Nella foto: L’Orchestra Santa Cecilia con il maestro Antonio Pappano durante l’esibizione. Foto di © Salar Baygan.

FRANCOFORTE – L’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia in tournée in Europa

L’Orchestra Nazionale di Santa Cecilia, fondata a Roma nel 1908, è stata la prima orchestra in Italia specializzata nel repertorio sinfonico ed attualmente la più importante. Buone orchestre ce ne sono altre, alla Scala di Milano o alla Fenice di Venezia, ma sono operistiche, specializzate per accompagnare i cantanti in teatro. La sua prima sala di concerti a Roma fu l’Augusteo, un edificio circolare fra Via del Corso e il Tevere, che Mussolini fece demolire per mettere in luce le rovine del mausoleo di Augusto. Per i decenni successivi i concerti di Santa Cecilia proseguirono „provvisoriamente“ a Via della Conciliazione, in una sala di proprietà del Vaticano che era stata creata per delle conferenze, e che non aveva un’acustica ottimale. Finalmemte, con il grande complesso di Renzo Piano, Roma ottenne una sala da concerti degna di una grande capitale. Una data di rilievo è il 2005, quando il maestro italo-inglese sir Antonio Pappano assunse la guida dell’orchestra che ha mantenuto fino ad oggi. Nel corso di questi lunghi anni il livello artistico dell’Orchestra di Santa Cecilia si è così ulteriormente innalzato, fino a poter esser considerata alla pari con le migliori orchestre del mondo. In questo perodo, sempre sotto la guida del maestro Pappano, ha intrapreso una tournée in Europa toccando, fra l’altro, Monaco di Baviera, Francoforte, Amburgo, Bruxelles.

A presenziare al concerto tenuto nell’Alte Oper di Francoforte c’era l’ambasciatore Armando Varricchio arrivato apposta da Berlino, oltre che il coinsole generale Andrea Samà. Il programma conteneva pezzi sinfonici molto interessanti, anche se nessuno dei quali d’un compositore italiano. Ottima la scelta del pezzo iniziale, fatta in barba ai venti di guerra che raggelano anche le istituzioni concertistiche: Sergej Prokofjev è un esempio perfetto di quella grande cultura russa aperta verso l’occidente, da cui assorbe tutto ciò che gli aggrada senza perdere per nulla il suo carattere nazionale. Prokofjev visse per un decennio a Parigi, proprio negli stessi anni cruciali in cui Ravel, Honegger, Stravinski vi davano grandi prove della loro creatività, tornò poi in patria dove si godette venti anni di dittatura stalinista riuscendo a barcamenarsi componendo pure le colonne sonore per i film di Eisenstein, e morì lo stesso giorno di Stalin. La sua prima sinfonia, soprannominata giustamente „classica“ perché si rifà esplicitamente, ma mai pedissequamente, al modello delle sinfonie di Haydn, irradia invece una freschezza sorridente e un impeto trascinante che ne fanno una beniamina dei programmi concertistici. L’interpretazione datane da Pappano è stata molto dinamica, ma nello stesso tempo sottilmente differenziata, in modo da rendere evidente l’abilità dell’orchestra nel fraseggio.

Maurice Ravel, universalmente noto come l’autore del „Bolero“, è in realtà uno dei massimi compositori del secolo scorso. Finissimo virtuoso del piano, è stato pure uno dei più grandi maestri dell’orchestrazione, ed entrambi questi suoi talenti eccellono nel geniale concerto per pianoforte in sol maggiore. Già dalle prime battute del primo tempo (denominato „allegramente“ anzichè „allegro“) nella sovrapposizione fra le cristalline terzine del pianoforte con gli squilli dell’ottavino si gode della sottigliezza dei suoi impasti timbrici che riescono però ad includere anche esplicite citazioni dal jazz con le loro bizzarre armonie e il ritmo selvaggio. Nel 1928 Ravel aveva fatto una tournée negli Stati Uniti come pianista e direttore d’orchestra ed aveva avuto un contatto proficuo con la cultura locale. Detto per inciso, quando Ravel venne in tournée a Roma come pianista, il bambino che gli girava le pagine dello spartito era il futuro musicologo e membro dell’Accademia di Santa Cecilia Fedele D’Amico. Il centro del concerto è però il meraviglioso adagio classicheggiante con richiami mozartiani che fanno da lontano contraltare al classicismo della sinfonia di Prokofjev. Qui non abbiamo parole per lodare la bravura del pianista coreano Seong-Jin Cho, che ha solo 28 anni, ed è bello pensare che per i decenni futuri la grande tradizione della musica occidentale sarà affidata in mani come le sue.

Se i primi due pezzi del programma sono stati messi insieme con evidente arguzia musicologica, più difficile da capire è la scelta della quinta sinfonia di Sibelius come conclusione. Grande patrono musicale della Finlandia, Sibelius è molto popolare soprattutto nei paesi anglofoni per via dei suoi poemi sinfonici ispirati alla mitologia finnica. Ma la sua musica non è classicheggiante né neoclassica, né tantomeno jazzofila, è semplicemente tradizionalista tardo-tardoromantica. E non ha nulla a che vedere con le correnti musicali parigine. Di lui ci restano sette sinfonie in tutto, dato che la sua ottava non riuscì a completarla e ne bruciò il manoscritto; dopodiché si sentì risollevato e non compose più nulla per tutti i 25 anni successivi della sua vita.

Il primo tempo, che ne costituisce il piatto forte, si apre con un concertino di corni evocante un’atmosfera pittoresca e romanticheggiante, a cui segue uno sviluppo lussurreggiante di sonorità epiche degno dei suoi migliori poemi sinfonici, come ad es. „La figlia di Pohjola“. Segue un „Andante mosso, quasi allegretto“ un tema con variazioni più trasparente e disteso. L’“Allegro molto“ dell’ultimo tempo, dopo aver percorso vari episodi in diverse sezioni orchestrali, va ad incanalarsi in un crescendo finale in cui l’enorme batteria degli ottoni inghiotte, lenta e inesorabile come un anaconda, il resto dell’orchestra, per arrestarsi bruscamente davanti a una secca cadenza finale che avrebbe fatto inorridire Mahler – se non fosse morto quattro anni prima. È infatti noto che il compositore del „Canto della Terra“ e quello del „Valzer Triste“ non si stimassero reciprocamente. Al termine ci sentiamo risollevati anche noi, grazie a Pappano che è riuscito a darci anche stavolta un’esecuzione accuratamente elaborata in ogni episodio e perfettamente bilanciata nel suo complesso. Il maestro e la sua orchestra hanno compiuto il miracolo di far apparire la sinfonia di Sibelius perfino bella. Rivolto al pubblico che lo applaudiva freneticamente, il maestro ha poi voluto esprimere a tutti la sua predilezione per la tonalità di mi bemolle maggiore.

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