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Riforme audaci e sfide bancarie: il coraggio della Presidente Meloni nel contesto economico europeo

Abbiamo molto apprezzato che la Presidente del Consiglio, prendendo d’infilata l’opposizione, si sia sbilanciata non poco nei confronti delle banche. È stato per lo meno un segnale controcorrente e non ci ha stupito la campagna di stampa subito avviata contro di lei per la tassazione degli extraprofitti bancari e la sponda subito offerta da una larga parte della nostra informazione a questa Europa dei banchieri che fanno e disfano a proprio vantaggio.

Tra l’altro ha fatto bene la Meloni ad agire rapidamente o l’avrebbero bloccata come comunque cercheranno di fare: la “melina” piace tanto a chi alla fine non vuole che cambi mai nulla. Ricordiamoci che da sola Banca Intesa ha dichiarato un profitto di 4.2 miliardi di euro nel solo primo semestre 2023, iperutile realizzato non per maggior operatività interna ma di fatto solo grazie ai tassi BCE, mentre il sistema bancario ha lucrato anche sui Bonus 110%, giusto per ricordarcelo.

Il problema è politico e strategico: è assurdo che la BCE possa infatti alzare in un anno i tassi dallo 0,5 ad oltre il 4,25%, e gli interessi attivi (per le banche) schizzino di conseguenza aumentando di quasi dieci volte il costo degli interessi per i soldi prestati alle aziende e alla clientela, ma non venga riconosciuto un aumento proporzionale per esempio sui depositi, tanto che la differenza diventa solo un profitto non a vantaggio comune, ma solo delle stesse banche e dei fondi sovrani esteri che ci stanno dietro. Tutto viene sempre frettolosamente spiegato che la BCE con le sue manovre “vuole così raffreddare l’inflazione”; ma un semplice ragionamento economico sottolinea l’incongruità di ogni manovra se i profitti non vengono reinvestiti almeno in parte nel sistema, in alternativa sotto forma di tassazione forzosa. Se un’azienda paga il credito più caro, se si vede ridurre la liquidità e qualsiasi suo investimento diventa quindi più costoso, come non può che scaricare sul prezzo del prodotto buona parte di questi maggiori oneri? Quindi i tassi non riducono da soli l’inflazione, come è invece lo slogan usato dalla BCE per giustificarne gli aumenti, ma sostanzialmente si trasformano solo in (taciuti) enormi profitti bancari. Ma basta! In argomento la scelta del governo rompe finalmente una specie di atavico tabù e certi commenti – vedi quelli del Financial Times o di Moody’s, una volta di più cani da guardia e d’altronde sponsor dei banchieri – puntualmente lo confermano. La stessa Borsa, ha sofferto un giorno, poi è subito rimbalzata anche per i titoli bancari ed è assurdo che i commenti politici si concentrino sullo schierarsi pro o contro la Meloni e non cerchino piuttosto di spiegare bene ai lettori questi meccanismi che – tra l’altro – consigliano all’ Italia di indebitarsi il meno possibile per PNRR e MES.

Ci auguriamo che queste scelte del governo siano quindi solo l’inizio e che l’Italia progressivamente smetterà di essere così passiva nei confronti della BCE e sulle sue politiche monetarie, anche perché è veramente tutto da dimostrare che l’inflazione europea degli ultimi due anni sia dovuta a squilibri tra domanda ed offerta, mentre tutti capiscono che viene soprattutto per l’enorme rincaro delle materie prime a sua volta imposto e causato da scelte politiche (legate alla guerra in Ucraina) in parte discutibili, ma guerra – guarda caso – sempre accolta con applausi proprio dalla BCE. Crediamo che la mossa della Meloni potrebbe essere seguita anche da altri governi ponendo proprio il problema “politico” del controllo della BCE.

Non serve la demagogia, ma la concretezza ed abbiamo tutti bisogno di un’Europa più vicina ai cittadini e non schiava della burocrazia di Bruxelles o soprattutto degli gnomi delle banche centrali che a loro volta rispondono, prima che ai propri governi, ai loro azionisti ovvero – come nel caso della Banca d’Italia – alle banche che la controllano. È allucinante che la gente non capisca o conosca poco questo sconcertante meccanismo dove sono le stesse banche ad autodeterminarsi i profitti agendo non sull’efficienza e competitività interna ma solo sui tassi di interesse a livello europeo. Se chiedete a cento italiani chi controlli la Banca d’Italia quasi tutti sono stati portati a pensare che sia una autorità indipendente ed autorevole, una sorta di baluardo “tecnico” a difesa dell’economia e stabilità del paese, quasi nessuno sa che è invece di proprietà delle banche stesse e che quindi abbia ben chiari interessi “di parte”. (Banca Intesa e Unicredit sono i primi azionisti di Banca d’Italia, con oltre il 25% del capitale).

Di corollario tutti chiudono gli occhi su altre vicende, per esempio proprio sugli interessi da usura (altro capitolo su cui il governo potrebbe e dovrebbe intervenire con rinnovata fermezza imponendo tetti ragionevoli) applicati da banche e finanziarie sul “pronto credito” o gli sconfinamenti usando le carte di credito. Si tratta spesso di piccoli importi usati per necessità famigliari minute, ma che si moltiplicano nei momenti di crisi e allora perché non mettere un “tetto” agli interessi su questi crediti almeno fino ad un “gradino sociale” (per esempio applicare al massimo il 10% anziché le attuali punte che superano il 20% fino a sconfinamenti di 5.000 euro). Operazione finanziarie dove anatocismi e costi sono sottaciuti nei contratti e sconosciuti ai più, così come il cittadino non vede chiaramente chi lucra sui costi delle materie prime (vedi ingiustificati aumenti della benzina alla pompa) e di tanti altri prezzi che non vengono controllati o calmierati. Quanti notano ad esempio che i prezzi della benzina sono “a grappolo” per singole aree con un prezzo evidentemente pre-concordato tra gli impianti locali? Eppure, non si dovrebbe operare così…

Lo stesso vale per le speculazioni di Ryanair i cui biglietti sembrano costare poco anche perché la compagnia ottiene super sconti usando aeroporti e servizi. Una compagnia iper-speculativa che per sei anni di fila è stata giudicata la peggior linea aerea europea mentre i suoi piloti sono comprensibilmente in sciopero per paghe da fame (tanto i disservizi li paga il cliente). Tranquilli che la compagnia non lascerà l’Italia e in alternativa altre compagnie arriveranno in una logica di concorrenza. È sempre il monopolio che infatti fa aumentare i prezzi e va incoraggiato il governo quando faticosamente cerca di muoversi in questo campo, anche se è ovviamente subito criticato da chi rischia i propri interessi e profitti in gioco, palesi o nascosti. Riteniamo però che questa sia comunque la strada giusta a dimostrazione che un governo di destra può (e dovrebbe) essere molto più “sociale” di quelli precedentemente più di sinistra, ammesso che lo fosse – ad esempio – quello di Draghi, esecutivo che aveva imbarcato, ma guarda che strano, anche tutta la sinistra ufficiale compresi PD e il M5S che però allora al “salario minimo” non ci avevano proprio pensato.