Foto di Steven Weirather da Pixabay

L’esperienza italiana e quella tedesca a confronto

Aprile 2020. Una luce azzurrina arriva dalla camera dei ragazzi. Siedono al computer, ma i genitori non si arrabbiano, anzi passano davanti alla porta in religioso silenzio per non disturbare. I bambini stanno facendo Homeschooling.

Homeschooling: una delle tante espressioni (insieme a lockdown, smart working, home office ecc.) a cui la convivenza col Covid 19 ci ha abituato. A questa espressione ci si riferisce sempre più di frequente. In Italia, l’inizio della cosiddetta seconda ondata ha mandato quasi subito gli studenti delle superiori in homeschooling, malgrado i buoni propositi di scuola “vera” espressi a livello ministeriale. Anche nel resto d’Europa si tenta o si è tentato di salvare la scuola dalle chiusure che, decreto dopo decreto, stanno blindando il nostro continente.

Ma ancora per quanto i buoni propositi di tenere le scuole aperte potranno essere mantenuti? Diversi lockdown parziali o totali si affacciano alla ribalta del mondo in pandemia ed ecco che la famosa espressione rientra in gioco: Homeschooling.

Peccato però che ad un’unica espressione non corrisponda un significato unico. Per chi, come me, vive in Germania, ma ha ancora contatti molto significativi con l’Italia, da subito la discrepanza tra la prassi italiana e quella tedesca è saltata all’occhio. Sarà che gli Italiani nell’emergenza danno il meglio di sé in creatività e capacità di trovare soluzioni (è sulla durata che poi perdono terreno…), sta di fatto che in questo frangente l’Italia batte la Germania 3 a 0.

Per tutti coloro che non hanno avuto modo di seguire di prima mano la questione scolastica, faccio un paio di esempi veri, direttamente tratti dalla mia parentela.

Cos’è l’Homeschooling per Tommaso, che ha 15 anni e vive in Italia?

“Mi alzo come se dovessi andare a scuola, ma non così presto, le 7.30 sono sufficienti per potermi presentare alle 8 lavato e vestito davanti al computer per la videolezione. Lì incontro l’insegnante della prima ora e i miei compagni. Le lezioni si svolgono come se si fosse a scuola, solo che sono un po’ più brevi. Verso le 13.00 abbiamo finito. Se c’è differenza con la scuola in presenza? Secondo me non tanta. Io ascolto, prendo appunti, faccio domande… Al pomeriggio faccio i compiti, che ci vengono assegnati attraverso la piattaforma della scuola e lì consegno ciò che ho fatto e che verrà controllato e corretto dai prof. Educazione fisica? Sì – ridacchia Tommaso – perfino quella si fa in videolezione! In questo momento stiamo trattando il tema “cuore e pressione sanguigna, che succede quando sono sotto sforzo”.”

E com’è (o meglio, com’è stato nella primavera scorsa) l’Homeschooling per Andreas, 14 anni, bavarese?

“Mi sveglio con tutta calma, ascolto musica, chatto coi miei amici, magari esco con mia madre se il tempo è bello. Guardo sulla piattaforma della scuola i compiti che gli insegnanti ci hanno assegnato. Li faccio nel pomeriggio. Per fortuna sono veloce e ho ancora molto tempo a disposizione per fare ciò che voglio. No, gli insegnanti non si sono mai fatti vivi se non sulla piattaforma scolastica con compiti e messaggi scritti, mai parlato con loro, mai visti in faccia. Se non capisco qualcosa? Beh, chiedo ai miei genitori o guardo su internet o chiedo al mio amico Samuel, che è più bravo di me. Se conosco qualcuno che ha fatto fatica con l’Homeschooling? Il mio compagno Leonhard, che col latino non ci ha capito più niente e adesso ripete l’anno.”

Jonas ha fatto la prima elementare a Ratisbona. Con il lockdown suo padre è rimasto a casa, decurtando le proprie ore lavorative, per portare avanti insieme al figlio il programma scolastico. E si prepara a ripetere l’exploit anche per la seconda classe…

L’italiano e il tedesco, due modelli di scuola nella pandemia diametralmente opposti, dunque, che solo in apparenza indicano la stessa cosa, “fare scuola a casa”. La differenza sta nel soggetto: chi fa scuola a casa in Italia sono gli insegnanti, che con le videolezioni spiegano, dialogano, ripetono.

E in Germania chi è che fa “scuola a casa”? L’allievo. Che praticamente studia da autodidatta secondo le direttive ricevute per iscritto dagli insegnanti. Gli adulti di riferimento diventano i genitori. E ci sono famiglie che possono e sono in grado di insegnare ai propri figli. E famiglie che non possono e/o non sono in grado di insegnare ai propri figli. Anche se non trovo ancora dati oggettivi in proposito, la sensazione è che gli allievi socio-culturalmente più deboli siano quelli che hanno pagato, pagano e pagheranno il prezzo più alto di questo “silenzio della scuola”.

Mi si obietterà che gli insegnanti nell’Homeschooling tedesco non sono assenti: essi preparano materiali, li inviano, correggono gli elaborati. È così infatti. Fa parte del loro lavoro. Ma c’è una terza competenza che completa il quadro professionale di un insegnante: insegnare. Cioè spiegare, riformulare, trovare le parole, i gesti per trasmettere il suo sapere, ma anche la sua empatia, la sua passione.

Cos’è successo? Dov’è finita la mitica efficienza teutonica? E com’è stato possibile per l’Italia, paese di certo non all’avanguardia in campo tecnologico, raggiungere con tanta rapidità uno standard così alto?

Ne parliamo con Marinella Toncich, cinquant’anni, insegnante elementare a Trieste, in un agglomerato periferico di edilizia popolare con pesanti problematiche socio-economiche. “Nel marzo scorso, dopo le prime due settimane di incertezza (ma molti insegnanti già in modo spontaneo e volontario si arrabattavano nelle prime lezioni a distanza) il ministero dell’educazione ha emesso un primo decreto legislativo che presentava la modalità della videolezione (definita “lezione sincrona”) come unica possibile alternativa alla didattica in presenza. Dal ministero sono arrivati con tempestività finanziamenti alle scuole per acquistare e distribuire alle famiglie tablet, portatili e chiavette internet. Che sono stati consegnati di casa in casa dalla protezione civile. Contemporaneamente sono stati attivati corsi di formazione alla didattica a distanza per noi insegnanti e un collega esperto ha fatto da consulente tecnico alle famiglie. La settimana prima di Pasqua, inizio aprile dunque, abbiamo cominciato con le videolezioni. Noi siamo arrivati relativamente tardi, visto che molte famiglie avevano avuto bisogno di essere supportate. Altre scuole con un’utenza più abbiente hanno cominciato anche prima. Io avevo una quarta classe. Abbiamo organizzato le lezioni a gruppi di mezza classe alla volta, due ore per tre giorni alla settimana, nelle materie più importanti, italiano, matematica, storia, geografia e inglese. I bambini erano contentissimi, la possibilità di ricreare una situazione di vicinanza simile alla classe in quel momento è stata preziosa. Il freddo invio di materiali sulla piattaforma, che pure integrava le lezioni a distanza, non sarebbe stato sufficiente. Certo, per chi lavora con bambini piccoli non è stato facile inventare una didattica idonea, i piccoli hanno bisogno di concretezza. Devo dire che è stato fatto un enorme sforzo creativo per poter rendere le lezioni interessanti ed efficaci. Da qualche settimana il governo ha emanato un decreto che, alla luce dell’esperienza ed in previsione di chiusure (anche la quarantena di una classe viene trattata con la videolezione) mette ordine alla didattica a distanza, indicando con chiarezza durate orarie, minimi per ciascuna materia, lezioni in streaming per classi divise, modalità, possibilità eccetera. La stampa italiana pare che si fermi alla storia dei banchi monouso, ma chi la scuola la vive e non la usa a scopo partitico sa quanto lavoro e quanta energia sia stata messa in campo. Abbiamo fatto tutti enormi sforzi, ma credo che nell’emergenza scolastica l’Italia abbia dato una riposta più che egregia.”

La scuola bavarese (quella che io conosco direttamente) all’apertura a settembre ha certamente implementato forniture tecniche, ha migliorato la piattaforma Mebis dopo il clamoroso black out delle prime settimane ed ha anche tirato fuori dal cappello una piattaforma idonea alle videolezioni. Non mi consta però che abbia formato i docenti alle nuove forme di didattica e ancor meno che abbia emanato una legge applicativa per l’obbligo della didattica in videoconferenza, come in Italia. Dove, lo abbiamo visto, con l’ultimo decreto ministeriale nulla è lasciato all’improvvisazione. Che invece, ironia della sorte, pare che qui regni sovrana. Perché le videolezioni si possono fare e qualche insegnante pure le fa, ad esempio in alcuni casi di classi in quarantena, così come qualche preside avveniristico e coraggioso si prepara con buona volontà ad offrire ai propri allievi qualcosa di più che i compiti per casa. Ma si tratta di casi sporadici: i sistemi scuola tedeschi nella loro totalità non hanno saputo rivedere alla luce della nuova emergenza globale priorità e metodi. E non sono pronti ad affrontare le chiusure che verranno.

Insomma, di fronte alle inadempienze dei sistemi scolastici tedeschi a noi italiani all’estero, sempre pronti a deprecare le manchevolezze della madrepatria e a decantare le tante eccellenze della nuova patria teutonica, non resta che scuotere il capo con una sorta di sbigottimento. In tema “scuola” l’Italia è avanti anni luce rispetto alla Germania, il mondo alla rovescia.

Sarà anche questo colpa del Covid?

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