L’audizione del Vice Ministro Marta Dassù, più che dare risposte, ha sollevato quesiti.
Le spese rimodulabili, ad esempio, secondo il Vice Ministro, sono 186 milioni, il 10 % della spesa totale del MAE. E l’ISE? Dobbiamo considerare l’indennità di sede una spesa fissa da 386 milioni di euro? Da quando le spese che non costituiscono "retribuzione", in altre parole un’indennità esentasse, sono da considerare spese fisse?
L’asserzione che la chiusura di tredici consolati sia parte di una riforma contrasta con qualsiasi visione riformatrice. Non si tratta di una riforma, poiché non se ne intravvedono né i contorni politici né quelli organizzativi. I criteri non sono stati discussi, ma decisi dal consiglio di amministrazione. Non si trattava di applicare la spending review, perché questa, a invarianza dei servizi, doveva determinare un riequilibrio che non vi è stato; la decisione della Farnesina su queste chiusure, inoltre, per ammissione della stessa Dassù, è intervenuta prima della spending review. Una revisione della spesa che nelle linee generali è stata inapplicata dal MAE ma applicata da altre amministrazioni, quali il Ministero dell’Università.
Il risparmio che dovrebbe derivare dalle chiusure, quantificato in circa 8 milioni di euro, oltre ad essere un dato impreciso, è sicuramente poco significativo. Non solo. Una parte dei risparmi andrebbe utilizzato per rafforzare le sedi riceventi, assicurando oltretutto il posto di lavoro a tutti, quindi l’unico risparmio sarebbe quello degli affitti. Ma per gli affitti la Corte dei Conti ci dice che spendiamo troppo e male: sedi costosissime che favoriscono una rappresentanza di facciata a scapito della qualità.
Le percezioni consolari, infine, che in ogni amministrazione dovrebbero misurare il grado di efficienza nell’erogazione dei servizi, dovrebbero rappresentare di conseguenza un elemento qualitativo e quantitativo nella valutazione della produttività delle strutture; invece, non sono assolutamente considerate, con la conseguenza che sedi in grado di autofinanziarsi saranno chiuse. Nel frattempo, paghiamo costi di manutenzione per sedi all’estero, di proprietà dello Stato, non utilizzate o male utilizzate o sottoutilizzate.
Una seconda questione riguarda il funzionario itinerante: le funzioni le abbiamo capite, ma con quali tempi e procedure sarà rilasciato un passaporto, dal momento che i dettagli non possono essere memorizzati? La teoria è stata per anni la maschera di Secoli. In teoria molte informazioni, procedure e modulistica dovrebbero essere disponibili on-line, un’intera generazione di burocrazia digitale. In pratica è tutt’altro. Basta prendersi la briga di navigare in rete per trovare Secoli: tre soli paesi in Europa con poco, pochissimo, e nulla più. Gli appuntamenti a sei o dodici mesi, in compenso, si riescono a prendere comodamente on-line!
I paragoni con altri paesi sono controproducenti. I tempi di attesa per ottenere un passaporto tedesco o irlandese o francese sono di gran lunga inferiori, per non parlare della carente qualità dell’informazione o dei troppi livelli di burocrazia. In compenso i nostri diplomatici e personale di ruolo, con o senza ISE, guadagnano molto più dei diplomatici di altri Paesi.
È chiaro e lampante che nonostante le audizioni, il confronto delle idee e le riflessioni, il Governo Letta non intende tornare indietro rispetto alla decisione assunta in sede amministrativa ma confermata purtroppo dalla politica di oggi.
Come spesso avviene in Italia, ad alcuni tocca la spending, rimasta inalterata alla Farnesina, anche con errori e sprechi, ad altri invece tocca unicamente la review, una review infinita ad esempio nel blocco delle assunzioni e delle retribuzioni. Anche in questo l’Italia ha due velocità e profonde ingiustizie.