È stato presentato a Berlino presso la Trattoria “A’ Muntagnola” il libro “Gast-Arbeiter; intervista a un emigrante” di Angelo Pettofrezza. Ad introdurre l’evento c’erano Daniela Filicioli, insegnante e la politologa Edith Pichler: “Ho letto il libro in silenzio -ha detto Pichlervolevo collegare le mie ricerche con la pubblicazione di Angelo.
Sono trascorsi 56 anni dall’accordo bilaterale tra l’Italia e la Germania che stabiliva e regolava il reclutamento della manodopera italiana verso la Germania. Possiamo osservare in questi anni il passaggio da un’emigrazione dei cosiddetti Gastarbeiter della prima generazione a quella che oggi viene definita la nuova mobilità europea: dai primi periodi, quando i Gastarbeiter iniziarono a lavorare e a inserirsi nel sistema tedesco, agli anni 70, quando giunsero le famiglie dei lavoratori, fino ad oggi, con la nuova generazione di emigranti che viene in Germania non solo perché costretti, ma per avventura“. Angelo Pettofrezza nasce nel 1947 a Copertino (Lecce).
Nel 1961 si trasferisce a Bad Godesberg dove vivevano i suoi genitori dal 1960. Ha pubblicato in Germania una raccolta di poesie Jugendschwächen e una in Italia, Sogni di Gioventù. Ha tradotto in tedesco la biografia di San Giuseppe da Copertino scritta da Bonaventura Danza. Angelo, in questo libro, come ha affermato Edith Pichler, ha percorso la storia delle vicende individuali e collettive degli emigrati italiani. All’inizio della lettura ci s’imbatte ai primi arrivi in Germania e l’autore, raccontando la sua esperienza personale, riesce a raccontare le esperienze di un’intera comunità: “Si va all’estero per molteplici motivi, ma nel 1960 uno dei motivi principali era quello di fare denaro”, legge alcuni passi del libro Daniela Filicioli: “Anche mio padre partì per fare fortuna, ma egli vi fu costretto per colpe non sue. E arrivò il giorno della partenza.
Avevamo messo l’indispensabile in alcune valigie di cartone, legate strette con la corda, proprio come se ne vedono nelle vecchie fotografie dell’epoca. Il viaggio Roma- Bonn durava 24 ore, salvo imprevisti e ritardi, questi ultimi all’ordine del giorno. Nel tardo pomeriggio del 30 giugno arrivammo alla stazione di Bonn, dove prendemmo il tram, il vecchio GM (Godesberg-Mehlem) già da tempo sostituito dalla metropolitana e da autobus. Non avevo mai visto un tram, figuriamoci la curiosità e l’emozione nel salirci sopra (…) Da una cosa ero rimasto colpito in modo particolare: i binari del treno attraversavano la strada e continuavano oltre un grande cancello chiuso.
Era la fabbrica dove lavorava mia madre. Passammo così al luogo che sarebbe diventato, almeno per i primi mesi, la mia seconda casa: le baracche dove alloggiavano i nostri connazionali. Finalmente a casa: un unico locale situato al pianterreno per tutti e quattro. Grazie a due armadi, erano stati creati l’angolo cottura, l’angolo da pranzo e i posti letto”.
Il libro è scritto sotto forma d’intervista. L’autore si sdoppia, è al contempo intervistatore e intervistato. Angelo riesce a raccontare se stesso e le sue esperienze, che non sono solo sue ma di un’intera comunità. È così che si possono percepire le difficoltà del momento, i pregiudizi e, in alcuni casi, il razzismo che gli italiani hanno subito al loro arrivo, che sono state superate grazie all’aiuto di amici veri, nel caso di Angelo grazie all’aiuto del suo amichetto Horst: “un giorno mi trovavo a casa di Horst, quando venne Willi un nostro amico di alcuni anni più piccolo, ma che portavamo sempre con noi, in particolare quando si andava in piscina o al cinema. Ricordo che il nostro amico era venuto per invitare Horst ad una festa a casa sua. Io non ero invitato, perché ero straniero e i suoi genitori non volevano.
Questa frase causò la reazione di Horst, il quale molto arrabbiato minacciando che non avrebbe partecipato neanche lui se non ci fossi andato io, disse che anche se di nazionalità diversa tra di noi non c’era nessuna differenza. Eravamo amici e quello bastava”. È stato grazie al Monsignore di Bad Godesberg, che ogni domenica Angelo aiutava a riordinare la cappella dopo la Messa, se ha potuto continuare gli studi, avere un’educazione adeguata e a differenziarsi dagli altri figli di emigrati italiani. Con uno stile semplice ma efficace, in pagine commoventi, l’autore ci descrive come abbia messo a disposizione il suo sapere per aiutare i suoi connazionali nelle difficoltà quotidiane, causate soprattutto dall’incapacità di parlare e comprendere la lingua tedesca: “Essendo poi l’unico ragazzo, ero diventato la mascotte degli operai, rendendomi anche molto utile.
La maggior parte di essi era analfabeta, alcuni non sapevano nemmeno fare la firma e grazie a me potevano scrivere alle loro famiglie. In questo modo venivo a conoscenza di molte cose della loro vita, delle loro condizioni, dei loro sogni, dei loro desideri (…) a volte addirittura mi commuovevo nel vedere quegli uomini rudi, con le mani callose e il viso pieno di rughe, usciti indenni dal conflitto bellico e temprati da tanti stenti e sofferenze, piangere nel sentire le notizie sui figli, lasciati in tenera età o addirittura nati dopo la loro partenza (…) in quelle lettere essi facevano anche un accurato rendiconto sino all’ultimo centesimo dei soldi guadagnati e di quanto fossero riusciti a risparmiare di quello che avevano trattenuto per il loro sostentamento…”.
Angelo verso la fine del libro fa, anche, un confronto tra la sua situazione e quella dei suoi connazionali in Germania con i comportamenti odierni degli italiani nei confronti degli immigrati e soprattutto degli extracomunitari. Per gli immigrati italiani in Germania presenti alla presentazione a Berlino è stato triste ascoltare l’ultima lettura scelta da Daniela Filicioli: “Quando vedo e sento alla televisione o leggo sui giornali parlar male degli immigrati mi vergogno di quelle persone che parlano così negativamente sugli extracomunitari. Spesso il viaggio che si intraprende non è altro che una parentesi che divide il dolore per aver dovuto lasciare i propri cari e la tristezza di trovarsi in un ambiente sconosciuto lontano dalle proprie radici“.