Inghilterra, Olanda e Germania sono tre degli eldorado europei di italiani che cercano lavoro all’estero. In questi paesi del Nord Europa i selezionatori non sono sempre entusiasti di ricevere cv da parte di candidati provenienti dall’Italia. Molte volte la reazione dei recruiter è di diffidenza perché i curricula degli italiani sono considerati poco comprensibili e le università in cui hanno studiato i nostri connazionali, per quanto valide, risultano sconosciute o poco note. Inoltre, molti candidati si presentano come “doctor”, anche se dopo il confine il significato del termine è molto diverso. Chi esamina le candidature di italiani spesso non riesce a capire chi si trova davanti e se il profilo corrisponde alle necessità indicate dall’azienda.
Questa è la sensazione di tre persone, interpellate da Linkiesta , che per lavoro valutano cv e profili professionali da ogni parte del mondo. Due di loro sono italiani ma hanno abbastanza esperienza fuori Italia per conoscere la percezione generale che hanno nei nostri confronti i recruiter dei Paesi che li ospitano, Inghilterra e Olanda. La terza è tedesca ed è il capo delle risorse umane di Trivago, un’azienda che ha molti collaboratori arrivati in Germania dal nostro Paese.

Regno Unito

Carlo Boldetti lavora come ingegnere meccanico in Formula 1 da dodici anni. Pur non essendo un recruiter di professione, Boldetti ha visionato moltissime candidature di connazionali alla ricerca di un impiego a Londra. Si è trovato a fornire un aiuto a molti ragazzi nel redigere cv: «I curricula degli italiani sono per molti versi incomprensibili», dice l’ingegnere che lavora per la McLaren. «Sembra che i giovani italiani non facciano alcuno sforzo per mettersi nei panni di un inglese che non conosce il sistema del nostro Paese».

Ma quali sono nello specifico le voci che a un selezionatore del Regno Unito possono apparire insolite? «Il voto di laurea in 110 è un esempio», spiega Boldetti. «Meglio informarsi e mettere l’equivalente in inglese: un 110 è un “first”. E altrettanto strano suona il voto del liceo in sessantesimi o il tipo di laurea, che qui, nell’ambito dell’ingegneria, è chiamata Meng (Master of engineering, ndr) o Beng (Bachelor of engineering, ndr) a seconda del livello».

Le lacune dei cv però non si fermano alle definizioni non corrette. «Sono spesso in formato Europass ed eccessivamente lunghi: nessuno ha il tempo di leggerli e vengono cestinati», aggiunge il tecnico della McLaren. «In più, hanno molti elementi non mirati al lavoro in questione. Qui per esempio non serve inserire cose come sesso, data di nascita e autorizzazione del trattamento dei dati perché è proibito discriminare in base al genere o all’età. Sono sprechi di spazio: il curriculum deve essere di una pagina ed essere corredato assolutamente una lettera di accompagnamento».

Alle mancanze dei curricula si aggiunge la scarsa conoscenza degli atenei italiani da parte di chi valuta le candidature: secondo l’ingegnere, le università del nostro Paese sono pressoché sconosciute e l’unico parametro per misurarne la bontà diventano i ranking internazionali, dove raramente il nostro sistema universitario figura in posizioni di eccellenza. Che poi gli standard impiegati dalle classifiche siano discutibili non è affare dei recruiter: ognuno utilizza gli strumenti che ha a disposizione.

Olanda

In Olanda la percezione sembra essere un po’ più positiva. «Questo è un Paese pragmatico: tutti i cv, compresi quelli degli italiani, sono valutati senza discriminazioni rispetto alla provenienza o all’università frequentata» racconta Andrea Pancaldi, che dirige lo sviluppo dell’area web di TomTom a Amsterdam e ha lavorato in precedenza anche per società di consulenza.

«Negli ultimi cinque anni – afferma Pancaldi – avrò fatto colloqui a circa 300 persone in Italia e in Olanda per figure professionali con forte competenza tecnica. Mi sono reso conto, anche osservando il lavoro di altri, che qui i recruiter non conoscono molto le università italiane. La più conosciuta è sicuramente Bologna, ma più per ragioni di marketing – la più antica università europea – che per meriti tecnici o didattici. Sono note anche la Bocconi per l’area finanziaria e il Politecnico di Milano e Torino per quanto riguarda lo sviluppo. Ma la conoscenza si ferma lì e il motivo risiede nella scarsa sinergia tra atenei e aziende private: qui, per esempio, l’Università di Eindhoven ha alle spalle Philips e Asml».

Germania

E veniamo al sistema del lavoro tedesco, per il quale ci dà il suo punto di vista Lisa Kallenberg, la responsabile delle risorse umane di Trivago, motore di ricerca che compara i prezzi degli hotel. «In Germania – spiega la manager – le candidature consistono nel cv, nella lettera di presentazione e nella foto del candidato. Molti italiani invece mandano solo il curriculum e, se inviano una fotografia, si tratta di un’immagine scattata in contesti non professionali. Quanto alle “cover letter”, arrivano solo nei casi in cui è obbligatorio e raramente servono a far capire la motivazione che li spinge a candidarsi per Trivago».

Anche Kallenberg indica come fattore negativo il frequente ricorso dei nostri connazionali al formato Europass: «Se da una parte è facile da leggere, dall’altro non permette di indicare informazioni specifiche per la posizione in questione e impedisce di mettere in risalto individualità e creatività».
Quello che però sorprende di più i selezionatori in terra tedesca è il ricevere talvolta candidature in italiano. «Non sempre si rivela una scelta utile perché, per usi interni, abbiamo bisogno che siano in inglese», osserva il capo del dipartimento Hr ricorrendo a un evidente eufemismo. «Inoltre abbiamo notato che gli italiani di solito inseriscono la qualifica “dottore” accanto alla loro laurea, ma in Germania, e all’estero in generale, quella parola ha un significato diverso».

I cv quindi sono da rivedere ma sembra che in Germania il talento tricolore non passi inosservato. «Di solito – conclude Kallenberg, tenendo presente che l’azienda ha assunto e assume lavoratori italiani – riceviamo dall’Italia candidature di persone molto preparate, spesso anche più qualificate del necessario, e con disponibilità immediata a trasferirsi qui per lavorare».