Nella foto: Tommaso Conte

Intervista a Tommaso Conte. Dall’intercomites al Cgie

Il Coordinatore dell’Intercomites Germania, Dr. Tommaso Conte da Stoccarda è stato eletto per la Germania insieme ai neo consiglieri Errico, Gurrieri, Rossi, Scigliano e Tallarico al Consiglio Generale degli Italiani all’Estero.

Occasione utile per intervistare una personalità che è stata per decenni protagonista delle rappresentanze elette degli italiani in Germania sia a livello di associazionismo sia a livello di Comites e Intercomites.

Il passaggio dall’Intercomites al Cgie implica il cambiamento degli interlocutori in tutte le materie che riguardano gli italiani all’’estero. Ha già pronta una “strategia di dialogo”?

Il Cgie è definito dalla legge come “organismo di rappresentanza delle comunità italiane all’estero presso tutti gli organismi che pongono in essere politiche che interessano le comunità all’estero”. E qui il baricentro è chiaro: si parla di “Politiche che interessano gli italiani all’estero”. Di conseguenza, il dialogo si sposta su un piano prettamente politico. Sinora abbiamo discusso delle nostre comunità con consolati e Ambasciata, i quali spesso e volentieri hanno fatto presente che le decisioni sono prese dal “Superiore Ministero”. Bene, ora andiamo a parlare proprio con il Ministro competente che, a sua volta, è parte del Governo Italiano.

E cosa direte?

Per quel che mi riguarda, farò tutto il possibile per attirare innanzitutto l’attenzione dei responsabili politici sulle preoccupanti distorsioni della realtà sugli italiani all’estero, da cui scaturiscono non pochi disagi. Mi spiego meglio: assistiamo per esempio alla progressiva negazione dell’esistenza di “un’emigrazione” italiana. La parola “emigrazione” è in sostanza sparita dal vocabolario italiano, cioè dalla lingua di tutti i giorni, ad eccezione di situazioni che riguardano profughi e extracomunitari in generale. Sembra sparita la coscienza del fatto che al primo gennaio 2021, tendenza in aumento, con 5.652.080 unità, quasi il 10% dei cittadini italiani aveva stabilito la propria residenza all’estero. Buona parte di questi quasi sei milioni d’italiani è stata motivata a lasciare il Paese da una situazione di bisogno. E nella situazione di bisogno rientrano anche i giovani accademici, i ricercatori scientifici, i connazionali con una formazione di alto livello che non hanno trovato in Italia una sistemazione adeguata ai loro studi. Attenzione, quando parliamo degli italiani all’estero, parliamo del 10% della popolazione italiana, una massa imponente di persone che merita tutto il rispetto, l’attenzione e la sensibilità della nostra dirigenza politica. E sarà necessario chiedere quest’attenzione con fermezza poiché a noi, rappresentanti eletti dalle comunità italiane all’estero, le storie che ci vengono riferite sulla sensibilità degli organi statali verso i cittadini all’estero fanno accapponare la pelle.

Per esempio?

Cominciamo con i particolari “riguardi” verso chi si stabilisce all’estero e s’iscrive all’Aire come prescritto dalla legge. Il primo effetto è la cancellazione dal Sistema sanitario italiano. Subito dopo capita, a chi è proprietario di un immobile come prima casa, di vedersi arrivare la bolletta dell’IMU che prima, come residente in Italia, non pagava. Chi è iscritto all’Aire perde addirittura subito il diritto di ottenere una carta d’identità dal proprio comune in Italia. Non parliamo poi di una serie di difficoltà nel rapporto con i propri comuni come il pagamento delle imposte sullo smaltimento dei rifiuti, le difficoltà a pagare dall’estero i canoni per le utenze legate alla propria abitazione che, comunemente, resta disabitata e usata solo per le vacanze. Insomma, ci troviamo di fronte a una serie di misure paradossali che lo Stato applica verso quei cittadini, nei cui confronti proprio lo Stato è manchevole, avendo già negato un’opportunità di lavoro dignitosa, una possibilità di completare la propria formazione accademica, una possibilità di realizzare il coronamento di anni di studio. Dalle parti mie si direbbe “Cornuti e mazziati”.

Sì, ma lo Stato si occupa poi dei propri cittadini all’estero per il tramite dei consolati.

Tramite i consolati? Qui si apre un’altra pagina dolente e assicuro tutti quelli che mi hanno eletto al Cgie, insieme con gli altri cinque miei colleghi consiglieri assegnati alla Germania, che non daremo tregua sull’argomento “consolato e servizio consolare”. Si consideri che un cittadino italiano residente all’estero già riduca al minimo le proprie richieste legate alla sua cittadinanza nei confronti dello Stato italiano. Non chiede più un posto a scuola per i propri figli, non chiede più l’assistenza medico sanitaria, non ha diritto al “Reddito di cittadinanza” non consuma più beni comuni come l’acqua, non fruisce più di spazi pubblici comunali e via dicendo. Insomma, chi vive all’estero non è presente e non dà fastidio. L’unica cosa che il cittadino italiano all’estero è obbligato a chiedere allo Stato, per il tramite dei consolati, è un documento di viaggio e d’identità. Attenzione! Anche in questo caso nessuno ci regala niente. Noi, all’estero, i servizi consolari li paghiamo! Un passaporto ci costa 116 Euro, una Carta d’identità 21,95 Euro, un’autentica di firma o un qualsiasi certificato può essere sottoposto a pagamento. Nessuno ci fa l’elemosina eppure, spesso, la sensazione che percepisce l’utente è invece quella di ricevere una cortesia, un piacere, un’elemosina a condizioni dettate dall’alto. Ma vi pare giusto che i consolati obblighino coloro che chiedono un servizio, per altro profumatamente pagato, a usare un solo canale per accedervi e cioè la prenotazione via Internet? È una vera e propria imposizione! O ti registri tramite il Prenota Online o niente accesso al consolato? Quindi non solo paghi per un servizio che lo Stato è obbligato a rendere, ma lo devi fare alle condizioni che ti sono imposte! Abbiamo stimato che oltre il 25% dei connazionali ultrasessantacinquenni non ha dimestichezza con l’internet ed è di fatto e brutalmente tagliato fuori dall’accesso ai servizi consolari.

È risaputo che i disagi sono molti ma i consoli si giustificano perché non hanno personale.

Ed è vero. Ma siamo sicuri che sia altrettanto vero che le scarse risorse di personale a disposizione dei connazionali non sono utilizzate al meglio. A questo punto, e anche questo sarà detto per il tramite del Cgie, è addirittura necessaria una nuova definizione, una nuova considerazione proprio di quello che è e di quello che dovrebbe essere un consolato in particolar modo in Europa, nell’area Schengen. Dobbiamo smettere di vedere i consolati come “postazioni diplomatiche in territorio straniero”. Lancio una provocazione, chiedendo ufficialmente e sin da ora ai consoli in Germania di elencarci il numero delle “missioni diplomatiche”, degne di questa definizione, assolte negli ultimi anni di attività. Sono certo che gli interventi consolari si limitano a poche presenze di pura rappresentanza di cortesia in eventi ufficiali. Il vero baricentro delle attività consolari si trova invece nell’erogazione dei servizi ai connazionali. Di conseguenza, tutte le risorse di personale, proprio perché scarse, dovrebbero essere concentrate su quest’attività. La cosiddetta promozione culturale, per esempio, non appare necessaria e vitale dentro i consolati. Dovrebbe essere sufficiente che se ne occupino gli Istituti Italiani di Cultura. Nel frattempo, invece, vediamo consolati che si permettono il lusso di mantenere in vita uffici culturali, uffici stampa, segreterie consolari con significativo impiego di personale e un’amministrazione/contabilità farraginosa in cui è assorbita energia come se si trattassero di una grande azienda con centinaia di operai. È tutto da rivedere e solo così, insieme con l’assunzione di nuovo personale, potremmo tornare alla realtà degli anni novanta, quando ti recavi al tuo consolato senza appuntamento e dopo circa un’ora, due ore di attesa, te ne andavi a casa con il nuovo passaporto. Passaporto per altro che all’epoca era gratuito per gli “emigrati”.

Ma non fa certamente piacere a nessuno sentirsi dire “emigrato”

È forse vero. Ma è anche vero che fino agli anni novanta avevamo un Ministro per gli Italiani all’estero, è anche vero che l’emigrazione non è un fenomeno dei secoli scorsi ed è altrettanto vero che dovremmo tutti noi insieme prendere coscienza che il termine “emigrato” è sinonimo di coraggio, di onestà, di tenacia, perché chi va all’estero per migliorare la propria vita e quella dei propri cari solo questo è e può essere: tenace, coraggioso e onesto.

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