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Tre parole e il macigno della Corte costituzionale per la politica del silenzio di Angela Merkel

Ci troviamo di fronte ad un bivio: da una parte sappiamo tutti, almeno quelli che non credono alle teorie complottiste oppure addirittura negano l’evidenza dell’esistenza di un virus, che la lotta contro la pandemia non può funzionare senza una limitazione della mobilità dei cittadini. Dall’altra parte, tuttavia, non possiamo neanche negare, che alcune misure non funzionano oppure sono addirittura obsolete e che, ahimè, appare sempre più evidente che la politica, anche in Germania, sembra conoscere soltanto una direzione: chiudere, limitare e sanzionare. Una direzione che, purtroppo, porta ad una perversione della funzione della politica stessa: quando – come sosteneva Norberto Bobbio – il fine della politica non è più quello di garantire più libertà possibili in un ambiente il più sicuro possibile, ma bensì il contrario – vale a dire: più sicurezza a costo di limitare quasi tutte le libertà – la democrazia, nella quale viviamo, rischia di trasformarsi da democrazia liberale in democrazia illiberale. E questo, anche se può non piacere ai medici, ai virologi e agli epidemiologi, va detto. Va detto non solo per dire qualcosa, ma per provare a ricostituire, pian piano, l’ordine democratico vigente prima della pandemia. E possiamo farlo: infatti, per ora, molte possibilità tecniche per ritornare alla normalità non vengono neanche prese in considerazione. Questo poteva andare bene ancora un anno fa, quando la politica doveva amministrare l’inizio di una pandemia inaspettata. Ma non può più andare bene oggi, quasi un anno e mezzo dopo.

Ecco, proprio questo pensiero hanno cercato di esprimere alcuni attori tedeschi in un’azione denominata #allesdichtmachen il 22 aprile scorso. Artisti come Urlich Tukur, Ulrike Folkerts, Volker Bruck, Wotan Wilke Möhring e, soprattutto, Jan Josef Liefers (l’ideatore) hanno pubblicato alcuni video-clip, nei quali – in modo ironico e sarcastico – hanno mosso indirettamente delle critiche alle restrizioni imposte dal governo federale con la cosiddetta Notbremse.

A sorprendere non sono tanto le reazioni all’iniziativa, reazioni che si muovono tra una profonda indignazione e una cieca approvazione, ma piuttosto con quale facilità, leggerezza, sì anche nonchalance, alcuni esponenti politici non solo hanno condannato gli attori di “cinismo”, ma hanno addirittura chiesto di radiarli dalla tv pubblica. Per non parlare delle reazioni nei social: su Twitter un vero e proprio shitstorm si è scagliato contro gli attori, accusati di aver gettato benzina sul fuoco, di aver accolto gli argomenti dei complottisti e del partito di estrema destra AfD. Come a dire: se ricevete applausi da parte loro, fate parte di loro. Anche per questo alcuni degli attori, che hanno partecipato all’azione di protesta, hanno fatto marcia indietro, scusandosi e giustificandosi di aver, assurdamente, detto ciò che pensavano.

Ed è proprio qui che arriviamo al nocciolo della questione: “una democrazia, nella quale non si discute, non si dibatte, non si accettano opinioni altrui” – come affermava l’ex cancelliere Helmut Schmidt – “non è una democrazia”. Alcuni dicono che agli attori non sia stato vietato nulla, né tantomeno di aver espresso la loro opinione: ma questo modo di argomentare è almeno altrettanto cinico come alcuni dei video-clip pubblicati da loro. Se chi esprime la propria opinione viene etichettato come “radicale”, “complottista”, “negazionista”, oppure addirittura minacciato di perdere il suo posto di lavoro all’interno della società, non è – appunto – per niente libero di esprimerla. La libertà di opinione presuppone un certo rispetto, senza il quale una cultura del dibattito non può esistere. “Mettersi nei panni degli altri”, appunto, vuol dire accettare l’idea che chi ha un’altra opinione potrebbe avere ragione – almeno dal suo punto di vista.

A mettere fine a tutta questa vicenda, potrebbe essere l’imminente e attesissima sentenza della Corte Costituzionale di Karlsruhe, che dopo i numerosissimi ricorsi presentati da parte di alcuni esponenti politici, partiti e movimenti apartitici contro la cosiddetta Notbremse, dovrà esprimersi a riguardo. Cosa è successo? La Notbremse, che in tempi record è stata approvata dal parlamento e dal Bundesrat, ha reso uniforme in tutta la Germania la strategia di azione per contrastare l’aumento dei contagi, in presenza di fattori che sono stati predefiniti. Verrà azionata automaticamente ogni qual volta in una data regione si registrano, per tre giorni di seguito, incidenze settimanali che superano 100 nuovi contagi (per 100 mila abitanti). Nella regione che supera questa soglia, i negozi, tutte le strutture per il tempo libero e altre attività, verranno chiusi. Inoltre viene attuato un coprifuoco che va dalle 22 alle 5. A partire da un’incidenza di 165 in poi, chiuderanno anche scuole e asili nido. La Notbremse rimarrà in vigore fino al 30 giugno, almeno che la Corte Costituzionale, per l’appunto, magari in vista delle vaccinazioni (ormai quasi il 30 per cento della popolazione tedesca ha fatto il vaccino almeno una volta) e dell’insicuro fattore decisionale relativo all’incidenza (insicuro perché dipende dalla quantità di test che vengono fatti), potrebbe dichiararla anti-costituzionale. A quel punto le carte in tavole cambierebbero: una sentenza della Corte Costituzionale che boccerebbe le misure del governo, potrebbe addirittura mettere in crisi l’esecutivo stesso, causando una rottura della coalizione rosso-nera.

La Corte Costituzionale, del resto, non di rado ha messo in subbuglio la politica: basta pensare alla recente sentenza relativa al Klimaschutzgesetz, la legge sulla protezione dell’ambiente, che è stata dichiarata parzialmente anti-costituzionale. E i giudici di Karlsruhe si sono espressi in favore ad alcune associazioni ecologiste, tra cui i Fridays for Future, che chiedevano regole più stringenti per contenere il riscaldamento globale entro 1,5 gradi. La motivazione della Corte è interessante: la legge attuale rischia di “compromettere la libertà” delle generazioni future perché sposta a dopo il 2030 l’onere maggiore nel taglio delle emissioni di anidride carbonica. Come a dire: la politica deve gestire, amministrare e non limitarsi a spostare il problema a domano o dopodomani.

E la Merkel? Anche in questa fase difficilissima, la cancelliera preferisce il silenzio piuttosto di prendere posizione. Sicuramente la Merkel non è conosciuta per la sua presenza nei media. Fin dall’inizio della sua carica, la Kanzlerin ha adottato la strategia della presenza cum grano salis. Ma mai come ora la sua voce manca. Mai come ora la società tedesca ha bisogno di un appello. Quelle rarissime uscite da parte della Merkel non sono state, finora, sufficienti a calmierare le acque. Anzi, sembra che il suo silenzio provochi il malcontento anche all’interno del suo partito stesso. E anche se adesso il candidato alla cancelleria della Cdu/Csu è stato finalmente eletto (sarà Armin Laschet, leader della Cdu nel Nordreno-Vestfalia), il silenzio della Merkel contribuisce a scalfire anche l’ultimo buonumore dell’elettorato. Un silenzio che paradossalmente potrebbe, purtroppo, catapultarci in un brutto risveglio dopo aver appreso l’esito elettorale delle politiche che si terranno a settembre.

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