Volcic, come ha vissuto il periodo della caduta del muro di Berlino? La caduta del muro ha significato la fine dell’Impero. In realtà, il movimento di liberazione era cominciato molto prima con i regimi, sotto l’influenza sovietica, che crollavano prima in Polonia, poi in Cecoslovacchia e infine, in Ungheria. La caduta del muro è stata, quindi, soltanto una questione di tempo, in qualche modo preannunciata un mese prima dal teso incontro tra Gorbaciov e Honecker, quest’ultimo ritiratosi solo qualche settimana prima del crollo della Ddr. La caduta era attesa, era nell’aria. Quella stessa sera, quella del 9 novembre 1989, Gorbaciov era a casa e non si è lasciato svegliare, il cancelliere tedesco Kohl era in visita di Stato in Polonia, il presidente americano Reagan non sapeva nulla e fu l’unico a prendersela coi suoi servizi segreti perché non gli avevano dato il minimo avvertimento. Lo stesso tenente colonnello Putin da Dresda telefonò a Mosca per avvertire Gorbaciov, ma nessuno rispose. Molto contraria alla veloce riunificazione delle “due Germanie”, almeno a parole, era, invece, la signora Thatcher. Anche se questo pensiero venne espresso soltanto in una cerchia ristretta di collaboratori. Sembrava ostile anche il presidente francese Mitterrand. Ciononostante tutta l’Europa tifava per un risultato finale che vedesse la riunificazione della Germania, ma quasi tutti erano d’accordo con il progetto social- democratico di una confederazione, come primo passo, per poi arrivare, solo in un secondo momento, alla riunificazione.
Nella sua lunga carriera, nell’Europa dell’Est, ha sempre potuto svolgere in piena libertà il proprio lavoro di corrispondente? Il mio compito era dare l’informazione nelle sue linee essenziali in modo tale, però, da lasciare completamente fuori i sentimenti personali: fatti separati dai commenti come insegnano nelle università anglosassoni. Lavorando per un mezzo pubblico come è la Rai, alla quale i cittadini pagano un abbonamento, ero tenuto a dare la notizia più un commento che però doveva essere il più possibile approfondito, il più lontano possibile dalle emotività. A me poi interessava molto lavorare in quelle zone dell’Est, parlavo bene le lingue di quei Paesi, volevo restare lì senza, però, dover sottostare ad alcun compromesso. E così feci in quegli anni.
Crede che la cosiddetta “questione meridionale” italiana sia paragonabile in qualche modo alla differenza che si è creata tra le due Germanie? No. La diversità tra Germania Est e Germania Ovest era di carattere politico, sociale, culturale ed economico. Sono due situazioni profondamente diverse che non ha senso, né possono essere paragonate, salvo per quel che riguarda l’Italia, la differenza di tenore di vita tra Nord e Sud; ma in Italia non sono mai stati in discussione i principi democratici.
Come si esprimeva ieri l’ideologia comunista prima della caduta del muro e cosa è rimastosto oggi di tale ideologia? Mi sembra che abbia dimostrato di non funzionare la pianificazione centralizzata dell’economia, e dunque non ha funzionato quello che era considerato il sistema alternativo al capitalismo. Una prima crisi c’è stata a Berlino nel ‘53, poi la seconda a Budapest nel ‘56, la terza in Cecoslovacchia nel ‘68 e ancora quella di Solidarnosc a Varsavia nell’80. Il sistema comunista veniva investito da una protesta che partiva spesso da motivi economici per arrivare nel giro di poche ore alla questione politica. Evidentemente è un sistema che non funziona.
Lei è stato anche insegnante; che importanza ha la scuola nella formazione socio-politico-culturale delle nuove generazioni? Dove e come sarebbe necessario intervenire? Potremmo parlare fino a domattina di quest’argomento. Mi sembra che in qualche modo si parli spesso oggi di una revisione del concetto di famiglia, del fatto che bisogna rivedere i tempi che una famiglia passa davanti alla Tv e che i figli passano su internet. Si parla, poi, spesso anche della necessità di cambiare il sistema scolastico, con riforme, sebbene a volte quelle già attuate non abbiano funzionato a dovere. Alla fine mi sembra sia quella della scolarizzazione la direzione giusta. Giusta, ma evidentemente perfezionabile molto. Poi ogni Paese ha i propri problemi specifici.
Per chiudere, cosa le ha portato l’esperienza vissuta tra Praga, Mosca e Bonn? Ho fatto per trent’anni il corrispondente all’estero. Oltre ai posti da Lei citati ho vissuto per tempi più brevi un po’ in America e in Cina. Credo di aver avuto la fortuna di seguire le maggiori conferenza internazionali; la conferenza PanEuropea di Helsinki, tutti gli incontri di vertice tra Gorbaciov e i suoi partner occidentali. Grazie a tutto questo ho acquisito una esperienza che un altro mestiere non mi avrebbe mai permesso di avere, pertanto dico che è un bel mestiere. Peccato solo che non ci sia spazio per tutti i giovani che vorrebbero avvicinarsi all’attività di giornalista corrispondente.