Non sarà facile scegliere tra auto tradizionali, ibride o elettriche in arrivo sul mercato. Se i manager avessero potuto immaginare il disastro che il “dieselgate” avrebbe causato al gruppo automobilistico di Wolfsburg e all’intero settore dell’auto tedesca mai avrebbero approvato l’utilizzo dell’illegale “software” che manipolava i dati dei gas di scarico dei motori diesel. Nella migliore delle ipotesi ci vorranno ancora molti anni per far dimenticare l’accaduto

Sono passati ormai tre anni e mezzo dal “dieselgate” da quando cioè l’EPA, l’autorità americana per la protezione dell’Ambiente, rese noto che la Volkswagen aveva manipolato sistematicamente per anni il test di emissione dei gas di scarico delle nuove auto diesel. Soltanto ora il Parlamento Europeo si è deciso a fare sentire la sua autorità imponendo ai Paesi dell’UE l’obbligo di eliminare dai motori diesel quel dispositivo che sui rulli del collaudo consentiva di attestare il pieno rispetto delle norme ambientali. Ovviamente a spese del relativo costruttore, ben inteso. Anche altri produttori tedeschi ed europei di auto sono venuti a trovarsi nella stessa sgradevole situazione, dietro la quale si trovava la regia della Bosch. Non è un capitolo che sarà facile dimenticare. Nel corso della stessa seduta il Parlamento europeo si è occupato anche del problema dell’inquinamento di CO2 (anidride carbonica) causato dai motori delle auto, approvando a grande maggioranza una sua decisa riduzione che entro il 2030 dovrà arrivare al 37,5% rispetto al 2021. Una decisione che va di là dai progetti dell’industria e del governo tedesco che non avrebbero desiderato scendere al di sotto di una riduzione del CO2 al massimo del 30 per cento.

Un capitolo non fa onore alla Germania

La storia del motore diesel tedesco è contrassegnata da due date indicative. La prima è quella del 23 febbraio 1982 quando l’ingegnere Rudolf Diesel patentò la sua invenzione. La seconda è il 18 settembre 2015 quando l’EPA, autorità USA per la protezione dell’Ambiente, rese noto che il gruppo automobilistico tedesco Volkswagen manipolava da anni in sede di omologazione delle auto il software della centralina dei motori diesel. In questo modo, sui banchi di collaudo i motori erano in grado di attestare un livello d’inquinamento in regola con le leggi ambientali, per poi superarlo ampiamente dopo aver ottenuto il via libera alla normale circolazione. L’aver messo sulle strade americane circa mezzo milione di auto con motori diesel incriminati è costato a tutt’oggi alla Volkswagen qualche decina di miliardi di dollari, ma stando alle dichiarazioni rilasciate al settimanale tedesco Spiegel dal funzionario della giustizia Usa, Larry Thomson, incaricato di seguire personalmente gli sviluppi della vicenda Volkswagen, la centrale tedesca di Wolfsburg non avrebbe dato sinora l’impressione di farlo con la dovuta severità e coerenza e anche con po’ di umiltà. In altre parole, vi sarebbe ancora il pericolo che, una volta rientrato Thomson negli Usa, alla VW possa verificarsi un secondo scandalo diesel, al quale, secondo il funzionario americano “ il gruppo di Wolfsburg però questa volta non sopravvivrebbe”.

Diesel senza futuro?

A questo punto verrebbe spontaneo pensare che l’industria automobilistica tedesca, preso atto della lezione, in futuro concentrerà i suoi sforzi sulla motorizzazione elettrica abbandonando il motore diesel. Sembrerebbe logico e invece molto probabilmente vedremo che non sarà così e che “Deutschland” continuerà a far rima con “Dieseland”. Per capirlo è sufficiente dare un’occhiata in internet alle testate che seguono da vicino gli sviluppi della vicenda dei motori diesel evidenziando tutte quelle iniziative tecnologiche che l’industria tedesca dell’auto non ha realizzato in passato perché giudicate troppo costose. C’è una precisa dichiarazione al riguardo fatta dall’ex amministratore delegato Vw, Martin Winterkorn, circa due anni prima della decisione dell’Epa americana del 2015. Winterkorn affermò allora che in passato si era ritenuto opportuno rinviare investimenti per decine di milioni di euro necessari per aggiornare le norme di utilizzo del diesel sotto l’aspetto ambientale. Investimenti, così disse Winterkorn allora, che avrebbero inciso significativamente sul prezzo del motore, già di per sé costoso rispetto al motore a benzina. Quello che Winterkorn si guardò bene dal dire fu che la Volkswagen alla fine optò a favore dell’adozione di un raffinato e fraudolento software in grado di convincere gli specialisti dell’inquinamento atmosferico. Chissà cosa facessero a quel tempo gli esperti ambientali europei che oggi fanno la voce grossa e gridano allo scandalo. Di espedienti tecnici per ottimare la combustione del diesel c’erano molti e sarebbero ancora oggi possibili se il diesel fosse ancora soltanto un problema tecnico e non invece un grave problema politico e mediale. Per il momento non è possibile prevedere fino a che punto l’industria e in parte anche la politica tedesca continueranno a sostenere il motore diesel. Industria e governo prevedono che le nuove auto puramente elettriche oppure ibride – vale a dire equipaggiate con un motore elettrico, ma nello stesso tempo anche con un motore a combustione, a benzina o a a diesel – arriveranno nel 2030 a soddisfare il 70% del totale delle immatricolazioni.

Differenti priorità dei gruppi

Ancora non è chiaro se Herbert Diess, Dieter Zetsche e Harald Krüger – gli amministratori delegati dei tre grandi gruppi tedeschi dell’auto Vw, Daimler e Bmw – abbiano raggiunto un solido accordo sull’offensiva dell’auto elettrica che in parte sarà finanziata dal governo tedesco. È chiaro che la Volkswagen, in considerazione della sua struttura produttiva, vorrebbe un’offensiva più ampia rispetto alle sue concorrenti Daimler e Bmw le quali preferiranno continuare a concentrarsi sulle loro grosse auto tradizionali o in versione ibrida, le quali sono anche accluse nel programma delle sovvenzioni governative con un premio di 3000 euro, contro i 4000 euro previsti per chi si deciderà a favore di una semplice auto elettrica. Dal 2016, l’anno dopo il “dieselgate”, il governo di Berlino contribuisce a un premio a favore di chi decide di acquistare un’auto elettrica che però scadrà tra due mesi in giugno. Sinora questo di promozione non ha avuto molto successo, tanto è vero che dei 600 milioni di euro disponibili ne sono stati utilizzati sinora soltanto 140 milioni. Sia la VDA, l’associazione dell’industria automobilistica tedesca, sia il partito socialdemocratico SPD sostengono l’opportunità di estendere la promozione delle auto elettriche fino altri dieci anni, vale a dire fino 2030, considerato che le attese sinora nutrite non si sono minimamente verificate.

Stazioni di ricarica elettrica

Manca ancora un vero accordo tra industria e governo tedesco soprattutto per quanto riguardo la realizzazione delle necessarie stazioni di ricarica per le auto elettriche che interesserà sia le auto puramente elettriche sia quelle ibride. Non è una questione da poco a giudicare dal fatto che a un certo punto della discussione la direzione Volkswagen aveva prospettato persino l’uscita della Volkswagen dalla VDA, l’associazione in cui sono riuniti non solo i tre grandi gruppi tedeschi dell’auto e anche qualche centinaio di produttori tedeschi di componentistica.

Di certo in questo momento si può dire soltanto questo: l’armonia che negli ultimi decenni aveva caratterizzato l’attività della VDA non c’è più a causa dei diversi nuovi interessi che d’ora in poi caratterizzeranno l’attività dei produttori di auto e dei produttori di componentistica. Con l’avvento dell’auto elettrica, infatti, i vari gruppi automobilistici produrranno direttamente molte parti e sistemi elettrici per le loro auto, la qualcosa non potrà restare senza ripercussioni sui loro rapporti con i produttori di componentistica. Se avvertiranno le conseguenze anche i molti produttori italiani di componentistica che lavorano per l’industria automobilistica tedesca.

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