“Forse sarei dovuto restare a capo della Spd”. In un’intervista alla Süddeutsche Zeitung del 23 settembre, Oskar Lafontaine mostra qualche punta di rimpianto sulle decisioni passate. Sembra mancargli l’ultimo atto per completare l’opera (che a volte è stata anche operetta) a questo politico tra i più vivaci che l’Europa del dopoguerra abbia mai visto: la ridefinizione di una nuova grande alleanza di sinistra nella Germania federale.
Sono passate le elezioni in Germania. Successo mirabile di Angela Merkel che ha portato la Cdu/Csu oltre il 41 % dei consensi. La Spd sciacquetta attorno al 25 %. I “Linke” si affermano terza forza politica in Germania con l’8,6 mentre i Verdi si fermano all’8,4%. I Liberali della Fdp perdono la testa sotto la ghigliottina del 5%. Nulla di nuovo sulla poltrona della cancelleria della Repubblica Federale di Germania e lo avevamo previsto. Angela Merkel passa facile al suo terzo mandato a Capo del governo e dimentica di far salire sul suo treno ad alta velocità un partner liberale che si è più volte azzoppato, sparandosi nei piedi con la propria doppietta.
La formazione della necessaria maggioranza è un esercizio che però la Cancelliera, con oltre il quaranta per cento dei consensi, assolve con visibile faciltà.Non mancano, però, altre novità dopo quest’ultima tornata elettorale: la sparizione dell’allegra comitiva liberale dall’arco dei partiti rappresentati al Bundestag e un fronte della sinistra parlamentare frammentato come non mai. La Spd, infatti, continua a schivare i Linke. I Linke, a loro volta, continuano a guardare ai socialdemocratici come ai compagni corrotti dal capitale.
In effetti, è la Spd a soffrire di una crisi d’identità non indifferente. Sembra quasi che la proibizione di patteggiare con i Linke, che i socialdemocratici si sono imposti quasi come un dogma, significa null’altro che la proibizione di ammettere i propri errori e la propria crisi d’identità. Oskar Lafontaine già sindaco di Saarbrücken, Governatore del Saarland, Capo della Spd, Ministro delle Finanze, candidato alla Cancelleria federale contro Helmut Kohl (che vinse le elezioni solo grazie alla caduta del muro di Berlino) e poi capo dei Linke, ora capogruppo parlamentare di questo partito al Parlamento regionale del Saarland, non è l’unico a ricordare quando i socialdemocratici usavano chiamarsi tra di loro “compagni”.
Le dimissioni di Oskar Lafontaine dalla guida della Spd significarono effettivamente l’inizio della perdita dell’orientamento di un partito che fino allora aveva tutte le carte in regola per definirsi il Partito dei lavoratori. All’epoca, paradossalmente, anche i Liberali trovavano una delle loro ragioni di essere nella politica della Spd. I Liberali, infatti, gridavano “Via lo Stato dalla gestione pubblica della vita civile” mentre i socialdemocratici affermavano “Più Stato a garanzia della libertà dei più deboli”. Ebbene, sembra che, una volta addomesticati i socialdemocratici, gli stessi liberali non hanno saputo ridefinire la ragione del proprio essere e sono, di conseguenza, spariti dal Bundestag.
Ma torniamo a Lafontaine. Con Lafontaine la Spd era ancora un partito di sinistra e quindi avrebbe potuto cercare alleanze a sinistra per contrastare la destra di Angela Merkel. Lafontaine sarebbe riuscito a patteggiare con i Linke. Ma, come stanno ora le cose, non sarebbe comunque riuscito ad avere la maggioranza dei seggi al parlamento tedesco dopo che i Verdi sono diventati sempre più il partito di una nuova emergente borghesia imprenditoriale che è lontana anni luce dall’alone di anarchia che circondava il movimento per l’ecologia all’atto della sua nascita negli anni settanta.
Le elezioni del 22 settembre hanno chiarito che la Germania è ancora ben lontana da una sinistra parlamentare pronta ad avere i numeri e la capacità di assumere responsabilità di governo. Il partito liberale non ha più ragione di essere per la mancanza di una sinistra forte. Una mancanza che rende inutile la difesa del pensiero liberale, poiché nessuno lo minaccia. I Verdi sono sempre più vicini ai partiti di centro e Oskar Lafontaine fa bene a rimpiangere l’una o l’altra sua decisione quando dice “ forse non dovevo abbandonare la guida del partito socialdemocratico”.
Il compito di ricompattare un grande partito di sinistra in Germania spetterà alla prossima generazione di politici post Merkel e post Lafontaine. Nel frattempo Angela Merkel è al potere e non la sposta nemmeno un terremoto.