Scrive tra l’altro, immaginandosi in sosta ai loro margini, dopo un affollamento, quasi ad interrogare quei luoghi “di vita e di relazione”. “I pensieri – nota Bustaffa – incominciano a correre coinvolgendo la piazza che da sempre assiste alle vicende umane alle quali molte volte dona il proprio nome. Seduto ai bordi della cronaca, qualcuno improvvisa quasi scherzando una domanda: “Ma tu piazza cosa dici di quel gesto, di quelle parole, di quella folla, di quell’insulto, di quei colpi mortali alle spalle?”.
Quasi un dialogo confidenziale tra l’uomo e il luogo dove le domande e le risposte sono tutte sul filo del silenzio ma non certo del vuoto. La piazza risponde a modo suo. Nata per esprimere la grandezza di un popolo, costruita con il pensiero prima che con le pietre, partecipa allo scorrere della storia con il passo delle diverse generazioni che l’hanno attraversata e l’attraversano. Non è silenzio il suo. È un giudizio, senza parole, sulla violenza e sul dialogo, sullo scontro e sull’incontro, sulla volgarità e sulla nobiltà, sulla morte e sulla vita, sull’umanità e sulla disumanità.
Ciò che è accaduto nel suo grembo solo qualche ora prima non la lascia indifferente anche se il suo modo di esprimersi è particolare e per capire il messaggio delle pietre occorre qualcosa di diverso da un normale vocabolario. C’è un’alleanza, non detta, tra la piazza e il pensiero ed è un’alleanza che chiede all’uomo di riflettere sui fatti accaduti con un supplemento di responsabilità e di speranza. Ferita da gesti e parole la piazza richiama il significato del vivere insieme, dell’essere popolo, del bene comune. Diventa un richiamo alla civiltà che, rimossa per alcune ore, torna con lo splendore della sua bellezza. Diventa un invito, non moralistico, a pensare al futuro della città, al futuro dell’umanità, al futuro delle nuove generazioni. Fermarsi e pensare.
Un monito che questo luogo di civiltà leva silenziosamente sentendosi espressione della bellezza, della convivialità delle differenze, dell’amore per la città. Il monito si è alzato forte in questi giorni dalle piazze di Roma, da quelle di Mosca e di innumerevoli città del mondo.
Anche le pietre hanno parlato e parlano. Se occorre prendere atto della volgarità, se è davvero impossibile non indignarsi per le parole e i gesti di disprezzo dell’altro è altrettanto doveroso non rassegnarsi. Occorre tornare, almeno per qualche minuto, nel cuore della piazza – conclude l’ex direttore Sir – per ascoltare un messaggio che non cancella le parole gridate ma suggerisce parole e gesti pensati, parole e gesti di civiltà e di umanità”.
Fra non molto, venerdì 3 aprile, tante piazze e strade di molte città della Germania verranno occupate da centinaia di connazionali. A Stuttgart-Bad Kannstatt, Mühlacker, Ulm/Neu-Ulm, Bensheim, Köln-Kalv, Esslingen, Wuppertal, Gross Gerau, Frankfurt/Nied, tanto per citarne alcune. Al mattino, di pomeriggio, o in serata, secondo la programmazione locale.
Non per vociare, o dissacrare luoghi, o protestare contro qualcuno. Ma solo per ricordare un grande misfatto, una immane ingiustizia, un colossale errore, che può riassumere tutti  i drammi della storia: la condanna a morte e messa in croce di una persona buona, che aveva solo aiutato tutti, guarito i malati, ricuperato gli emarginati, dato speranza agli ultimi, essere stato vicino ai poveri in ogni senso. Si chiamava Gesù. Aveva avuto il torto, nel fare tutto ciò, di scontrarsi con chi su quelle sofferenze viveva e speculava. Questa scesa in piazza non sarà solo un ricordare, un pregare, o una professione pubblica di fede, o una tradizione culturale importata dall’Italia del Sud.
Sarà anche un gesto di solidarietà e di vicinanza a tutte le tragedie attuali del nostro mondo, dalle guerre civili ai drammi dei profughi, dai morti per fame ai decapitati per la loro fede, dalle risse tribali ai conflitti armati tra popoli. È tornata la guerra fredda, è tornato il mito della violenza come unica strada per risolvere i problemi ed imporsi. Il mondo non lo ha cambiato il violento, ma chi ha creduto nella superiorità della persona sulle cose, della sua centralità nella storia. Lo cambia chi sceglie il bene, chi opta per la vita, per la giustizia, per i diritti umani.
Il futuro appartiene alla vita. E dove fallisce l’uomo, Dio non fallisce, nonostante il Calvario dei giusti e le loro tante impotenze. Forse, secondo criteri umani, arriva tardi. Ma arriva. La ormai vicina Pasqua ci aiuterà a capire il grande mistero della vita.