“Povera gente nostra. Povera, tragica Italia. A chi li mando i miei 20 dollari? Ora come ora la gente sopravvissuta al massacro della natura ha bisogno di tutto, anche delle bacinelle dove lavare i pedalini. Ma per i generi di prima necessità c’è lo Stato. Lo Stato c’è anche e soprattutto per la ricostruzione. Il governo italiano, pur con tutte le sue eterne ombre e luci, nel momento del bisogno prova sempre a fare quadrato intorno alla sua gente. Lo fece anche il governo Berlusconi quando L’Aquila venne abbattuta dalla natura. In quella circostanza qualcuno vicino alla stanza dei bottoni venne registrato mente rideva al pensiero di quanti quattrini avrebbe fatto sulla pelle dei morti e dei sopravvissuti”. Così scrive Nicola Sparano sul “Corriere canadese”, quotidiano diretto a Toronto da Francesco Veronesi.
“Anche ora usciranno dal loro buco approfittatori e speculatori. Anche ora la gente comune si chiederà quanti di quei soldi donati andranno ai terremotati? E quanti altri finiranno altrove? Inoltre, pensateci, cosa dare a chi ha perso la casa intesa come “home” nel senso di abitazione fisica e di nucleo familiare? Cosa dare a quei poveracci che hanno perso sia il presente che il passato?
In molti, a Toronto ma anche altrove in Canada e in giro per la terra, si sono attivati per la raccolta fondi pro terremotati. È stato sempre così dai tempi del Vajont (1963), della inondazione di Firenze (1966), dei vari terremoti, a partire da quello in Irpina (1980) e lo sarà sempre fintanto che la natura matrigna si accanirà sul Bel Paese. Il legame di noi italiani del mondo nei confronti della madrepatria diventa più forte quando si giocano i mondiali di calcio e quando un disastro ambientale porta morte e distruzione nella penisola.
Dopo le catastrofi, gli italiani del Canada hanno sempre messo la mano sul cuore e nel portafogli. Hanno sempre dato senza chiedere garanzie, fino al terremoto del 1980 quando parte dei fondi non arrivarono in Irpinia presumibilmente restando nella tasche di un gruppo di persone che un compianto giornalista italocanadese definì “terremotisti” accorpando le parole terremoto e terroristi.
Dopo di allora, il cammino dei soldi raccolti è stato monitorato meglio, ma la teoria del sospetto resta viva e vegeta.

Ora l’idea andrebbe ripresa nell’alto Lazio dove per ricostruire i paesi occorrono tantissimi soldi, competenza e tecnologia. Se c’è un’ora per portare un aiuto pratico ai terremotati quell’ora è adesso.
Alcuni dei maggiori imprenditori edili di Toronto sono originari del Lazio che hanno costruito quartieri o “subdivsion” che dir si voglia, più grandi di Amatrice.
I Baldassarra ed i De Gasperis, tanto per non fare nomi, potrebbero appoggiarsi ad altri imprenditori edili di successo per fare quello che fecero i friulani nel 1976. L’idea di portare un cantiere italo-canadese nell’alto Lazio, sulla carta sarebbe come nobilizzare l’immagine di coloro che avessero l’ardire di provarci.
Ma per farlo bisognerebbe che tutti remassero dalla stessa parte. Tutti nel senso di chi sta raccogliendo donazioni, di chi ha i mezzi per trasformarli in calce e mattoni per la case e dei politici. Come a dire che proposta provocatoria di portare un cantiere canadese ad Amatrici è una idea bella ma impossibile. Per chi ha i soldi è più facile buttare un “tot” nel calderone delle raccolte e sentirsi moralmente un santo”.