In questi giorni arriva nelle sale italiane (all’estero il film non si vedrà probabilmente mai) il nuovo film di Carlo Verdone, “Io, loro e Lara”. Io è, naturalmente, Verdone stesso; loro sono i suoi familiari; Lara è una ragazza che arriva a rimescolare le carte. Il subbuglio è tanto più forte quando si aggiunge che l’attore romano interpreta il ruolo di un sacerdote. Padre Carlo Mascolo, missionario di lungo corso nelle zone più disagiate dell’Africa, avverte i sintomi d’una profonda crisi spirituale. Ritornato a Roma con l’intento di parlarne ai propri superiori, da loro riceve il consiglio di prendersi una pausa, di rientrare dentro la sua famiglia d’origine e vivere la vita d’ogni giorno.
Iniziano, così, per il sacerdote, le sorprese: l’anziano genitore ha appena sposato Olga, una prosperosa badante ucraina che gli ha fatto ritrovare la gioia di esistere. Di fronte a tale evento, sono preoccupatissimi i suoi fratelli, Luigi e Bea: per nulla rispettosi della volontà del padre, ritengono che sia in pericolo il piccolo patrimonio di famiglia, e si preparano ad una guerra ad oltranza alla straniera. Tutto cambia una notte, quando Carlo è svegliato dal telefono, e gli si annuncia una disgrazia: non è, però, il babbo, ad esser deceduto, bensì la neo-moglie. È qui che entra in scena la misteriosa Lara, la quale, poiché figlia della defunta, è stata gratificata della casa familiare: ciò suscita le ire di Luigi e di Bea, che ingiungono a Carlo d’indagare sulle abitudini e la moralità della ragazza…
Alla fine del suo film precedente, “Grande, grosso e Verdone”, il cineasta romano aveva dato l’addio con un saluto al proprio cinema originario, quello di maschere e caratterizzazioni: pare quindi comprensibile che in “Io, loro e Lara” egli di già si studi di costruire dei personaggi, imbastire una trama credibile, far insomma un tipo di commedia più adulta, pur se il filo rosso è ancora quel “malincomico” ch’egli ha perseguito sin dai tempi di “Compagni di scuola” (a tutt’oggi, certo, il suo miglior esito).
Parte bene, il film: lo spunto del prete in difficoltà funziona, e pure l’impatto con gli egoismi e le frenesie della sua famiglia d’origine è ben descritto, senz’arretrare di fronte alla crudezza del quadro. È nell’ultimo quarto della pellicola che i conti non tornano più: forse timoroso di perdere punti (è uno tra i suoi difetti ineliminabili, da regista) sul fronte dell’esazione delle risate, Verdone congegna episodi esangui e poco credibili (il pranzo con l’assistente sociale, i colpi di pistola dei protettori delle ragazze africane, il goffo tentativo di seduzione subìto in sottofinale) che diluiscono la forza dell’assunto e sfociano in un lieto fine davvero fuori luogo.
Pur con attori convincenti, “Io, loro e Lara” rimane così un’incompiuta, l’ennesima occasione perduta di un artista cui oramai rimane solo da guadagnare il coraggio della sgradevolezza, della crudeltà, che al momento non lo soccorre alla resa dei conti. Per Verdone rivestire l’abito del sacerdote significa poter guardare le situazioni dal di fuori e crearsi numerose occasioni di sorpresa, imbarazzo, smarrimento. Lo stupore del protagonista per ciò che vede è alla lunga un po’ accentuato, e la constatazione che l’Italia è, per motivi opposti, luogo di una differente ma non meno necessaria missione, risuona come finale che doveva essere trattato meglio. Verdone infatti vuole per forza suscitare comicità a fronte di argomenti per i quali c’è ben poco da ridere.