Il diritto di cittadinanza da estendere ai nuovi italiani, nati in Italia da genitori stranieri o scolarizzati nel nostro Paese, è diventato argomento di feroce contesa politica parlamentare, alla quale sono seguite manifestazioni di forze e movimenti politici radicali fuori da Palazzo Madama, sede del Senato della repubblica italiana e un agguerrito dibattito nel paese

Le scene di violenza verbale e l’eccessivo accanimento politico al quale stiamo assistendo mortifica le istituzioni, rende difficile la discussione parlamentare e la convivenza civile, nuoce all’immagine dell’Italia.

Questo tema divide il paese, crea tensioni, inasprisce gli animi nei fronti due alimentando anche aspettative e disincanto. Semplicemente, è lo specchio delle vicissitudini italiane e delle resistenze a qualsiasi forma di cambiamento e di riforma del nostro ordinamento, che tutti sollecitano e pregiudizialmente molti avversano per speculazioni elettorali, anteponendo l’egoismo di parte al bene comune.

Bloccare il necessario cambiamento avviato in questi ultimi anni nel nostro paese, rendendolo ostaggio di tatticismi politici, oltre a minarne il progresso civile e materiale lo espone alla marginalizzazione nei processi geopolitici, che vanno delineandosi dopo gli avvicendamenti alla guida degli Stati Uniti d’America, della Francia e del Regno Unito non aiuta l’Italia a normalizzare i rapporti tra i rappresentanti e i rappresentati, semplicemente ne mortifica lo sviluppo sociale e culturale. L’estensione della cittadinanza agli stranieri nati sul territorio italiano o ivi scolarizzati avvicinerebbe il diritto del nostro paese a quello in uso in Francia, in Germania e nel Regno Unito, per non scomodarsi ad alzare lo sguardo in altri continenti, anche se sull’argomento i 27 paesi dell’Unione europea dovrebbero compiere uno sforzo comune per armonizzare le legislazioni nazionali.

Ciò assicurerebbe più sicurezza nel continente e normalizzerebbe le procedure per affermare il rispetto del diritto e la libertà per tutti quei cittadini in movimento, in primis quelli europei che si spostano all’interno del vecchio continente. È su questo argomento, uno dei temi che ci riguarda da vicino e sul quale dagli anni ’70 del secolo scorso si continua sistematicamente a discutere anche in Svizzera, che si chiede al parlamento italiano e in particolare ai diciotto eletti nella circoscrizione estera una maggiore incisività politica. A loro, che sono portatori di specifiche esperienze, spetta un’assunzione di responsabilità per far affermare nella nostra legislazione nazionale un diritto, che gli italiani all’estero rivendicano per loro nei paesi di residenza, alla stregua di chi è nelle stesse condizioni per richiederlo in Italia.

A chi fa paura il riconoscimento del diritto di cittadinanza per chi è nato ed è cresciuto in Italia, si è scolarizzato ed ha acquisito la nostra cultura, il nostro modo di vivere ed è espressione di un successo d’integrazione sociale, civile, economica e non per ultimo sportiva? Qual è la discriminante o la misura per essere un buono o un cattivo cittadino? Può una legge, a priori, concedere la patente per conferire l’identità nazionale? Ovviamente queste domande ce le poniamo anche all’estero quando siamo confrontati con analoghi quesiti, che vorremmo assecondassero la dignità di uomini liberi, che auspicabilmente dovrebbero essere rispettati per le proprie qualità e debolezze all’interno della società d’accoglienza capace di interessarsi sia dei meno fortunati ma anche dei più meritevoli.

La situazione migratoria in cui è venuta a trovarsi l’Italia in questi ultimi lustri, diventata paese d’immigrazione dopo essere stata per secoli terra d’emigrazione, che è ripresa in maniera esponenziale negli ultimi anni, va affrontata con lungimiranza e con la consapevolezza di un grande grande paese, recuperando quello spirito di don Primo Mazzolari espresso in un suo commento alla parabola del figliol prodigo, “… viene spontaneo sollecitare il nostro paese alla necessità di aprirsi ai lontani e di abbandonare ogni atteggiamento da cittadella di paura e di contrapposizione polemica verso coloro che sono considerati estranei alla comunità italiana”.

Il civismo italiano va sostenuto con convinzione dentro la storia di oggi, riconoscendo lo spirito civile e religioso d’accoglienza manifestato a Lampedusa e nelle regioni costiere, nei vari comuni che ospitano i nuovi arrivati, assieme a quello espresso dalle ong e dalle organizzazioni del terzo settore. Assieme all’azione di governo che garantisce l’accoglienza e la sicurezza, impegnano tutti noi a sostenere una prospettiva di riforma per trasformare il nostro paese amandolo. Questi temi oltre a richiamare l’attenzione sui diritti fondamentali, chiedono il riconoscimento e l’applicazione delle convenzioni internazionali, chiedono ai singoli un impegno oggettivo a considerarli nella loro essenzialità, disgiunti e distinte dalle convinzioni ideologiche e politiche figlie di storie, che hanno lasciato alle spalle macerie e muri abbattuti dal grido di libertà. Riguardano tutti noi e impegnano ogni singolo.

Perciò, affrontata e risolta la norma del ius soli diventa impellente riportare nel dibattito pubblico il riconoscimento della cittadinanza dello ius sanguinis, che va affrontato con la stessa consapevolezza e con l’accortezza di riconoscere ai principi e al diritto legislativo la supremazia, che a volte viene sottratto dagli altri poteri. Nel nuovo mondo della libera circolazione dei servizi e delle merci, portare allo stesso livello normativo anche i diritti delle persone è inderogabile per preservare la pace e costruire il futuro.

Scheda. L’attuale disciplina: cittadinanza per “diritto” dopo i 18 anni

Al di là di alcune fattispecie particolari come ad esempio il caso di genitori ignoti o apolidi attualmente il cittadino straniero nato in Italia ha diritto alla cittadinanza una volta diventato maggiorenne a condizione che vi abbia risieduto fino a quel momento “legalmente e ininterrottamente” e dichiari entro un anno dal compimento dei 18 anni, di volerla acquisire. Fin qui per quel che riguarda il “diritto”. La cittadinanza può essere invece acquisita per matrimonio (purché in possesso di requisiti resi più stringenti dalle norme sulla sicurezza emanante in questi anni) oppure per naturalizzazione cioè concessa su domanda dell’interessato, a chi risiede in Italia da almeno 10 anni se cittadino extra Ue e quattro se europeo.

Le modifiche in parlamento: ius soli “temperato” e ius culturae

Il Ddl incardinato in aula introduce uno ius soli temperato con il diritto alla cittadinanza per i figli degli immigrati nati in Italia purché uno dei due genitori sia in possesso di permesso di soggiorno permanente (se extracomunitari) o di permesso di lungo periodo (se comunitari) e dunque sia residente nel nostro paese legalmente e in via continuativa da almeno 5 anni. Ma non solo. Può acquisire la cittadinanza (necessaria la dichiarazione di volontà) il minore nato da genitori stranieri oppure arrivato in Italia prima dei dodici anni quando abbia frequentato nel nostro paese un percorso formativo per almeno cinque anni. Potrà anche chiederla chi non ancora maggiorenne sia entrato in Italia, vi risieda da almeno sei anni e abbia frequento un ciclo scolastico (o un percorso di istruzione professionale) ottenendo un titolo di studio (o una qualifica).

In Francia cittadinanza per nascita differita alla maggiore età

Simile all’attuale modello italiano la disciplina della Francia anche se con maglie un po’ più larghe. Per gli stranieri non c’è ius soli: la semplice nascita sul territorio nazionale non ha infatti alcun effetto per l’attribuzione della cittadinanza che invece viene acquisita automaticamente al compimento della maggiore età se, a quella data, lo straniero ha la propria residenza in Francia o vi ha avuto la propria residenza abituale durante un periodo, continuo o discontinuo, di almeno cinque anni, dagli 11 anni in poi. Cittadinanza anche dopo quattro anni di matrimonio con un francese o per naturalizzazione dove il termine obbligatorio di residenza è dimezzato rispetto all’Italia: cinque anni che scendono a due se lo straniero che la richiede non abbia compiuto e ultimato due anni di studi in un’università francese o abbia reso importanti servizi allo Stato.

Dal 2000 tedeschi anche i nati da genitori stranieri

Lo ius soli è legge in Germania dal 2000. La cittadinanza tedesca dunque viene acquisita automaticamente dai figli di stranieri che nascono in Germania, purché almeno uno dei genitori risieda abitualmente e legalmente nel Paese da almeno otto anni (requisito più restrittivo rispetto ai cinque anni proposti dall’Italia) e goda del diritto di soggiorno a tempo indeterminato. I bambini che divengono cittadini tedeschi in base al principio del luogo di nascita acquisiscono contemporaneamente anche la nazionalità dei genitori. Quando diventano maggiorenni entro cinque anni – per il principio generale per cui non è ammessa la cittadinanza doppia o plurima – devono dichiarare la loro volontà di mantenere la nazionalità tedesca o quella del Paese d’origine dei genitori.

Ius soli pieno nel Regno Unito

Sono gli inglesi ad avere la forma più aperta di ius soli per gli stranieri: la cittadinanza spetta al minore nato sul territorio nazionale se uno dei genitori, cittadino non britannico, si sia stabilito nel Regno Unito, ovvero vi risieda a tempo indeterminato e senza soggiacere ai limiti temporali previsti dalla legislazione in materia di immigrazione (in precedenza collegati, di norma, al conseguimento di un permesso di lavoro). Ma anche se residente nel Paese nei dieci anni successivi alla nascita, mentre i tempi della residenza per la naturalizzazione (ossia su richiesta) ammontano a cinque anni.

Lo scrivente è il segretario generale del Cgie