Nel recente passato il Festival del cinema di Berlino non ha mostrato molta simpatia per i film prodotti nel Belpaese. Poche, anzi pochissime, le pellicole italiane selezionate per il concorso, e quelle poche regolarmente bistrattate e stroncate dai critici tedeschi ben al di là dei loro demeriti. E quest’anno, per la seconda volta consecutiva, il direttore Dieter Kosslick ha pensato bene di non includere neppure un titolo della nostra cinematografia nella sezione più prestigiosa del Festival, quella denominata “Wettbewerb”, in cui si gareggia per vincere l’ambita statuetta dell’Orso d’oro.

Ciò nonostante due film nostrani sono stati presentati in sezioni minori della Berlinale e hanno riscosso moltissimi applausi dal pubblico e perfino qualche apprezzamento dalla stampa locale. Si tratta di Mine vaganti di Ferzan Opzetek, regista di origini turche ma da anni naturalizzato in Italia, e di Cosa voglio di più di Silvio Soldini. Özpetek e Soldini non sono più giovani promesse; hanno superato i cinquant’anni e possono essere annoverati tra i rappresentanti maturi della cinematografia italiana. Con questi ultimi film si confermano quali degni eredi di quel filone denominato “commedia all’italiana” che in altre stagioni ha fatto grande il nostro cinema raccontando la famiglia, la vita quotidiana e la società d’Italia con un sapiente dosaggio di umorismo e malinconia, intrattenimento e critica sociale, evasione e impegno.

Mine vaganti, prodotto da Rai Cinema e Fandango, è ambientato nella Puglia di oggi e mette al centro una famiglia benestante del leccese, proprietaria di un avviato pastificio.  La trama inizia col ritorno da Roma del figlio minore Tommaso (Riccardo Scamarcio): tutti in famiglia da papà Vincenzo (Ennio Fantastichini) a mamma Stefania (Lunetta Savino), passando per zie e sorelle, vorrebbero che Tommaso affiancasse il fratello maggiore Antonio (Alessandro Preziosi) nella nuova gestione del pastificio di famiglia. Ma quando Antonio rivela pubblicamente di essere gay, per il padre è una catastrofe totale, da cui non riesce più a riprendersi. E chissà cosa gli accadrebbe se sapesse che ad essere gay non è solo Antonio, ma anche Tommaso. A partire da questo spunto iniziale si innesta tutta una catena di eventi a sorpresa e colpi di scena.  «Nel film ci sono anche elementi autobiografici », ha commentato Özpetek che da omosessuale dichiarato inserisce in quasi tutte le sue pellicole riferimenti alla tematica. «Per un padre come quello interpretato da Ennio Fantastichini il figlio è come un suo prolungamento.  Vincenzo è un tradizionalista, un uomo che non vuole vedere. Anche con mio padre è andata cosi: non abbiamo mai parlato apertamente della mia sessualità, ci sono delle cose di cui non si deve parlare».  

La scelta di ambientare la vicenda in Puglia non è stata casuale. Secondo il regista infatti «il Sud d’Italia su questi temi sembra essere più aperto del Nord. A Lecce ti accettano, non hanno paura del “diverso”. E comunque non sono cose che si conquistano in un giorno. Si può essere molto aperti a livello teorico, ma chiudersi quando le cose ti toccano personalmente.  In altre parole, molti sinceri democratici non tollerano di avere un figlio frocio.  Magari perché si preoccupano del suo futuro, una preoccupazione per altro legittima».  Il lungometraggio di Silvio Soldini, intitolato Cosa voglio di più, ha come protagonisti Alba Rohrwacher nel ruolo di Anna, una donna che ha tutto ciò che è necessario per essere felici, un impiego sicuro, è vitale e affettuosa, ha tanti amici e un compagno di vita, Alessio, che la ama molto e col quale ha deciso di avere un bambino. Ma ad un certo punto, quasi senza accorgersene, viene presa da una passione travolgente per Domenico (Pierfrancesco Favino), un uomo sposato con due figli piccoli.

La vicenda si snoda nella piatta routine della periferia milanese e scandisce la storia d’amore Anna e Domenico, un amore consumato in alberghi a ore o in posti improvvisati, che rischia di compromettere la serenità delle rispettive famiglie. Il tutto raccontato con intensità e distacco, quasi con uno sguardo documentaristico.  «Dopo il successo di “Giorni e nuvole”, in cui racconto il dramma della disoccupazione, ho pensato che era giusto continuare con un cinema “rubato” dalla vita, immediato, non troppo costruito» ha spiegato il regista, che racconta di essersi ispirato ad una vicenda simile accaduta realmente ad un’amica.
Quanto alle scene di sesso, da qualche critico giudicate eccessive, Soldini ha precisato i suoi intenti sperimentali: «Mi piace che ogni film mi proponga una sfida diversa. Stavolta ho sentito di aver raggiunto la serenità per raccontare la sessualità, non con sguardo voyeuristico, ma con naturalezza e con la volontà di descrivere l’intimità tra due persone e il modo con cui gradualmente cambia».