Foto: Il teologo Antonio Autiero al Convegno laici 2023 © Franco Paolo

Pubblichiamo per gentile concessione della redazione di Avvenire l’articolo del teologo morale Antonio Autiero, apparso nell’inserto domenicale NOI del quotidiano lo scorso 15 ottobre e che ospita riflessioni a dieci anni dal Sinodo sulla Famiglia e di Amoris Laetitia

C’è una innegabile attenzione al tema della famiglia nell’insegnamento della Chiesa in questi ultimi decenni, sebbene essa non sia del tutto nuova. L’arco lungo inizia con il Concilio Vaticano II e la costituzione pastorale Gaudium et spes (1965) e passa attraverso la V assemblea del Sinodo dei Vescovi (1980). Ma gli anni a noi più vicini sono segnati dalle sessioni straordinaria (2014) ed ordinaria (2015) del Sinodo sulla famiglia e dall’esortazione apostolica da esso scaturita, Amoris laetitia (2016).

Il filo rosso che collega queste diverse espressioni di magistero tiene insieme, seppure con diversa sensibilità, la consapevolezza di mutati assetti culturali e sociali della famiglia nel nostro tempo e l’importanza di una proposta valoriale ed esperienziale che affonda le sue radici nel messaggio originario del Vangelo. La riflessione teologica, come anche la prassi pastorale hanno contribuito a mettere a segno una lettura realistica e costruttiva, anche se non priva di tensioni, tra livelli ideali e realizzazioni concrete, tra verità dell’annuncio cristiano e storie di vita familiare. Uno degli ambiti in cui questo diventa particolarmente evidente è quello della sessualità coniugale, al quale qui vogliamo dedicare qualche riflessione. È evidente che né il Concilio, né il Sinodo del 1980 e meno che mai quello più recente e la stessa Amoris laetitia (AL) volevano essere una trattazione sistematica di etica sessuale o un prontuario di norme pratiche da seguire.

È interessante notare che proprio in AL il termine sessualità non compare mai in un titolo dei capitoli e solo una volta esso si trovi come titolo di un sotto-capitolo (280-286). Ma il suo modo di approcciare il tema della famiglia fa da sfondo e crea l’orizzonte più vasto in cui andare a considerare anche il tema della sessualità coniugale. Anche una seconda premessa è necessaria: la sessualità coniugale è parte e specchio di una più vasta considerazione sulla sessualità umana, nel suo insieme. Essa non la esaurisce, come erroneamente si tendeva a pensare in passato, piegando tutto il tema della sessualità verso la sua funzione procreativa e collocandola esclusivamente all’interno del matrimonio. Questa piegatura era la risultante di un’ottica ristretta e di una conoscenza limitata di presupposti che anche dal punto di vista scientifico sono stati chiariti e superati. Proprio da qui può partire la considerazione di un cambio di prospettiva con cui AL guarda alla sessualità coniugale. In piena assonanza con il Vaticano II (GS 50), AL afferma che il matrimonio «non è stato istituito soltanto per la procreazione, ma affinché l’amore reciproco abbia le sue giuste manifestazioni, si sviluppi e arrivi a maturità» (125).

Comprendere la sessualità come linguaggio dell’amore significa sottrarre la sua pratica alla pressione della finalità procreativa e iscriverla nella tensione di un rapporto di attenzione reciproca al mondo e alla vita dell’altro, dell’altra. Sembra poco questo? È va dato per scontato? Tutt’altro! Forse aiuta a cogliere questo dinamismo di trasformazione lo stesso assetto linguistico: passare da una locuzione come “sessualità matrimoniale” a una locuzione come “sessualità coniugale” porta con sé il vantaggio di spostamento di enfasi non solo superficiale e cosmetica, ma di atteggiamento e di contenuto, a diversi livelli. Anzitutto emerge l’importanza di guardare in termini dinamici allo spazio di vissuto delle relazioni affettive, di cui il matrimonio, con il suo aspetto istituzionale, è certamente apice, ma non unica modalità.

Poi viene il discorso sulle finalità del vissuto sessuale: non è un fine del matrimonio da raggiungere (si sa, la procreazione veniva considerato il suo fine primario) a legittimare l’esercizio della sessualità, ma il carattere relazionale dell’incontro, quello cioè che non in base allo scopo da realizzare, ma in forza di affetto e di vicinanza da esprimere, che rende la sessualità linguaggio sincero, rispettoso, costruttivo. La cifra morale della sessualità si sposta vistosamente dalla valutazione sui suoi atti alla considerazione della densità intenzionale e di atteggiamento delle persone. Questo passaggio epocale che nelle formulazioni della più recente teologia morale è condensato nella formula «dalla morale matrimoniale all’etica delle relazioni affettive», viene ampiamente recepito e valorizzato da AL, dove dice: «La sessualità … è un linguaggio interpersonale dove l’altro è preso sul serio, con il suo sacro e inviolabile valore» (151). L’importanza e, per certi aspetti, la novità di questo insegnamento di AL vanno comprese anche alla luce di un orientamento su cui Papa Francesco ritorna, quando esamina la varietà delle possibili situazioni di divorziati risposati.

Oltre alla possibilità di accesso ai sacramenti, secondo tutte le indicazioni e distinzioni del caso, il Papa riprende anche il discorso dell’importanza del vissuto di intimità e di sessualità che riconosce come espressioni costruttive di confidenza, fedeltà, armonia nella vita familiare. Rispetto a una precedente ottica restrittiva che tollerava lo stato di divorziati risposati, a condizione di vivere «come fratello e sorella», AL (298, nota 329) riconosce il valore in sé della sessualità, «regalo meraviglioso (di Dio) per le sue creature» (150). Sula scia del Concilio, AL ha proseguito il cammino di svolgere il tema della sessualità in un approccio decisamente personalistico che allarga l’orizzonte e determina criteri valutativi differenti.

E questo vale per ogni forma di sessualità, anche fuori dal contesto matrimoniale-coniugale. Per trovare parole sensate nel parlare di una morale sessuale oggi, l’ordine della natura e dei suoi atti (così si potrebbe sintetizzare l’approccio della morale sessuale tradizionale) deve sapersi compensare con un ordine della persona e delle sue relazioni. Questo non vuol dire che non esista più un criterio di distinzione tra ciò che è bene e ciò che è male, come alcuni vorrebbero allarmisticamente far credere. Questo vuol dire solo che ciò che è male lo è principalmente ed essenzialmente perché offende le persone, ferisce la loro dignità, lede i loro diritti, abusa delle loro fragilità, riduce il loro spazio di decisione autonoma e di libertà.

La lezione drammatica degli abusi nella società e nella Chiesa – quelli a sfondo sessuale e quelli sulle coscienze e sulle decisioni libere delle persone – lo stanno dimostrando in modo inequivocabile. Non va dimenticato che l’appello a una revisione della morale sessuale tradizionale sia stato fortemente condizionato dalle esperienze negative degli abusi nella Chiesa, come chiaramente mostra, per esempio, anche il “Cammino sinodale” della Chiesa tedesca. Il costrutto di un’etica sessuale basata sugli atti e sui ruoli sedimentati nelle nostre culture tradizionali non regge più al passo di autenticità e sincerità degli atteggiamenti e di rettitudine dei comportamenti. La resistenza a ogni tentativo di evoluzione in questo campo deve fare seriamente pensare. Per fortuna abbiamo oggi strumenti di interpretazione di consapevolezza molto più sviluppati. Essi vanno dalle conoscenze delle scienze biologiche a quelle delle discipline antropologiche, comportamentali, sociali. In modo particolare abbiamo a disposizione un approccio conoscitivo e valutativo che deriva dal discorso e dall’ottica di genere che ci ha reso sensibili ai condizionamenti culturali e sociali con cui si sono costruiti ruoli e funzioni, espressi in culture di disuguaglianza, nonché nella rappresentazione delle persone e della loro caratterizzazione sessuale, non di rado sfociate in condotte tossiche di dominio, di sottomissione, di soppressione.

Troppo frettolosamente si sono cavalcati tentativi di opposizione e di rifiuto a tale discorso, semplificandone le intenzioni, travisandone le articolazioni e ignorandone l’importanza. Rinunciare all’apporto di conoscenza della cultura di genere rende complici, in maniera consapevole o inconsapevole, di condotte di vita e di comportamenti sessuali banalizzati, violenti e discriminatori. Lasciare gli stimoli positivi di AL appesi a un cammino incompiuto e nebuloso e non farsi carico della fatica di proseguirne il percorso in modo coerente e rigoroso ci rende corresponsabili di tanta ingiustizia che avvilisce le nostre compagini sociali, le nostre relazioni interpersonali, soprattutto quelle più intime e più stabili. Avere a cuore il bene delle relazioni affettive, nel riconoscimento della gamma ampia delle sue manifestazioni e realizzazioni, significa in definitiva sognare e volere un mondo più umano.