Foto di Patrick Behn auf Pixabay

Tenuto conto che buona parte delle Missioni Italiane, soprattutto nel Sud della Germania è guidata da confratelli di origine africana ci si chiede se gli adepti dei Black Lives Matter andrebbero a distruggere vetrate e statue con l’effige di Nostro Signore, lì dove vi sono fratelli dalla pelle nera. Shaun King, un attivista dei Black Lives Matter, ha dichiarato che le statue e le vetrate che rappresentano “l’uomo bianco Gesù e la sua madre europea, devono essere tirate giù in quanto forma di supremazia dei bianchi”. Questo appello delirante si commenta da solo e la dice lunga sugli obiettivi del movimento dove questo ex pastore di non si capisce quale Chiesa americana e con problemi di fondi raccolti e pare mai consegnati per determinate necessità – come il terremoto di Haiti ed altro – o consegnati solo in parte, vuole la sola supremazia nera.

Il quadretto che viene solitamente dipinto è quello che, al di là delle frange estremiste, coloro che marciano sotto il motto Black Lives Matter (“le vite dei neri contano”) sono animati dai più alti valori di uguaglianza nel genere umano. Ora, può essere che fra loro ci siano effettivamente dimostranti che si limitano a proclamare il dovuto rispetto per tutti. Ma sarebbe una forzatura presumere che il grosso di chi ripete Black Lives Matter non sappia a che cosa effettivamente aspiri questo movimento.

Le stesse premesse del motto sono fantasiose

Rivendicare che le vite dei neri contano, quasi si trattasse dell’improvvisa rivelazione di una verità che non conoscevamo, presuppone l’assurda convinzione che le persone afroamericane, mentre passeggiano pacificamente per strada, siano prese di mira da poliziotti bianchi che si divertono sadisticamente ad assalirli e, a volte, ad ammazzarli. La realtà è ben diversa: a differenza delle sparatorie fra civili (comprese quelle fra afro-americani), che non di rado prendono in mezzo bambini e terze persone inermi, l’occasionale violenza della polizia (contro afro-americani come contro chiunque altro, anche bianchi) avviene in seguito a crimini o altri episodi d’illegalità, per i quali i presunti responsabili erano stati fermati (l’ex sindaco di New York Rudy Giuliani ha ricordato che l’anno scorso ci sono stati 9 casi di afro-americani disarmati ed uccisi in scontri con la polizia – contro più del doppio di bianchi -, a fronte di 7500 omicidi di afro-americani da parte di altri afro-americani).

Se si verificano colluttazioni e ci scappa il morto, ci sono indagini approfondite e processi volti ad accertare se la polizia abbia o meno applicato una forza ingiustificata e quindi, come purtroppo successo in alcuni casi, vi è stato abuso di potere, dove la forza bruta della polizia è ingiustificata, come successo poco tempo fa a Brema, dove è stato ucciso alle spalle un uomo sfrattato dalla sua casa, con ben oltre una decina di poliziotti e solo perché brandendo un coltello in mano si era messo a scappare dietro un altro poliziotto, una poliziotta gli ha conficcato due pallottole nella schiena uccidendolo sul colpo (poteva sparare alle gambe, ad un braccio…no ucciso some una bestia feroce). Quindi, il sistema non è razzista, ma al contrario è organizzato in modo tale da permettere che vengano puniti sia i criminali sia i poliziotti che abbiano usato eccessiva violenza, una volta che questa sia stata provata. In parole povere, il vero problema è il crimine ed anche l’abuso di autorità, non certo il sistema volto al suo accertamento ed alla sua punizione.

Inoltre, non pare proprio che chi marcia sotto lo slogan del Black Lives Matter sia davvero convinto che le vite di tutti i neri senza eccezione contino. S’ignorano del tutto le vite indifese nel ventre delle loro madri. Eppure, è proprio questo l’unico caso evidente di “razzismo sistemico”, dato che il movimento abortista si è caratterizzato, sin dall’inizio, per il suo razzismo. Non sorprende quindi la sproporzione, in rapporto alla percentuale della popolazione, di bambini e bambine di colore fatti a pezzi tramite aborto, nella quasi totale indifferenza; certamente l’indifferenza del Black Lives Matter, che anzi sostiene la “giustizia riproduttiva” (Alicia Garza in Colorlines, 9 febbraio 2016), una delle tante mistificazioni linguistiche per tentare di giustificare il mai giustificabile crimine di aborto.

Chi ha analizzato origine e sviluppi del Black Lives Matter non ha avuto difficoltà ad appurare la sua stessa auto-identificazione come movimento neomarxista, le cui pretese vanno dalla sottrazione di fondi alla polizia, alla lotta contro il capitalismo, alle riparazioni monetarie da corrispondersi solo in base al colore. Come per movimenti analoghi degli anni passati, queste rivendicazioni si sono accompagnate a violenza, della quale le prime a subirne i danni sono state proprio le comunità afroamericane intente a migliorare la loro condizione economica.

Senza entrare nel merito del profilo biografico delle sue fondatrici (di per sé stesso alquanto rivelatore), basta leggere i 13 principi-guida sbandierati dal movimento per rendersi conto di quali siano i suoi veri obiettivi. In poche parole, ci troviamo di fronte al solito ventaglio di rivendicazioni perverse (nel senso etimologico dell’espressione, cioè non orientate verso il bene naturale dell’uomo), questa volta avanzate dietro lo specchietto per le allodole del principio di pari dignità di tutti gli uomini indipendentemente dal colore della loro pelle (principio ovviamente sacrosanto, senza che ci sia bisogno del Black Lives Matter per ricordarcelo).

In definitiva, di fronte alle marce, le urla, le forme di un nuovo rito pagano (quali l’inginocchiarsi o l’alzare le mani col pugno teso), e l’intimidazione di chi osa pensarla diversamente, tutto questo nel nome del Black Lives Matter, è opportuno che (nella preghiera per la conversione dei suoi adepti) ci liberiamo dall’illusione che il movimento si limiti a rivendicare l’uguale dignità di tutti e guardiamo invece in faccia la realtà di che cosa effettivamente si proponga di raggiungere, cioè quegli obiettivi sinistri che il movimento proclama apertamente.

Una libertà religiosa a rischio, e quel che in Italia avviene da anni che ha fatto purtroppo da modello ed apripista anche altrove, e ciò che negli Stati Uniti d’America mina alla libertà religiosa ormai solo nominalmente tutelata dal Primo Emendamento, ma di fatto minacciata persino nel suo “diritto di esercitare liberamente la propria fede, di riunirsi nelle proprie comunità, di condurre uno stile di vita conforme a quanto ordinato dalla Sacra Scrittura”: anche perché la Corte Suprema “ha fatto ciò che il Congresso si è sempre rifiutato di fare per anni”.

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