Nella foto: Padre con figlio. Foto di ©HeikoAL su Pixabay

Sottrazioni di minori. L’Ambasciata italiana a Kiev non fa nulla

La sottrazione internazionale di minori è un problema che interessa molte famiglie nel mondo, purtroppo però molte volte le istituzioni falliscono, come per esempio quelle italiane.

Lo Stato italiano, fornisce un elenco parziale dei casi di sottrazione, circa 350 casi all’anno, mentre si presume che siano oltre 1.500.

Alcuni di questi sono lasciati senza seguito per motivi economici, altri perché non tutti i genitori sono disposti a condurre battaglie che durano oltre dieci anni, altri ancora perché è statisticamente provato che seppur sulla carta, tutto viene vinto a livello legale, in alcuni Paesi, l’Italia non ha la forza sufficiente di far mettere in esecuzione le sentenza in virtù del principio “il paese è del paesano“.

Non vi sono leggi adeguate, nessun aiuto viene fornito ai genitori abbandonati, né dal punto di vista economico né dal punto di vista psicologico, un esercito di persone abbandonate che sono e rimangono invisibili per lo Stato italiano.

Sin dal 2017 giace in Parlamento un disegno di legge che cambierebbe la normativa vigente anch’essa inapplicata, laddove i rappresentanti dei cittadini italiano si adoperassero per la messa in discussione dello stesso.

Un caso tra i tanti è l’incredibile storia di un bimbo conteso tra un padre italiano e una madre ucraina: l’ostinato genitore da ben tre anni sta tentando di ricevere giustizia da uno Stato sordo, che non riesce a far applicare sentenze passate in giudicato, Ministeri della Repubblica Italiana che se ne lavano le mani, Ambasciatori e Consoli che drammaticamente pongono in essere un comportamento che risulta inopportuno, ed al fine di giustificare un comportamento poco consono al mandato ricevuto, arrivano a riconoscere una nazionalità al bambino che se fosse stata applicata la legge nel senso stretto, non avrebbero accettato la sentenza del Ministero di Giustizia dell’Ucraina, senza nulla eccepire. Una vicenda che più kafkiana non si può.

Ma partiamo dall’inizio

Un bambino, nato, cresciuto e residente in Italia, cittadino italiano a tutti gli effetti, viene munito di un passaporto ucraino, senza che il padre ne fosse a conoscenza.

Il padre, privato del figlio ricorre all’Autorità Giudiziaria Italiana, che con sentenza “….affida in via esclusiva il figlio minore A. (con immediato rientro del piccolo in Italia) al padre, con residenza privilegiata presso lo stesso, cui va assegnata la casa coniugale” e fa “….obbligo alla madre di ricondurre il minore in Italia, stante l’illegittimo allontanamento del minore contro la volontà paterna e la necessità di attuare i provvedimenti e le statuizioni in relazione al minore stesso”.

A questo punto la sentenza viene notificata alla Corte Suprema dell’Ucraina, al tribunale di Zaporizhia (dove vive la madre) e all’Ambasciata italiana a Kiev.

Primo a prenderne atto è il Tribunale di Zaporizhia, che seguendo quanto previsto dalla Convenzione dell’Aja, recepisce il contenuto della sentenza e ordina il rientro del piccolo A., che ha da poco compiuto i quattro anni, in Italia.

E qui comincia il calvario del padre

L’allora Ambasciatore italiano in Ucraina, trovandosi a fine mandato fa orecchie da mercante, a quanto pare sostenendo che la sentenza non poteva essere messa in esecuzione. Da quanto ci è stato raccontato sembra che l’Ambasciatore abbia cercato di trovare inutili cavilli ostacolando in qualche modo la procedura tesa al rientro del piccolo in Italia.

Con la venuta del nuovo Ambasciatore le cose non cambiano ed il piccolo continua a restare in Ucraina. Però l’Ambasciata italiana, al fine di sostenere la domanda di rientro, accertata e dichiarata con ben due sentenze, al legale del padre di A., l’avvocato Mara Cappelli, viene chiesto di produrre dei “pareri giuridici” in tema di rientro dei minori dall’estero solo per giustificare la propria richiesta di mettere in esecuzione le stesse.

Quest’ultima, richiede il parere di ben due studi legali di fama internazionale, che predispongono ad hoc ben due pareri. Ma anche questo non basta.

Il ministero degli Affari esteri, dal canto suo, non fornisce alcuna spiegazione

Viene coinvolta perfino l’Interpol, ma anche stavolta senza alcun esito in quanto non vi è l’appoggio dell’ufficiale di collegamento a Kiev che fa da tramite con l’Interpol Ucraina

L’avv. Mara Cappelli, senza mai alcun esito concreto, ha tentato più volte di sollecitare la messa in esecuzione delle sentenze.

“Eppure – afferma il papà di A. – non si tratta certo del primo caso con l’Ucraina, visto che il nostro è stato rubricato, per l’anno 2018, come caso numero 98”.

E continua: “Ho parlato personalmente con l’Ambasciatore e poi ho inoltrato formale istanza per l’esecuzione della sentenza. Ma ancora una volta il problema viene rinviato, i mesi passano e tutto si ripercuote sul minore e sul suo benessere. Comincio daccapo tutto l’iter, invio di nuovo l’intera documentazione, e dopo aver fatto un tira e molla di ben 11 mesi, acconsentono alle nostre richieste ma…”

“Ma l’assurdo è che dopo aver fatto tutto quello che mi è stato chiesto l’ultima risposta che mi è arrivata dall’Ambasciata italiana di Kiev è stata che la sentenza italiana non può essere messa in esecuzione perché mio figlio A. non è cittadino italiano ma ucraino e laddove volessi fare qualche rimostranza mi sarei dovuto rivolgere direttamente al Ministero Ucraino. Ma come? Sono quasi tre anni che siamo in contatto con l’Ambasciata perché il minore è italiano a tutti gli effetti, la stessa è in possesso di tutti i documenti che ne accertano la cittadinanza , ed invece di farsi sentire e far valere un nostro semplice e chiaro diritto se ne lavano le mani e ci inviano una mail dicendo che se vogliamo far rimostranze dobbiamo rivolgerci al Ministero ucraino?”.

Ma non è finita qui. Sul podio è salito per ultimo il Ministero degli Affari esteri Italiano. Investito della questione, edotto dalla situazione e della risposta fornita dall’Ambasciata, il dicastero guidato da Luigi Di Maio laconicamente risponde: “rivolgersi all’Ambasciata”!

Il padre di A. è senza parole “Ma come, viene spiegata loro la mancanza di tutela subita e loro ci indirizzano all’Ambasciata?”

Non contenti della risposta il papà di A. insieme all’avvocato si rivolgono al Maeci e di nuovo al Ministero ed è a quel punto che il segretario di Di Maio aggiunge: “dichiarandosi molto vicino al problema vissuto dal padre di A., conferma che la legge Ucraina al capo 2 dice che se uno dei genitori è ucraino, la sua sola volontà serve a far divenire il proprio figlio cittadino ucraino”.

Ma se quelli del Ministero italiano avessero letto tutto il paragrafo di legge avrebbero visto che al capo 19, (evidentemente troppo lungo da leggere), c’è scritto che: “laddove il minore abbia un’altra nazionalità, il genitore dichiarante è tenuto ad informare l’altro Ministero che rinuncia alla prima cittadinanza entro due anni”.

Dichiarazione che il padre non ha mai fatto e infatti ancora oggi il piccolo è ufficialmente un cittadino italiano.

La forza della disperazione dice al povero padre di continuare ed insistere a volere risposte, a capire perché gli italiani all’estero non vengono rappresentati in modo adeguato e non riesce a farsi una ragione del come mai l’Ucraina si prenda gioco del popolo italiano e delle sue leggi.

“La mia battaglia andrà avanti fin quando non rivedrò mio figlio. Lo farò in tutte le sedi. Il mio appello va a tutte le istituzioni locali e nazionali affinché mi aiutino. Ho scritto una lettera aperta ai leader politici, al governo, al presidente Mattarella e finanche al Papa. Mi auguro, anche attraverso l’aiuto della stampa, di ricevere risposta”.

“Allo stato attuale non posso né vedere né sentire mio figlio. Sono stato privato di qualsiasi forma di contatto con lui. La mia ex moglie sta violando i diritti del bambino ed anche i miei. Mio figlio ha pochi anni e restare lontano da me per un lungo periodo influirà sul nostro rapporto. Tale situazione comporta un grave stato di malessere psicologico per me ed anche una condizione di grave pregiudizio per il bambino poiché privato da un giorno all’altro della stabilità del suo ambiente di riferimento e della figura paterna a cui era legatissimo. Io non mi arrendo ma è indispensabile che gli organi competenti mi aiutino».

Nella triste storia che vi abbiamo raccontato, da un lato vengono calpestati i diritti di un minore che non potrà crescere con un padre accanto e dall’altro il diritto di un genitore che viene privato di suo figlio, senza avere l’opportunità di vederlo crescere. Ed infine vengono calpestate due sentenze, quella italiana e ucraina, la Convenzione dell’Aja ridicolizzata, i trattati internazionali stracciati ed una Giustizia – quella vera – fatta a pezzi.

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