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In questo numero del Corriere d’Italia vorrei parlarvi di un’esperienza professionale che mi riguarda personalmente. Da circa un anno a questa parte, insegno alcune materie in un Campus privato di Heidelberg. In particolare, lavoro in due scuole interne al Campus. Alcune ore le trascorro in uno dei licei, insegnando Etica a due quinte, mentre per il resto delle ore insegno pedagogia della religione e filosofia per bambini nella scuola di formazione per educatrici e educatori. In questo contesto, vorrei soffermarmi soprattutto sull’ultima materia, la quale rappresenta a mio avviso una delle più grosse sfide dei prossimi anni in campo scolastico. Cosa intendo con tutto ciò? Per rispondere a questa domanda è necessario che spieghi anzitutto di cosa trattiamo, quando parliamo di filosofia per bambini.

Il fenomeno in se stesso, cioè la pratica del filosofare, è, come tutti sappiamo molto antico. In territorio europeo, i primi a praticare l’arte del pensare, sono stati i greci circa 600 anni prima dell’avvento del cristianesimo. Ciò che caratterizzava questo nuovo atteggiamento interiore ai tempi dei cosiddetti presocratici, era la volontà di trovare un senso alla struttura delle cose – dell’essente, diremmo oggi – senza un ricorso previo ad un essere sovrannaturale – prerogativa questa generalmente riconosciuta alle religioni. Col passare dei secoli, la filosofia sposterà il suo interesse dall’ambito cosmologico a quello più propriamente etico, cercando di indagare e formulare quei principi generali che regolano il comportamento umano in società – le condizioni di possibilità del poter vivere in comune con altri esseri umani -, per poi interessarsi di politica, d’arte, di fisica, di religione, di conoscenza e di tutto ciò che rappresenta lo scibile in quanto tale.

Il carattere fondamentale della filosofia greca era la capacità di muoversi tra le cose con l’occhio curioso di chi esplora ogni giorno la realtà per la prima volta. Ogni epoca successiva a quella degli albori della filosofia in Grecia conosce questo carattere. È lo stesso carattere che ritroveremo nei pensatori medievali, più impegnati a sistematizzare i contenuti delle tradizioni ebraica, cristiana e islamica. Ma è anche lo stesso carattere che ritroveremo secoli dopo nella tradizione rinascimentale, con la sua voglia irrefrenabile di lasciarsi alle spalle il fardello teologico e riscoprire il mondo con la curiosità tipica dello scienziato alle prese con il suo nuovo giocattolo: il metodo sperimentale. Il discorso potrebbe andare avanti sino ai giorni nostri, passando per la riforma di Martin Luther e l’invenzione della carta stampata, sino alla scoperta del continente americano con tutto ciò che questo comporterà nel quadro dell’assetto geopolitico ed economico mondiale.

Il filosofare è sempre stato presente nella nostra cultura e – attraverso linguaggi differenti – anche in culture extraeuropee. È qualcosa che ci caratterizza come specie. Ma sappiamo anche che è qualcosa che va coltivato e preservato da quelle che considererei perversioni del pensare. Oggi, attraverso la diffusione dei social media e dell’informazione interattiva su scala globale, il sapere si mescola alla menzogna molto più velocemente e in maniera molto più accattivante che in passato. I pensatori del 900 avevano predetto quali conseguenze l’invasione massiccia della tecnica avrebbe avuto sulla storia dell’uomo nel suo futuro prossimo. Quello che non potevano di certo sapere è ciò che avrebbero fatto la rete e quella che oggi definiamo l’intelligenza artificiale. Sono orizzonti del tutto nuovi che richiedono una mente addestrata a gestire il tutto per non venirne fagocitati.

La materia filosofia per bambini, che ha mosso i suoi primi passi negli Stati Uniti e che si sta diffondendo anche in altri paesi, sta trovando terreno fertile anche in Germania. L’idea di fondo è quella di educare i bambini in età sia prescolastica che scolastica ad utilizzare il proprio pensiero come uno strumento. Si tratta di far rivivere lo spirito dei dialoghi platonici, in cui regnava un’atmosfera sia di accettazione reciproca e di ascolto che di curiosità intellettuale e atteggiamento critico. Gli addetti ai lavori, gli insegnanti e gli educatori, intraprendono un percorso in cui essi stessi si interrogano sui principi che regolano la realtà, imparando a non prendere più nulla per scontato e ad analizzare concetti apparentemente ovvi nella propria sostanza come se di colpo quel senso di ovvietà scomparisse, come se si dovesse esercitare in continuazione quello strumento tanto caro a Descartes, il dubbio. Attraverso un transfer che considera il livello di sviluppo dei bambini con i quali si lavora – e qui entrano in gioco i vari Piaget, Erikson, Kohlberg e via dicendo -, gli stessi problemi e lo stesso atteggiamento critico vengono esercitati in asili e scuole, stando attenti alle problematiche che agitano il cuore dei bambini stessi. Chi pone le domande, chi dà forma al discorso, chi si dà delle risposte per poi rimetterle in discussione, sono i bambini. L’educatore e l’educatrice, l’insegnante, assumono il ruolo di compagni di viaggio, i quali tutt’al più avranno il compito di portare movimento alla discussione, attraverso l’utilizzo della domanda che ha, in questo caso, la funzione di perturbare le certezze acquisite. In questo contesto non è pensabile approfondire eccessivamente il discorso, ma, per fare un esempio, si pensi a domande relative all’orizzonte esperienziale dei bambini – l’amicizia, l’identità, la vita dopo la morte (tema frequentissimo tra loro, quando quest’esperienza fortissima si affaccia nel loro mondo, ecc. – e alle risposte possibili. In un contesto filosofico, si tratterebbe di mettere insieme le possibili risposte e scoprire improvvisamente che non tutti la pensano allo stesso modo. Scoprire nuove prospettive, mettere in gioco le proprie convinzioni, capire che è possibile una pluralità di visioni pur all’interno della medesima cultura, accettazione del punto di vista altrui, sono tutte esperienze che permettono al bambino di crescere nella propria percezione di se stesso, ma anche nel suo rapporto con gli altri e con il mondo che lo circonda, il tutto senza dare nulla per scontato.

Una generazione che si abitua ad esercitare il dubbio e il pensare critico è una generazione che non si accontenterà più di evidenze superficiali. L’impatto dell’esercizio del filosofare sui bambini è enorme a tutti i livelli e li forma ad essere futuri individui liberi da preconcetti e da facili conclusioni. Nel cuore di una realtà, in cui talvolta è sufficiente lo sciamano di turno a convincere masse intere di questa o quell’altra pseudo-verità, solo un futuro fatto di pensiero critico può salvarci da un declino culturale – al momento – fin troppo evidente.

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