ministro degli esteri dell’Arabia Saudita, ha detto peste e corna dell’Iran. Lo ha fatto con riferimento alle soppressioni del regime nei confronti della popolazione civile, al supporto ai gruppi terroristici nell’aria mediorientale, alla capacità di sviluppo di armi nucleari e, non da ultimo, all’inefficacia dei controlli degli ispettori dell’ONU. Della Siria il ministro saudita invece non ha parlato. Ma solo un anno fa, sempre a Monaco, aveva affermato che non ci sarebbe stata pace in Siria fintanto che il presidente Bashar al-Assad fosse rimasto al suo posto: “un uomo che ha causato la morte di trecentomila persone, la fuga di dodici milioni di siriani e che ha distrutto il proprio paese non può avere un futuro in Siria”.

Purtroppo la conta aggiornata dei morti è molto maggiore della cifra riportata un anno fa dal ministro saudita. Sarebbero mezzo milione. Durante il 2017 la progressiva sconfitta dei terroristi dell’Isis aveva fatto sperare nella fine dei combattimenti. La vittoria di Bashar al-Assad sui ribelli, vittoria ottenuta grazie al sostegno russo e iraniano, aveva fatto sperare in una tregua seguita da una pace duratura. In questa direzione si erano svolti in Kazakhstan, a fine gennaio, i colloqui di Astana tra governo e ribelli, colloqui patrocinati dall’ONU. Pochi giorni dopo le cose sono precipitate nuovamente. Agli scontri nelle zone di frontiera del nord-ovest del paese, dove l’esercito di Erdogan ha bombardato non solo i curdi di Afrin, ma le stesse truppe governative siriane, si sono aggiunti dal 19 febbraio fitti bombardamenti di Assad contro i ribelli asserragliati a Ghouta est, distretto alle porte di Damasco, capitale del paese e sede il governo. Le distanze tra il palazzo presidenziale e i quartieri bombardati sono minime. Per capire, sono le stesse che separano il Colosseo dall’EUR.

La violenza dei bombardamenti è il segno tangibile del fatto che Assad vuole liberarsi una volta per tutte delle ultime sacche di resistenza che ancora minacciano il suo regime. Ma è anche segno tangibile della sua criminale disumanità. Nel distretto di Ghouta est vivono quattrocentomila civili, famiglie impossibilitate alla fuga a causa dei posti di blocco imposti dal regime. In una sola settimana sono morte 500 persone, un quarto di esse bambini. E’ uno sterminio deliberato, un nuovo crimine contro l’umanità. E l’ONU? Soggetto com’è ai veti della Russia in sede di Consiglio di Sicurezza, l’ONU è praticamente impotente. E l’America? L’America è poco più che assente, e forse è meglio così. Pochi lo dicono, ma la verità è che l’America e i suoi alleati nella regione, Turchia, Saudi Arabia e naturalmente Israele, hanno perso la guerra in Siria. Almeno finora. I vincitori sono Assad e i suoi amici russi e iraniani. Di qui le paure e le minacce di Netanyahu.

La realtà sotto gli occhi di tutti è che in Medio Oriente sta avendo luogo una guerra mondiale in miniatura, papa Francesco già nel 2014 la chiamò la terza guerra mondiale. Una guerra che si combatte in quella che una volta era la Siria, diventata oggi terra di nessuno, dove persino i portatori di aiuti umanitari si trasformano in persecutori e aguzzini.

Durante la Conferenza di Monaco, un giorno prima che iniziasse il massacro di Ghouta, Staffan de Mistura, inviato speciale dell’ONU per la Siria, aveva lanciato l’allarme: “Mai come ora ho visto tanti occhi puntati sulla Siria. Oggi il vero problema è la frammentazione del suo territorio”. Pronunciando queste parole il diplomatico italo-svedese ha mostrato una cartina della Siria. “La frammentazione porta con sé il rischio di una balcanizzazione del paese”. Il rischio è che nuove forme di organizzazioni terroristiche prendano possesso del paese impedendone la stabilizzazione. Contro questo rischio secondo de Mistura l’unica strategia sarà quella “della riunificazione della Siria attraverso un processo politico e nuove elezioni sia presidenziali che parlamentari”. Purtroppo i fatti successi all’indomani della conferenza di Monaco allontanano indefinitamente una soluzione di questo tipo.

Al di là delle pur preoccupanti minacce nucleari nordcoreane e delle scaramucce tra Donald Trump e Kim Jong-un il Medio Oriente continuerà ad essere la zona più a rischio per la sicurezza e la pace del pianeta. Continuerà ad essere un groviglio di questioni transnazionali che potrebbero sfociare in un allargamento della guerra nell’intera regione mediorientale. Continuerà ad essere una minaccia per la sicurezza in Europa. Ed è per questo che il vecchio continente dovrà continuare ad occuparsene. E lo dovrà fare anche rafforzando la propria capacità di difesa. E’ quello che hanno affermato le Ministre della Difesa tedesca e francese, Ursula von der Leyen e Florence Parly, nei loro discorsi d’apertura dei lavori della conferenza. Le due ministre hanno rimarcato l’importanza della Nato, ma anche la necessità di una difesa europea più autonoma e indipendente. Insieme e all’unisono hanno sottolineato l’importanza dell’amicizia franco-tedesca quale asse portante dell’Europa anche sul piano della sicurezza e della difesa.

L’Italia, che pure contribuisce con i suoi militari in molte missioni di pace in Medio Oriente e che avrebbe forti interessi a ricoprire un ruolo attivo nella costruzione una difesa europea, è stata praticamente assente dalla conferenza. La nostra ministra Pinotti non c’era. Probabilmente occupata a seguire le beghe della campagna elettorale. Tuttavia un suo intervento a Monaco avrebbe potuto contribuire anche più efficacemente alla campagna elettorale del suo partito facendo vedere il governo italiano e lì dove è necessario che sia. Un altro treno perso, tra i tanti di una politica distratta e senza visioni. Un’altra occasione mancata per affermare i nostri interessi su un tema, quello della sicurezza, di importanza strategica per il paese.

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