Arrivai in Germania come giovane insegnante. Era il 1991, oltre vent’anni or sono. Allora essere italiani in Germania era piacevole. I tedeschi amavano l’Italia pur non rispettando del tutto gli italiani. Il Paese era ancora nel novero delle grandi potenze industriali. C’era una grande industria che produceva ricerca, innovazione. C’era una piccola e media industria nel nord ed al centro che produceva idee, oltre che oggetti, e guardava avanti.
L’Italia era rinomata nel campo della moda, del design, dell’architettura, della gastronomia, anche della teconologia. Si era alla fine del soffocante, persino maleodorante periodo democristiano, spazzato via dai giudici di Mani pulite. La Sinistra si occidentalizzava e Berlusconi stava per entrare in campo, con l’intenzione dichiarata di formare una Destra moderna, di stampo liberale; in questo tentativo egli era sostenuto soprattutto dalla piccola e media impresa, dalla rete dei professionisti e dal ceto medio.
All’epoca, la gente era ancora capace di indignarsi e di reagire agli scandali, che sembravano allora eccezioni. Il Paese offriva finalmente qualcosa ai giovani e richiedeva da loro anche un impegno professionale. Il familismo, il nepotismo sembravano messi in discussione. Sembrava che finalmente il merito avesse un ruolo. Internet si diffondeva velocemente; circolavano più informazioni.
Il Paese si sprovincializzava sempre di più. C’era speranza. Le migrazioni sembravano finite. In Germania come ovunque nel mondo si parlava non di prima accoglienza, bensì di integrazione, di bilinguismo, di interculturalità. Il giornale in cui in seguito, a partire dal 1995, inizio a collaborare come redattore, era cambiato; si era orientato alle nuove dimensioni dell’essere stranieri in Germania. Le battaglie erano sul diritto di voto ai comuni e il doppio passaporto. L’Europa era la grande speranza che nessuno metteva in discussione.
Ora, a vent’anni di distanza, è più difficile essere orgogliosi di essere italiani. Quando c’è un notiziario alla televisione tedesca, si spera sempre che non riporti notizie dall’Italia. L’affondamento della nave, Schettino, le giravolte del Parlamento, Scilipoti, Razzi, le corna di Berlusconi, l’incompetenza della politica, la cialtroneria dei governi, le statistiche che danno l’Italia tra i Paesi più corrotti. I barconi che affondano a Lampedusa senza che nessuno si muova.
Sembra che esca la schiuma peggiore di un Paese fortemente peggiorato, almeno vedendolo dall’esterno. Ultimamente, le buffonate del Cav. attorno alla fiducia chiesta dal governo hanno fatto vergognare molti italiani. Si spera sempre di non essere in compagnia di altri: tedeschi, inglesi o francesi quando queste notizie vengono diffuse perché, in quel caso, le facce si voltano, gli sguardi interrogano.
Ma non vi indignate? -sembra che dicano. Ma non vi vergognate? Ma non vi ribellate a queste buffonerie? Ma dove avete gli attributi? O siete tutti come lui? O siete tutti mafiosi? Allora è difficile spiegare, ci indignamo, ci vergognamo, ma ribellarsi come si fa? All’estero quei personaggi sono stati fortemente penalizzati, ma in Italia la gente vota come gli pare. Poi la legge elettorale, poi la poca libertà nell’informazione…
Certo, tutto si può spiegare, ma ladomanda rimane: il Paese migliore, innovativo, che ha voglia di giustizia, che crede in qualcosa, che crede nelle sue capacità, dov’è finito? Dove sono finiti gli italiani che hanno fatto la storia del mondo? Dov’è finita la capacità di fare cultura? Di indicare strade? Di creare orizzonti? Dove sono i nuovi tecnici, i nuovi ingegneri, musicisti, sarti, creatori, disegnatori, scrittori, medici, ricercatori, scienziati, fisici, chimici che possono riportare l’Italia tra i Paesi virtuosi del mondo? Dove sono la scuola e l’università che li formano?
Dov’è la politica che risolve i problemi? Dov’è la voglia di combattere la mafiosità diffusa nella Pubblica amministrazione? Dove sono i giornalisti che fanno dell’indipendenza dell’informazione la loro bandiera? Dov’è finito il coraggio civile?