Un po’ di storia. Continuano i racconti del Professore Lorenzo Morao

Una sera del dicembre 1917 il maggiore Hody della 23ª Divisione, appena partito da Montebelluna (Treviso) per il campo-base di San Floriano, si sentì chiedere un passaggio per Fanzolo da due capitani e quasi non credette ai suoi occhi, quando riconobbe in quello più mingherlino, biondo e bello, pieno di salute e di energia, il principe di Galles. Lo fece salire al suo fianco ed intrattenne con lui una conversazione, dalla quale si rese conto che il principe “era perfettamente al corrente di quanto stava accadendo e che sapeva il fatto suo. Un incontro che non dimenticherò”, annotò nel suo diario l’alto ufficiale.

Il futuro re Edoardo VIII° (20.1-11.12.1936), figlio del re Giorgio V°, alloggiava a Villa Emo di Fanzolo, sede del Comando del XIV° Corpo inglese. Le prime 4 Divisioni inglesi erano arrivate in Italia a fine di novembre, sulla base dell’accordo stipulato nel Convegno di Rapallo (6-7 novembre 1917), secondo il quale le truppe alleate sarebbero rimaste nelle retrovie finché l’esercito italiano non fosse riuscito con le proprie forze a bloccare l’avanzata nemica. Posero le loro basi a Mantova, dopo un lungo viaggio in treno o in camion dalle Fiandre. La disposizione d’animo degli “Dalle Fiandre all’Italia, da un paese di fanghiglia e di melma, con cielo cupo, pioggia e depressione, a una terra di caldo, di sole, di cieli blu”, scriveva il maggiore Hody della 23ª Divisione.

Delle truppe inglesi sono disponibili notizie dettagliate, grazie a numerosi diari tenuti da soldati ed ufficiali partecipanti alla spedizione. “Finalmente ero giunto in questa terra romantica e meravigliosa, una terra di cui m’innamorai a prima vista”, sospirava Norman Gladden, fuciliere dell’XI° Battaglione della 23ª. “È stato l’inizio di uno spettacolo”, così iniziava il suo diario Cyril Goldsmid, ufficiale di collegamento del IX° Lancieri. “Il nostro morale è aumentato del 50%. La riviera ha sollevato i nostri prostrati spiriti più di un bicchierotto di rum”, annotava il Tenente Colonnello H. R. Sandilands.

Giunsero nella Castellana (Treviso) il 29 novembre e nelle notti del 2 e del 3 dicembre andarono a presidiare il Montello. A contatto con i soldati italiani e con la gente dei paesi, ebbero modo di apprezzare l’ambiente, “il magnifico sole… che mette allegria ed il cielo blu” (Hody della 23ª), “il Montello, un ameno colle … coperto di vigneti e di campi coltivati e disseminato di boschetti”, (Gladden della 23ª) “quel paesaggio così sereno e tranquillo che si stentava a credere che già due possenti armate fossero schierate faccia a faccia” e “la bellezza delle ragazze italiane” (Gladden).

Ed apprezzarono anche il pane, la frutta, il vino rosso ed anche la polenta, ma spalmata di marmellata o aggiunta allo stufato di bue in scatola. Non rinunciavano al mattino, al cambio della guardia, alla rituale distribuzione di rum. Si meravigliarono della differenza dei sistemi igienico-sanitari, e dell’abitudine, adottata anche dagli Austriaci, di sospendere le operazioni dalle 12 alle 3 del pomeriggio per il pranzo e la siesta.

Molti soldati inglesi usavano andare alle fontane dei paesi dov’erano acquartierati per lavarsi i denti, operazione sconosciuta a gran parte degli Italiani del tempo, che non capivano perché si introducessero in bocca quegli strani aggeggi ed insistessero a strofinarsi i denti. Ma la gente locale non riusciva a capacitarsi soprattutto del loro abbigliamento: “I soldati inglesi di Scozia vestono una piccola gonna che non copre nemmeno i ginocchi, quindi quasi mezza gamba nuda, poi calze e scarpe. Sono abbastanza ridicoli e si può dire anche scandalosi, poiché sono senza mutande, del tutto ignudi, con questa misera gonna lunga una spanna. Ma sono alleati e tanto basta”, osservava don Dal Colle, cappellano di Montebelluna. “Sono lindi, ben postati, pare siano venuti a fare dello sport, non a combattere”, commentava don Dal Colle ai primi di dicembre. “Passano molti ufficiali inglesi… Hanno l’aria da me ne impippo”.

E, come tutte le truppe insediate, non badavano a far danni: “Nel Mercato Vecchio gli Inglesi hanno abbruciato le porte e i balconi delle casupole, ora col piccone danno di mano ai suoli e al rimanente di quelle stamberghe abbandonate… Anche nella casa di Tesser hanno fatto man bassa di tutto: legna, paglia, fieno, prima i nostri e poi i valorosi alleati”.

Cercarono subito di fraternizzare con la gente del luogo e con i soldati italiani, portando l’allegria con le loro bande, sempre pronte a sfilare, anche sotto i bombardamenti nemici, ed organizzando frequenti partite di football, animatissime sfide tra inglesi ed italiani, “di enorme valore per cementare cameratismo ed amicizia tra i due alleati”.

Arrivò ben presto Natale e loro non potevano rinunciare ai tradizionali banchetti, allietati dalla carne di maiale e di tacchino, dal tradizionale budino, il plum pudding, ed altre leccornie, birra a volontà e con il seguito pomeridiano di una partita di football. Al campo-base di San Floriano organizzarono il banchetto alla grande: 42 tacchini bei grassi, acquistati a 15 lire l’uno, e sporte piene di uova, forni all’aperto con cottura da professionisti, menu d’eccezione: tacchino a volontà, manzo arrosto, patate e cavoletti, budino con crostata, noci, arance, mele e birra a volontà. Una spesa complessiva di 1.134 lire. “Questo è mangiare! II miglior pranzo natalizio di tutta la guerra”. Dalla guerra vera e propria gli Inglesi non furono coinvolti direttamente, se non nell’ultima battaglia, quella di Vittorio Veneto (ottobre 1918).

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