Il programma è stato fortemente voluto dal presidente della Bce, Mario Draghi, che è riuscito a superare le forti avversioni della Bundesbank e le perplessità del governo di Berlino. Il quantitative easing aprirà le chiuse di una diga finanziaria, ha detto Draghi, dalla quale sui mercati dell’Eurozona si riverserà un’ondata di denaro in grado di scongiurare definitivamente il pericolo di una deflazione, avviando i meccanismi della domanda e degli investimenti nell’Eurozona e assicurando già quest’anno una crescita dell’1,5% del prodotto interno lordo, destinata ad aumentare ulteriormente negli anni successivi (+1,9% nel 2016 e +2,1% nel 2017).
Previsioni molto ottimistiche e, comunque, per nulla premature perché i programmi di Qe hanno la caratteristica di far sentire i loro effetti già nel momento stesso del loro annuncio, spingendo gli investitori ad acquistare titoli con la certezza di poter venderli domani con profitto alla Bce. Per quanto riguarda la Grecia, il presidente Draghi ha precisato che il programma Qe esclude per il momento l’acquisto dei titoli di Stato del Paese ellenico nei cui confronti si sta cercando di mettere a punto un intervento di salvataggio finanziario che sarà attivato soltanto nel momento stesso in cui il governo di Atene avrà dato credibili assicurazioni sulla sua ferma volontà di rispettare le condizioni dettate dalle istituzioni internazionali (leggi vecchia “Troika”).
Il problema è che se, da un lato, il ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis non vuole più sentir pronunciare la parola “Troika”(secondo il ministro colpevole di aver praticato nei confronti della Grecia una tecnica simile a quella del “waterbording”), i responsabili delle istituzioni internazionali, a loro volta, non vogliono più sentire la parola “sconto” (leggi “taglio del debito”) quando si parla dei molti crediti sinora concessi alla Grecia. Un Paese, precisa a questo riguardo il ministro tedesco delle Finanze Wolfgang Schaueble, costretto a chiedere aiuto ai suoi partner europei soprattutto a causa dell’inefficienza della sua classe politica che non è stata capace di realizzare quelle riforme strutturali di cui il Paese avrebbe avuto urgentemente bisogno. Intanto, nello stile provocatorio che lo distingue, Varoufakis sforzandosi di attribuire tutte le colpe della difficile situazione greca sui partner europei, è passato a proporre con grande disinvoltura soluzioni “più intelligenti”.
Come, per esempio, la conversione di una parte dei crediti concessi alla Grecia dai fondi europei di salvataggio in obbligazioni, il cui rimborso sarebbe indicizzato alla futura crescita del prodotto interno lordo greco. La situazione, come si vede, è molto ingarbugliata e non sono pochi gli esperti convinti che per la Grecia e per i suoi partner la migliore e più pulita soluzione sarebbe una condivisa uscita del Paese dall’euro.