Nella foto: Lucio Dalla Foto di ©Di Lucarelli - Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=5449314

La pandemia non è riuscita ad uccidere il Festival del cinema di Berlino, giunto alla sua 71esima edizione. Nonostante i cinema chiusi, i lockdown e le zone rosse, la capitale tedesca ha celebrato la sua tradizionale kermesse cinematografica consentendo agli addetti ai lavori (stampa e marketing) di vedere sugli schermi del computer di casa una serie di film affascinanti e di alta qualità. In un secondo momento, in estate, virus permettendo, le stesse pellicole saranno proiettate nelle sale o nelle arene all’aperto così da raggiungere l’ampio pubblico che meritano.

E sebbene nessun film italiano fosse stato selezionato per il concorso vero e proprio, una pellicola made in Italy ha riscosso grandi apprezzamenti. Si tratta di Per Lucio di Pietro Marcello, un omaggio sentito e accorato al grande cantante Lucio Dalla, scomparso nove anni fa; una figura importante del patrimonio canoro e culturale italiano il cui impatto mediatico e simbolico è stato molto più profondo di quanto comunemente ci si immagini. Il regista casertano Pietro Marcello è riuscito nell’impresa di confezionare un documentario di alta qualità, ben strutturato sul piano estetico, assai istruttivo, a tratti pure divertente e comunque mai banale e mai agiografico. Non era facile, anche perché il regista è stato un fan dichiarato di Lucio Dalla («sono cresciuto ascoltando e canticchiando le sue canzoni, le conosco tutte a memoria», ha dichiarato in un’intervista) e anche un suo amico personale.

La prima sequenza del film, che è passato per la precisazione nella sezione “Berlinale Special”, porta lo spettatore nel cimitero di Bologna, dove un signore depone dei fiori sulla tomba di Lucio. Si tratta di Tobia Righi, colui che fin dagli esordi e fino alla fine è stato il manager di Dalla, anche se lo è diventato quasi per gioco, prestandosi alle richieste del cantante, quando ancora non era conosciuto e neppure poteva permettersi di pagarlo. Tobia Righi e il filosofo Stefano Bonaga, altro grande amico di Dalla, sono i due personaggi che dialogando – seduti davanti a un piatto di tagliatelle – rievocano pregi e difetti del grande Lucio, arrivando un passo alla volta a metterne a nudo il talento geniale e l’anima anarco-individualista.

Accanto alle testimonianze “parlate” degli amici di una vita, scorrono sul video i filmati d’archivio, per lo più della Rai: la massa di materiale era gigantesca e Marcello è stato abilissimo nella selezione e nel montaggio. Si alternano apparizioni del cantante in tv, a immagini della vita quotidiana nell’Italia del dopoguerra (quando Dalla viene al mondo, a Bologna, il 4 marzo 1943). A partire dalle rovine della Seconda Guerra Mondiale si mostra il distaccarsi del paese dalle radici contadine per approdare alla civiltà delle fabbriche, del consumismo e della produzione di massa nell’industria automobilistica. Il tutto accompagnato dal sonoro di alcune delle sue canzoni, scelte con cura e non necessariamente le più famose.

Tra le sequenze più curiose e significative che Marcello ha riscoperto e proposto nel suo film vi è quella di uno Zecchino d’oro nel quale a un certo punto tra i bambini dell’Antoniano, davanti a un esterrefatto mago Zurlì, si appalesa Lucio Dalla come un folletto barbuto, in compagnia della madre che si lamenta della barba e dei capelli troppo lunghi. In un’altra scena si vede Lucio discutere di politica internazionale, e in particolare di euro-missili con Bettino Craxi e Alberto Arbasino.

Lucio Dalla era stato da ragazzo un provetto clarinettista con solide basi musicali. Non era per nulla conforme all’immagine del cantante bello e affascinante tipico della sua generazione, ma riuscì lo stesso ad affermarsi e a divenire una sorta di contro-modello, simbolo di un artista più vicino alla gente comune. Tra gli aspetti più importanti della sua vita e della produzione artistica, che il film mette in giusta evidenza, c’è il legame viscerale con la sua Bologna (basti citare la canzone Piazza Grande), da cui non sapeva separarsi se non per pochi giorni, e il sodalizio intellettuale col poeta Roberto Roversi, del quel Dalla seppe tradurre in musica alcune poesie e che è stato a sua volta l’autore dei testi di alcune delle più belle canzoni di Dalla.

Dopo i successi ottenuti con il film La bocca del lupo, premiato a Torino e alla Berlinale nel 2017 (Teddy Award e Caligari Film Prize) e con Martin Eden (presentato nel 2019 alla Mostra del Cinema di Venezia), Pietro Marcello ha consegnato al Festival di Berlino un dono magnifico e inaspettato per qualità e intensità: Per Lucio non è solo l’omaggio partecipato a un cantante eccezionale, ma anche e direi soprattutto una magistrale rievocazione degli ambienti e delle persone che hanno segnato la vita di Lucio Dalla nonché il racconto delle trasformazioni sociali e culturali che l’Italia ha attraversato dal dopoguerra a oggi.

Berlino è «un po’ triste e molto grande», cantava Lucio Dalla in una delle sue canzoni più famose. Ma vedendo il film e ascoltando le sue briose melodie, un po’ di tristezza è senz’altro evaporata via. Evviva Lucio Dalla!

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