Il Financial Times la definisce il più creativo “Image –maker” di questa generazione, che effetto le fà? Lo carica di responsabilità?
Quando uno scopre qualcosa di nuovo ognuno ha una certa carica ma viene tutto molto in maniera naturale. Noi siamo arrivati in un momento giusto, il cosidetto “right time”, ed è chiaro che tutto diventa diverso dagli altri. L’uomo in questo momento è un uomo stanco e dietro a questa stanchezza c’è sempre una voglia di cambiamento. Questo lo abbiamo individuato, e noi in Italia siamo i più grandi designer e stilisti con una cultura e storia invidiabile, ma abbiamo un tallone d’Achille che spesso siamo talmente avanzati che ci fermiamo e collassiamo sulla nostra stessa struttura. Per valorizzare allora i lavori spesso bisogna evadere. Londra sicuramente mi ha dato molto, ha una apertura mentale più ampia per creare delle cose che vengono immediatamente accettate. La multietnicità poi fa il resto.
Come è stato iniziare a Londra?
Sostanzialmente è stato come in Italia ma con le facilitazioni dette prima, quello che conta è l’occhio. Vede io vengo dal sud e noi abbiamo una tradizione della siesta, dove ci mettiamo seduti a riposare e ad osservare le persone che passano, facendo loro delle critiche su come camminano o come si vestono. E così ho iniziato ad allenarmi ad osservare le cose e lo stile di esse, per poi cercare di migliorare, non cambiare, ma migliorare le cose per renderle più glamour.
Come nasce un suo abito, una sua creazione, l’idea, la forma lo stile…. ?
Nascono tutti per caso, e le cose che nascono per caso alla fine hanno successo. Per strada nei pub, il colore della sua penna, tutto quello che vedo e riesco ad immaginare cerco poi di modificarlo secondo il mio stile, salvo mantenendo la tradizione che è la forza di tutto. Mantenere la tradizione vista però con gli occhi del futuro.
Come definirebbe il suo stile?
Innovativo, forte, bisogna avere una ferma convinzione per indossarlo. Ogni pezzo può essere portato da tutti. Il mio cliente prende la prima cosa e piano piano prende tutto il resto, il mio stile alla fine lo avvolge completamente.
Che ricordi ha del “Interno 8”?
Ho dei ricordi bellissimi, fa parte della mia evoluzione. Attualmente sono un evoluzione del mio essere uomo. Oggi sono Angelo Galasso, ieri ero Angelo Galasso lo sconosciuto ma sostanzialmente sono sempre io grazie a quell’interno 8 dove ho iniziato con le camicie per poi dare vita a tutto questo.
Quanto la moda del presente e del futuro prende spunto dal passato?
Sicuramente per costruire bisogna prendere spunto dal passato. Molti però prendono il passato e lo riproducono, io invece prendo il passato e lo studio e poi uso le cuciture, il modello e guardo al futuro, cerco di cucire il passato sul futuro. Oggi l’uomo è più vanesio della donna e bisogna cogliere questo aspetto e costruirci sopra il futuro.
Ci racconti della camicia “polso –orologio” sullo stile dell’Avvocato Agnelli che in Italia non ebbe successo mentre a Londra ne furono ordinate 1000 in una sola volta, come se lo spiega?
Il successo di questo polso lo avete fatto voi giornalisti. Noi abbiamo sostanzialmente portato in evidenza un orologio che di solito stava sotto il polso. Lo abbiamo fatto per esaltare gli orologi. Ho iniziato a studiare una forma che portasse l’attenzione sull’orologio. Poi questo ha portato ad una coincidenza con l’avvocato Agnelli, un uomo sicuramente di stile e tutto quello che faceva lo emulavano. Il progetto in verità fu sviluppato in parallelo ed un amico comune mi disse che sicuramente all’avvocato poteva piacere e così fu, ne rimase molto colpito. Ma grazie a voi che poi ha avuto successo, fino a trovare questa creazione nel design museum di Londra a mia insaputa.
Qual è la prima immagine di eleganza che ricorda?
Sicuramente quella di mio padre dal quale poi ho preso spunto per emularlo. E poi l’eleganza delle persone dove sono nato, le persone che ho incontrato. Mi divertivo fin da bambino a modificare le cose a mia immagine e somiglianza. E tutto questo lo dovevo fare di nascosto perché mio padre non voleva.
Cosa ha da proporre per la collezione Primavera estate 2012 ?
Lavorerò sui colori bianco e blu, che sono i colori predominanti della Saint Tropez che sarà la nuova collezione che presenteremo al Central Park di New York.
Che cosa nell’abbigliamento di un uomo non deve mai mancare?
Le scarpe. Lo diceva anche Vittorio Gassman, se vuoi vedere l’eleganza di un uomo, vedi le sue scarpe, da lì si capisce tutto. Un po’ come le gambe di una donna, da quelle si capisce il resto. Nella società dell’apparire occorre apparire, ma l’essere oggi rappresenta ancora un valore? Sicuramente sì. Ognuno di noi è diverso e si vuole sentire diverso. Sicuramente oggi si guarda di più il superficiale, l’esterno e non l’interno e molti si sono persi e non si ritrovano più, perché quando ottengono ciò che volevano si accorgono che poi quella strada non era quella giusta. C’è da fare attenzione a questo aspetto. L’importante è seguire il proprio credo e stare attenti a non perdersi.
Cosa si intende oggi per moda e per stile?
Sono diverse ma vanno sostanzialmente in parallelo. Moda è l’articolo che in quel momento fa tendenza, un misto tra comunicazione e innovazione. Lo stile fa parte di un certo atteggiamento interiore dell’essere umano e se poi si rifà alla tradizione che si diceva prima. Tuttavia c’è da dire che l’uomo può essere elegante ma non avere stile perché lo stile emerge dall’interno.
Con la crisi attuale, come sta il settore della moda secondo lei?
Io non penso che sia una problema di crisi. C’è anche il problema di crisi che influisce sulle nostre menti, ma io credo che sia un problema di innovazione, ecco perché il mio prodotto nonostante tutto va bene. Le faccio un esempio, se prendiamo una cravatta comune, in un momento di crisi non la compro perché già la conosco, se è un momento non di crisi ne compro due o tre, ma in un momento di crisi prendo un cravatta nuova, un pezzo unico magari. Voglio dire che c’è un problema di innovazione. Certi marchi pur di salvarsi in un momento di crisi hanno abbassato il livello di innovazione per di vendere. Invece se si imposta un progetto a lungo termine, i risultati non si vedono nel breve termine ma in futuro il guadagno è garantito.
Che consiglia di fare ai giovani che vogliono fare il suo lavoro?
Di non mollare mai. Di lottare sempre, senza perdere la passione. Prima di far comprare il prodotto devono comprarlo loro, farselo proprio e solo dopo lanciarlo sul mercato. Noi abbiamo un segreto in cui crediamo: riusciamo ad ottenere ciò che pensiamo fortemente.