Fiat e Chrysler definitivamente ora confluite nella Fiat Chrysler Automobiles (FCA), un progetto al quale si è lavorato dal 2009, hanno dato vita al settimo gruppo automobilistico mondiale. Per il manager italo-americano Sergio Marchionne, amministratore delegato della FCA, la fusione delle due marche automobilistiche è stata la realizzazione del suo grande “sogno americano” al quale egli guarda con comprensibile orgoglio come a un esempio di cooperazione industriale a livello mondiale ma anche come ad un modello d’integrazione culturale tra due mondi, europeo e americano.
L’Unione Europea sta cercando di uscire da una minacciosa crisi economica ed è facile immaginare cosa sarebbe potuto accadere della Fiat se il presidente degli Stati Uniti Obama non avesse fermamente creduto sin dall’inizio nel progetto di Marchionne. Chiamiamolo istinto, visione o come ha detto un esperto tedesco dell’auto, con un accento leggermente dispregiativo, pura fortuna da giocatore, fatto sta che Marchionne ha portato felicemente a termine un’impresa in cui era clamorosamente fallita la grande Daimler Benz.
Anche per questo motivo dalla Germania si guarda oggi con grande particolare interesse alle prossime mosse del nuovo gruppo automobilistico Fiat Chrysler Automobiles (FCA), la cui espansione è tutt’altro che conclusa perché potrebbe proseguire con l’ingresso di nuovo partner industriale dell’Asia, una regione dove attualmente la FCA è di fatto assente.
Intanto dopo appena un mese dall’avvenuta fusione, Marchionne ha fatto un’altra mossa che nessuno si aspettava, scorporando Ferrari dalla FCA. Il 10% delle azioni Ferrari – detenute per il 90% dalla Fiat e per il 10% da Piero Ferrari – andrà in Borsa a Wall Street e su un altro mercato in Europa, per il momento non specificato. La restante parte del capitale Ferrari sarà distribuita tra gli azionisti della FCA. Il presidente della FCA John Elkann ha affermato che l’operazione”assicurerà alla Ferrari completa autonomia e indipendenza affinché possa progettare al meglio il suo futuro industriale e sportivo”. Il particolare interesse tedesco per le vicende Fiat-Chrysler si spiega anche ricordando che ancora nel luglio di quest’anno il patriarca della Volkswagen Ferdinand Piech aveva fatto un ultimo tentativo per acquistare l’Alfa-Romeo e qualora ciò non fosse stato possibile anche l’intera Fiat.
In questo modo Piech avrebbe terminato anzitempo la lunga marcia intrapresa alcuni anni fa dalla Vw per divenire entro il 2018 il numero uno a livello mondiale. Gli è andata però male (“Posso ancora aspettare” sembra sia stato il suo laconico commento) e di conseguenza Piech dovrà ora soprattutto occuparsi della radicale dieta di miliardi di euro che l’ad della Volkswagen Martin Winterkorn ha prescritto a un gruppo cresciuto troppo in fretta e che ora si trova a dover risolvere il problema di margini di guadagno troppo esegui e di costi di produzione troppo alti. Operazione da chiudere al più tardi entro il 2018, che poi è anche l’anno entro il quale la Volkswagen vorrebbe aver sorpassato la Toyota sempre ancora in testa alla classifica mondiale dei produttori.
A questo punto non si può far a meno di chiedersi se sia una pura coincidenza, il fatto che anche Sergio Marchionne dopo aver portato a termine la fusione con la Chrysler abbia ora annunciato di voler ritirarsi tra quattro anni, proprio nel 2018. Gli ultimi sviluppi nei grandi gruppi automobilistici mondiali fanno capire che il settore dell’auto è alla vigilia dei più grandi cambiamenti che si siano sinora verificati nella storia dell’automobile.
Le decisioni di oggi saranno decisive per la futura sopravvivenza dei gruppi. Non ci sono quindi grandi differenze tra le logiche delle strategie di sviluppo della FCA e della Volkswagen. Quello che importa è soprattutto l’affermazione delle auto del segmento premium – nel caso della FCA le marche Alfa-Romeo, Maserati e Jeep – in grado di assicurare margini di guadagno a due cifre percentuali che i modelli di massa della Fiat e della Chrysler non possono dare.
La stessa cosa vale per il gruppo Volkswagen con Audi, Porsche e Lamborghini che devono guadagnare per coprire in questo momento le perdite della marca madre Volkswagen. A parte le dimensioni (la tedesca Volkswagen è dopo la giapponese Toyota il secondo gruppo a livello mondiale) l’attuale differenza è che, al contrario del gruppo Volkswagen, Fiat e Chrysler negli ultimi anni hanno dovuto concentrarsi sui problemi della loro fusione con la conseguenza di aver dovuto trascurare non solo il mercato europeo ma anche quello asiatico dove la Volkswagen ha ormai messo salde radici. Per questo uno dei prioritari compiti di Marchionne, nei quattro anni che mancano al 2018, dovrà essere quello di trovare un forte partner in Asia. Altrimenti, al contrario della ormai globale Volkswagen, Fiat e Chrysler continueranno a restare prevalentemente due marche di portata solo regionale.
Sicuramente però non sarà così. Vedremo nei prossimi anni cosa farà Sergio Marchionne prima di abbandonare nel 2018 il ponte di comando della Fiat Chrysler Automobiles la quale nel frattempo dovrebbe essere avanzata al quinto posto della classifica mondiale. La Frankfurter Allgemeine Zeitung (Faz), uno dei tre grandi quotidiani tedeschi a diffusione nazionale, in un recente articolo intitolato “Mamma mia, here we jeep again” commenta per la prima volta positivamente la fusione Fiat-Chysler definendolo un matrimonio felicemente riuscito.
Per il momento ciò riguarda la Jeep che sta andando alla grande su tutti i mercati mondiali e anche sul particolarmente esigente mercato tedesco. Il successo sarà presto di casa anche all’Alfa-Romeo, una marca che fino a una decina di anni fa ha avuto un enorme prestigio tra gli appassionati dell’auto premium in Germania, di cui lentamente ci si sta ora di nuovo ricordando.
I concessionari tedeschi sono concordi nell’esprimere la convinzione che dopo la fusione Fiat-Chrysler è assolutamente realistico pensare a un rinascimento dell’Alfa- Romeo sul più importante mercato automobilistico europeo, come a suo tempo fu possibile alla Porsche che fu salvata in extremis dal fallimento da un coraggioso e lungimirante manager, Wendeling Wiedeking il quale ha investito ora una parte dei suoi guadagni in una catena di ristoranti italiani.