FRANCOFORTE – Presso l’Archäologisches Museum una mostra dedicata agli Etruschi dal 14 ottobre al 4 febbraio 2018

Immedesimarsi negli antichi romani ci riesce facile, come dimostrano tanti gruppi in costume più o meno archeologicamente corretto. Con gli etruschi invece, ci riesce difficile immaginare quali pensieri si celino dietro le enigmatiche espressioni dei loro volti. Un’aura di mistero aleggia attorno a questo popolo scomparso duemila anni fa, e si alimenta anche dell’atmosfera altamente suggestiva che regna nei loro siti archeologici.

Il più accessibile è la necropoli di Cerveteri, una distesa di tumuli scolpiti nella roccia e sparsi su di una collina appena fuori città. Un silenzio arcano è sospeso sulle strade e stradine che percorrono questa “città dei morti”. Per raggiungere la necropoli di Blera è invece necessario scendere a piedi in fondo a un burrone, lungo un’antica strada intagliata dentro il tufo dal lavoro degli schiavi: le famose “tagliate etrusche”. La necropoli di San Giuliano bisogna cercarla dentro un fitto bosco scosceso e impenetrabile nei cui anfratti si nascondono gli ingressi delle tombe. L’unico accesso alle rovine di Vejo, nei sobborghi di Roma, è costituito da una stradina sull’orlo d’una forra ripida e buia, entro cui precipita una cascata con tanto di ponticello sospeso. In quest’orrido pittoresco si danno convegno gruppi di occultisti per celebrare la “notte delle streghe” il 23 giugno, e durante una di queste, nel 1986, è avvenuto un “omicidio rituale” su cui i carabinieri non son riusciti a far luce. Diverse persone che abitano dentro il parco di Vejo sostengono di udire nel cuore della notte rumori e vocii sotterranei, che poi si è scoperto provenire dai tombaroli in azione.

Sull’origine degli Etruschi si è discusso a lungo. A tutt’oggi non si è riusciti a stabilire un raffronto certo con altri popoli noti. Sono venuti dall’Anatolia, come sosteneva Erodoto, o dalle Alpi Retiche come ha scritto Tito Livio? O magari dai dischi volanti, come insinuano gli esoterici? A parte quest’ultima ipotesi, oggi si tende a pensare che gli Etruschi fossero un popolo autoctono, formatosi sul posto eventualmente con diversi contributi etnici. Il che vuol dire che essi rappresentano la prima civiltà storica italiana di grado elevato.

Nella civiltà etrusca sono evidenti gli influssi di molte altre culture, prima fra tutte quella greca. Come ha fatto notare il dott. Fabrizio Burchianti, direttore del Museo Guarnacci di Volterra, gli etruschi non si lasciavano influenzare passivamente, ma rielaboravano tutto a modo proprio. E ciò risalta proprio nella loro mitologia. Per esempio, il loro Dio principale si chiamava Tinia ed era il signore della folgore; ma a differenza dello Zeus greco, non regnava solo sul cielo ma pure sugli inferi. E fra gli spiriti infernali avevano Charun, che corrisponde a Caronte, ma anche delle creazioni originali come Vanth e Tuchulca, che non hanno alcun riscontro nella mitologia greca. Il loro simbolo della morte era la porta cieca, tramandatosi fino al III canto dell’Inferno di Dante. I loro templi avevano solo una facciata anteriore, mentre quelli greci erano perfettamente simmetrici; e questo loro modello è stato ripreso paro paro nei templi romani. Gli aruspici etruschi che padroneggiavano l’arte di interpretare i segni divini dal fegato degli animali sacrificati, dal volo degli uccelli o dalle folgori, erano riconosciuti anche a Roma. Ed anche gli autori latini più patriottici, come Tito Livio, riconoscono fra le righe che senza l’aiuto degli etruschi Roma non sarebbe riuscita a decollare.

Mentre a Francoforte impazzava la Fiera del Libro, si è inaugurata presso l’Archäologisches Museum una bellissima esposizione dedicata agli déi degli etruschi che si protrarrà fino al 4 febbraio Con pezzi rari e pregevoli da Volterra, Chiusi e Populonia che testimoniano l’originalità di quel popolo nei confronti delle altre culture mediterranee. L’organizzazione è andata avanti con molta rapidità ed efficienza (solo un anno di preparazione mentre di regola ne occorrono due) grazie all’assistenza del Consolato Generale di Francoforte che ne ha assunto il patrocinio. Durante la conferenza stampa il direttore del museo, dr. Carsten Wenzel ha ringraziato il dr. Michele Santoriello del Consolato Italiano senza il quale non sarebbe stato possibile il prodigio. Erano presenti anche la curatrice del museo, dr. Natasha Bagherpour- Kashani e da parte italiana il dr. Alex Susanna di Expona (Bolzano) ed Eugenio Martera della Contemporanea Progetti di Firenze.

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