E così, ogni volta che un nostro Presidente del Consiglio si reca a Berlino per interloquire con il Cancelliere Federale, si crea un’atmosfera da partita di calcio Italia-Germania. Chi vincerà? Raramente la gente si aspetta risultati concreti, accordi e progetti comuni per il benessere dei due Paesi. Quello che conta sembra essere piuttosto l’esito di “chi l’ha spuntata?” Usciamo naturalmente da quest’ottica da tifoseria, cercando però prima di darne una spiegazione. Bisogna premettere che ogni confronto Italia- Germania è sempre un confronto tra due Paesi leader di due sfere culturali diverse e spesso opposte. L’Italia è il Paese più importante del bacino del mediterraneo, leader economico e culturale dell’Europa meridionale. La Germania, dal suo canto, rappresenta in tutto e per tutto i valori e la potenza dell’Europa centrale. I tedeschi fanno le macchine più robuste del mondo? Bene, gli italiani costruiscono le più belle. I tedeschi manifestano la loro fede senza fronzoli? Bene, noi portiamo i santi in processione con i fuochi d’artificio. I prussiani hanno inventato il “Beamtentum”, una sorta di codice etico che regola l’essere al servizio dello Stato con devota sottomissione? Ancora peggio. Noi abbiamo concepito per decenni il pubblico impiego come valvola di sfogo per una disoccupazione cronica. In Germania si vive per lavorare bene? In Italia si lavora per vivere meglio.
Ora, se si usa lo stesso metro per misurare queste peculiarità, ne viene fuori un quadro che vede, troppo spesso, l’Italia in svantaggio. L’unità di misura dell’efficienza di una società, del dinamismo e della modernità di uno stato è, infatti, un metro di stampo centreuropeo. Ma tutto, ed è risaputo, è in realtà relativo. Se la storia avesse preso un altro corso e se l’Italia, almeno quella meridionale, si fosse orientata a Sud, forse sarebbe ora un vero e proprio faro economico e culturale per tutta l’Africa settentrionale e per tutto il meridione d’Europa, Medioriente incluso. Ma non è andata così. La realtà ci obbliga (a volte ci condanna) a misurarci con l’Europa centrale. Che ci piaccia o no.
E torniamo alla storiella del rispetto e della simpatia. Il rispetto in Europa si guadagna con le carte in regola dei bilanci pubblici. Il tallone d’Achille dell’Italia, nei confronti dell’Unione Europea è, e resta, pertanto l’andamento dell’economia nazionale. Renzi e prima di lui Letta, e poi Monti e prima ancora Berlusconi, hanno avuto un problema comune: il rischio di non conformità alle direttive europee del deficit aggiuntivo. L’ultima Legge di Stabilità non fa eccezioni. Parliamo di diciassette miliardi di Euro di nuovi debiti, destinati a passare al vaglio dell’Esecutivo UE. Il verdetto sarà espresso a maggio. E questa è la sintesi di due visoni opposte: l’Italia continua a chiedere flessibilità. La Germania continua a chiedere austerità. Abbiamo detto che la missione berlinese di Renzi del 29 gennaio scorso è riuscita solo a metà. Ed è questa la metà fallita. Matteo Renzi ha tentato di ottenere l’appoggio della Cancelliera sulla flessibilità di bilancio ma gli è andata male al momento in cui Angela Merkel l’ha stoppato con un “ Non mi immischio in queste cose. È compito della Commissione decidere l’interpretazione.”, che ha congelato l’argomento.
Renzi si è ben guardato dal calcare la mano contro Bruxelles dal podio berlinese, ben consapevole che la Cancelliera non lo avrebbe sostenuto. Sono ancora fresche di stampa le battute acide tra il nostro Premier e il Presidente della Commissione UE. Renzi ha ben ricordato che “La flessibilità è una condizione dell’elezione di Jean-Claude Juncker. Non credo che abbia cambiato idea”. Il Presidente Juncker, a sua volta, ha rivendicato di essere stato lui a rendere più flessibili i patti di bilancio europei. Renzi ha però confermato la sua linea dura nei confronti di Bruxelles, anche con la nomina di Carlo Calenda a Rappresentante dell’Italia all’UE. Renzi ha scelto una specie di pugile professionista per andare a discutere a Bruxelles, lasciando intendere che non ha mazzi di fiori da distribuire sotto il Manneken Pis. È guerra dichiarata ai manierismi diplomatici e all’euroburocrazia. Effetti collaterali della nomina del super manager a Bruxelles? L’indiretto discredito del nostro corpo diplomatico agli occhi del mondo. Come se tra i nostri ambasciatori non ce ne fosse nemmeno uno capace di difendere efficacemente la linea del governo italiano ai vertici UE. E poi resta da chiedersi come sono da inquadrare i segnali contraddittori che proprio il nostro Governo lancia alla stessa Europa. Renzi decreta il licenziamento in quarantotto ore dei pubblici dipendenti fannulloni. Afferma quindi indirettamente che l’Italia è piena zeppa di pubblici dipendenti truffatori (e chiede all’Europa flessibilità di bilancio che serve tra l’altro a coprire l’enorme spesa del pubblico impiego). Anche se Renzi mandasse Spiderman a Bruxelles, non riuscirebbe, infine, a cancellare la macchia della corruzione nel settore pubblico. L’Italia è al secondo posto dei Paesi europei più corrotti, preceduta solo dalla Bulgaria. E pretendiamo il rispetto della Germania? Un rispetto che certamente meritiamo in mille altri settori ma non certo in quello del contenimento della spesa pubblica.
Matteo Renzi ha intelligentemente dirottato subito l’attenzione sul comune nemico individuato nel dilagante “populismo” europeo. Ha elogiato la Cancelliera per la sua politica di apertura verso i profughi. Se è compiaciuto che ora, finalmente, l’Europa convenga, col sostegno della Cancelliera, sulla necessità di una soluzione comune al problema profughi. Dopotutto Lampedusa non è più l’unico buco della serratura del portone europeo. Ma tutto ha un prezzo e Renzi si è dichiarato disposto a pagarlo. Parlando dei fondi destinati alla Turchia, per contenere i flussi migratori dal Medioriente, ha dichiarato: “Siamo d’accordo sul fatto che i soldi vanno sbloccati”. L’Italia è quindi pronta a pagare la sua quota. Angela Merkel ha asserito in conferenza stampa, dopo aver ricordato che l’anno prossimo la Germania avrà la presidenza del G20 e l’Italia del G7: “Siamo d’accordo sul fatto che il finanziamento da 3 miliardi debba essere sbloccato. Ankara ha dato il suo contributo. Il flusso dei profughi è migliorato”. Renzi e Merkel pienamente d’accordo che per affrontare la questione migranti, “la leva deve essere la lotta alle cause. Occorre migliorare la situazione dei profughi in Libano, in Giordania e in Turchia”. Ma quello che conta di più è la positiva valutazione della Merkel in campo economico: „Il Jobs Act si muove nella direzione giusta. Il successo di queste riforme sarà un contributo importante all’Europa e all’Italia”.
Nessuno ha potuto evitare di notare, infine, che ancora una volta il capo del Governo italiano è venuto a Berlino e non ha speso nemmeno una frase a favore dei quasi ottocentomila italiani che vivono in Germania. Eppure Matteo Renzi farebbe bene a ricordarsi che se oggi si rivolge alla Cancelliera, chiamandola familiarmente Angela, lo deve anche al rispetto che questa collettività italiana si è guadagnata in Germania col proprio lavoro e con la propria onestà. L’Italia contribuisce tutti i giorni alla stabilità economica della Germania col lavoro di questa gente. Parliamo del rispetto che gli italiani in Germania si sono conquistati sul campo. Lo stesso rispetto che i nostri governanti, invece, inseguono a tutt’oggi con grande affanno.