Un lettore mi telefona e mi chiede cosa penso di Beppe Grillo. Rispondo volentieri e per iscritto.  Si tratta di una opinione personale, che vale come quella di qualsiasi altro, anzi, forse anche meno, visto che approfitto del mio ruolo nel giornale per occupare spazi che potrebbero essere lasciati ad altri. Premesso questo questo, dicevo, rispondo. Penso che, nell’arco di un tempo ragionevole, Grillo farà la fine di tutti coloro che ritengono di poter controllare tutti e di non dover essere controllati da nessuno. Farà la fine che fu di Masaniello, di Mussolini, di Bossi, e tra breve di Berlusconi.
Questo, nel momento del suo maggiore successo, non è ancora visibile. Le istanze che porta a proposito della pulizia della classe politica e della moralità pubblica sono infatti giuste, anzi, giustissime. Così come erano giuste le istanze di Masaniello a proposito delle condizioni del popolo napoletano sotto i Borboni; così come erano comprensibili le istanze del primo Mussolini (fino al delitto Matteotti) per quello che riguardava il mantenimento dell’unità nazionale nella disgregazione dopo la fine della Prima guerra mondiale (non dimentichiamo che Mussolini fu appoggiato all’inizio da intellettuali come Pirandello e da giornalisti come Albertini, direttore del Corriere della Sera). Erano comprensibili all’inizio le istanze di Bossi per una maggiore autonomia locale e contro il finanziamento pubblico della mafia attraverso gli appalti statali al sud. Erano comprensibili all’inizio le istanze di Berlusconi in favore della piccola e media azienda, soffocata dal malgoverno, dalla burocrazia e dalla corruzione.  Succede però che, ad un certo punto, questi personaggi si sostituiscono all’idea e all’istanza, che può venire letta soltanto attraverso la loro persona. Loro sono l’idea. Loro sono al di sopra di tutto. Loro sono gli intoccabili. Gli altri eseguono, interpretano, fanno ipotesi su quello che loro pensano, ma loro sono il riferimento, loro sono vicini a Dio. Gli altri possono soltanto interrogarsi sulla loro natura, ma loro sono la Natura.
Ora, tutti questi personaggi vengono alla luce quando la politica mostra la sua incapacità di risolvere i problemi della gente. In più, per tornare al nostro caso specifico, la politica della cosiddetta Seconda repubblica ha mostrato abbondantemente la sua faccia più disgustosa, inefficiente, arrogante, indifferente ai problemi del Paese. Quindi, in questo senso, dicevo, Grillo ha assolutamente ragione a mettere la politica in berlina.
Per quello che poi riguarda nello specifico il Pd, aggiungo che la sua sconfitta, vista con il senno del poi, è molto ben spiegabile. Un programma elettorale troppo indulgente, un desiderio neppure troppo nascosto di difendere il ruolo degli apparati, l’incuranza per le esigenze e le aspettative del ceto medio,  l’incapacità di fare alleanze. Ne dico soltanto alcuni, ma potrei con molta maggiore efficacia affondare il coltello nelle carni del Pd fino a farlo saltare dal dolore. Mi fa ridere, per esempio, la sua ostentazione nell’essere il primo tra i morti. Tuttavia, aggiungo anche che, quello che mi è piaciuto nel Pd di questa campagna,  è che non ci sono stati nomi personali sul simbolo, che non ci sono stati guru, che non ci sono stati capi assoluti e che anche il segretario, che ha fatto errori madornali, se ne andrà senza mettere a rischio la struttura. Mi pare questa anche la natura della democrazia rappresentativa. Le persone sono al servizio dello Stato, non è lo Stato al servizio della Persona.
Ora, Grillo, come dicevo, è il frutto della incapacità della politica di risolvere i problemi della gente (oltre che della scostumatezza della politica stessa). Una cosa simile era succesa in Germania nella repubblica di Weimer fino al 1933 e nell’Italia giolittiana fino al 1919. Quello che è accaduto dopo, lo spappiamo. Sappiamo che dietro i dittatori c’erano folle urlanti ed osannanti. E se guardo i grillini di oggi, senza nessuna identità propria che non sia quella dell’identificazione con il capo, lo ammetto, mi spavento.
In questo senso aveva torto, Peer Steinbrück, a definire Grillo un clown. È stato ingiusto anzitutto nei confronti dei clown, che fanno un mestiere rispettabile e degno, e che hanno un conto in banca che non è certo paragonabile a quello di Grillo. Il punto è un altro. Grillo rappresenta la crisi delle democrazie rappresentative, in Italia come altrove. Una crisi che c’è e non da ora.  Anche Berlusconi e Bossi, in Italia, l’avevano intercettata. Il punto è che soluzioni populistiche, mediate dalle piazze, dalle battute di spirito, dagli slogan, dagli urli della folla, mi sembrano molto, molto inquietanti.