Dopo cinque anni dalla scoperta degli USA dei motori diesel truccati Volkswagen, la Corte federale tedesca BGH (Bundesgericht-hof) di Karlsruhe ha condannato il grande gruppo automobilistico di Wolfsburg a pagare ai loro titolari un risarcimento per le auto diesel a suo tempo equipaggiate con un motore truccato

Appena designato ad assumere la responsabilità del nuovo vertice Volkswagen, l’amministratore delegato (ad) Ralf Brandstätter si è affrettato subito a relativizzare l’annunciata uscita del gruppo Volkswagen dalla tecnica dei motori a benzina e a diesel. Questa era stata annunciata dal dimissionario ad Herbert Diess, il quale a quanto pare aveva già deciso il loro definitivo abbandono a favore del motore elettrico. La linea programmatica preannunciata ora da Brandstätter sarebbe invece in netta contraddizione con la linea del gruppo Volkswagen che stando sempre ai “si dice” Diess avrebbe voluto realizzare sull’esempio della concorrente “Tesla”, orientando completamente il gruppo di Wolfsburg sulla mobilità elettrica. Vero, invece, stando alle dichiarazioni riportate dal settimanale “Focus”, il nuovo amministratore delegato della Volkswagen avrebbe dichiarato che “il gruppo di Wolfsburg offrirà ancora per lungo tempo sul mercato internazionale modelli di auto a combustione”. Il fatto è che le auto a batterie elettriche sono sì in linea con la politica dell’EU, ma non con quella di altri mercati, né della grande Cina, né di altri mercati nei quali la politica elettrica non appare certa sul lungo termine.

Difficile chiudere al diesel

Il 30 settembre inizierà in Germania il primo processo sulle manipolazioni del gruppo automobilistico Volkswagen dei sistemi di controllo delle emissioni dei gas di scarico delle auto diesel. Una truffa molto raffinata colossale, perché il sistema di controllo dei gas di scarico del diesel era programmato in modo da poter violare la difesa dell’Ambiente senza che nessuno a Bruxelles se ne accorgesse. A violarne il diritto furono l’industria automobilistica tedesca spalleggiato dall’Ufficio federale della Motorizzazione di Berlino (KBA) il quale circa vent’anni fa aveva convalidato il funzionamento dei vari motori diesel, senza però assicurarsi prima se le relative norme legislative per la difesa dell’Ambiente fossero rispettate. Il software dei motori diesel in questione era, infatti, dotato di una raffinata “intelligenza” che gli consentiva di capire se l’auto diesel fosse in grado di superare con successo i controlli sugli speciali rulli dell’ente addetto all’omologazione ufficiale del motore o se, invece, si trovasse semplicemente in una normale situazione di traffico, nella quale era libero di scaricare a tutta manetta i gas velenosi della combustione del diesel. Ciò avvenne con l’aiuto di un software “truffaldino” realizzato dalla Bosch, la quale – dopo che nel 2015 la truffa venne scoperta dalle autorità degli USA – fu costretta ad ammettere di aver sì progettato il famigerato software ma di non aver mai chiesto esattamente alla Volkswagen quale uso volesse programmato.

Cinque anni di ritardo

Il processo a carico dell’ex numero uno dell’affiliata Audi, Rupert Stadtler, è il principale accusato nel processo che inizierà il 30 settembre presso il Landgericht di Monaco e che durerà per tutto il 2022. È quasi incredibile, come a cinque anni dalla scoperta della truffa del dieselgate, le autorità giudiziarie tedesche debbano ancora cercare di chiarire che cosa sia successo esattamente nei precedenti dieci anni nelle affiliate del grande gruppo automobilistico di Wolfsburg e chi siano stati gli autori materiali della truffa. Come gli ingegneri della Volkswagen abbiano avuto modo di manipolare per anni il motore delle auto diesel senza che nessuno a Bruxelles si accorgesse dell’inganno e senza che nessun manager al vertice del gruppo fosse mai colto, come si suol dire, “con le mani i nel sacco”.

Manager “perdonati”

Alcuni giorni prima della sentenza del 27 maggio, il Tribunale di Braunschweig nella Bassa Sassonia, il Land dove risiede la centrale Volkswagen aveva reso noto di non intendere proseguire un’azione giudiziaria nei confronti del presidente del consiglio di sorveglianza, Hans Dieter Pötsch, e dell’amministratore delegato (ad) del gruppo Volkswagen, Dieter Diess, ambedue accusati di manipolazioni di mercato in relazione al “dieselgate”. Essi erano stati accusati di non aver informato tempestivamente gli azionisti del gruppo Volkswagen sull’esistenza della centralina che dava via libera al flusso dei gas di scarico nei motori diesel realizzando così la più grande truffa nella storia dell’industria automobilistica tedesca. Il tribunale di Braunschweig aveva poi ha deciso di chiudere la vertenza nei confronti dei due manager contro il versamento di nove milioni di euro, vale a dire 4,5 milioni di euro a testa. L’eco della decisione non si era ancora spenta che qualche giorno più tardi nel corso di un’importante riunione del gruppo, l’amministratore delegato Herbert Diess espresse in modo del tutto inatteso alcune dure critiche nei confronti del comportamento e dell’integrità di alcuni membri del consiglio di sorveglianza Volkswagen. Per alcuni, e in modo particolare per Bernd Osterloh capo del consiglio aziendale (Betriegsrat) del gruppo Volkswagen, i rimproveri di Diess avevano evidentemente passato il segno e le consuetudini di Wolfsburg. Stando alla versione ufficiale, Diess rinunciando alla carica come responsabile della marca più importante del gruppo, com’è quella della Volkswagen, avrebbe ottenuto in questo modo “più spazio” per i suoi compiti strategici per la direzione del gruppo e per tutte le altre marche. La lettura non ufficiale della decisione suggerisce però una ben diversa considerazione: vale a dire che Herbert Diess può essere ben contento di aver mantenuto la direzione del gruppo nel suo complesso. Per il momento egli ha ancora l’appoggio delle famiglie Porsche e Piech. Resta da vedere per quanto ancora. Ancora tutto da chiarire, resta per il momento anche il ruolo svolto dall’ex-numero uno al vertice del gruppo Volkswagen, Martin Winterkorn, il quale ha rinunciato alla sua carica nel 2015 subito dopo la scoperta della truffa dei motori diesel. Un quasi incredibile episodio con il quale Winterkorn continua a negare qualsiasi tipo d’implicazione.

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