Siamo passati da una fase in cui la pastorale migratoria era sostenuta, anche psicologicamente, dai vescovi italiani, mentre quelli tedeschi vedevano le Missioni madrelingua con sospetto, come una possibile e non troppo desiderata “Chiesa parallela”.
I vescovi tedeschi sentivano il bisogno di un controllo, di sapere meglio cosa si dicesse in quelle lingue esotiche e spesso ignote e, quando c’era da tagliare sui bilanci, spesso erano proprio le Missoni madrelingua le prime e le più colpite. Ora le posizioni sono cambiate. Ora sono i vescovi tedeschi ad avere capito l’importanza della pastorale madrelingua, del fatto che senza di essa molti credenti non tedeschi si indirizzerebbero verso le sétte, nelle quali spesso sono i laici, ovviamente madrelingua, i primi attivi nella cura delle anime.
I vescovi tedeschi, improvvisamente, temono la fuoriuscita dalla Chiesa dei credenti stranieri, abituati ad un altro rapporto con il prete, visto, in Germania, talvolta più come un funzionario che come un uomo di vocazione. I vescovi tedeschi cominciano a capire che molti credenti stranieri, soprattutto della prima generazione, non riescono ad avvicinarsi a sacramenti che non siano offerti in una lingua per loro pienamente comprensibile, mentre nelle seconde e nelle terze generazioni, molti tra i “nuovi tedeschi” sono ormai fuori dalla Chiesa.
I vescovi tedeschi sono diventati, quindi, più attivi persino nella ricerca di nuovi Missionari stranieri, che darebbero maggiore vitalità a chiese in Germania sempre più vuote. Con tanto danno anche per le casse delle diocesi. Al contrario, i vescovi italiani, altrettanto improvvisamente, almeno così sembra, considerano la pastorale migratoria come “residuale” cioé in via di esaurimento, come è stato detto in più occasioni.
E ciò senza chiedersi cosa questo significhi sia per i milioni di credenti italiani sparsi per il mondo, sia per le centinaia, forse migliaia, di Missionari, i quali, con grande coraggio etico ed umano, oltre che pastorale, decisero un tempo di seguire il corso delle migrazioni, pagando sempre un grande prezzo sul piano personale. La Chiesa in Italia dà l’impressione così di allinearsi alla politica del governo che, con molta improvvisazione, ha deciso di chiudere le porte agli italiani nel mondo.
“Residuale” è una parola che potremmo benissimo udire dal sottosegretario Mantica, se costui avesse il coraggio di dire chiaramente quello che pensa, invece di fare prosopopea. Qui sta proprio la sorpresa. Che la Chiesa in Italia, così almeno sembra, si sia chiusa in una dimensione politica nazionale, rinunciando a proporre una universalità nella quale tutti si capiscono anche se parlano lingue diverse; che abbia rinunciato a proporre il modello di una universalità che si posa sul presente delle cose: questa la vera sorpresa.