Nella foto: Bandiere. Foto di ©Daniele Messina

Diktat culturale da Bruxelles?

La notizia sembra incredibile, ma purtroppo è proprio vera. Il quotidiano italiano Il Giornale ha pubblicato un documento interno della Commissione Europea intitolato #UnionOfEquality. European Commission Guidelines for Inclusive Communication” in cui sono elencate minuziosamente delle regole censorie da adottare per la comunicazione ufficiale. Si noti però che si tratta di un regolamento interno valido solo per chi lavora per conto dell’EU, e non di un’iniziativa legislativa valida per il mezzo miliardo dei cittadini europei. Ciò malgrado è inquietante vedere come le balordaggini del political correct si siano infiltrare nei posti più in alto. E non si può escludere che esso dia il malo esempio a molte altre istituzioni pubbliche e private. Il presupposto di partenza è inattaccabile: “Dobbiamo offrire una comunicazione inclusiva” propugna il Commissario dell’Uguaglianza, la maltese Helena Dalli, “garantendo così che tutti siano apprezzati e riconosciuti in tutto il nostro materiale indipendentemente dal sesso, razza o origine etnica, religione o credo, disabilità, età o orientamento sessuale”. Il punto di arrivo è quanto mai degno di critica: infatti la decisione della Commissione è stata attaccata duramente da destra e da sinistra.

Purtroppo quello che si svolge a Bruxelles è solo una battaglia in una guerra, detta “War on Christmas” cominciata già da anni negli Stati Uniti. Quando, un tempo lontano, sui banchi di scuola leggevamo l’Iliade di Omero, incontravamo ogni tanto dei versi censurati e sostituiti da puntini perché vi si parlava di rapporti omosessuali fra i prodi guerrieri achei. Oggi non sono più tabù; però al loro posto si parla di censurare i versi di Shakespeare, ad es. quando Amleto commenta amaramente: “Fragilità, il tuo nome è donna”. Quale orrenda offesa al gentil sesso! Infatti, quando si tratta di scegliere delle immagini per accompagnare la comunicazione, il documento dell’EU proibisce che “le donne e le ragazze non siano rappresentate in un ambiente domestico o in ruoli passivi, mentre gli uomini sono attivi e avventurosi”.

Il principio di base dell’ideologia inclusivista, di cui è portatrice Helena Dalli, prevede di evitare qualsiasi espressione verbale precisa rifugiandosi nel più generico possibile: non si deve dire, ad esempio, che “il fuoco è la più grande scoperta dell’uomo” bensì che “il fuoco è la più grande scoperta dell’umanità” perché non sappiamo se in realtà a scoprirlo sia stata una donna. Potrebbe darsi, ma questo non è essenziale: si tratta di non privilegiare il sesso maschile. Dovremmo dunque dire “l’uomo*donna di Neanderthal”? Però bisogna fare attenzione “a non menzionare sempre prima lo stesso sesso nell’ordine delle parole”: quindi, secondo Mrs. Dalli, dovremo badar bene ad alternarlo con “donna*uomo di Neanderthal”. Però anche l’uso degli appellativi “Mr.” e “Mrs.” come di “signore e signori” è proibito nei palazzi di Bruxelles perché ci sono anche quelli che non si sentono appartenenti a nessuna delle due categorie, e si sentirebbero esclusi. È pure vietato l’uso del pronome maschile come pronome predefinito. Fortunati i tedeschi, che hanno il genere neutro, ad es. “Es regnet”; ma come faranno i francesi che hanno sempre detto “il pleut”? Lo dovranno trasformare in “elle pleut”?

In base alle stesse direttive bisogna scristianizzare anche i nomi delle feste più cristiane, perché augurare per pura gentilezza formale il “Buon Natale” a un musulmano potrebbe procurargli uno shock psicologico talmente grave da impedirne l’integrazione. Ergo: bisogna augurare ufficialmente “Buone vacanze invernali”. Vero è che la nascita di Gesù, Jesus o Issah per i musulmani, viene celebrata anche nel Corano, dove si racconta che quando Maria fu colta dalle doglie, si rifugiò sotto un albero di datteri, e che la pianta spontaneamente incurvò su di lei i suoi rami carichi di frutti per permetterle di addolcire le sue sofferenze. Ora, a voler essere davvero inclusivi, non sarebbe meglio aggiungere nel presepe un albero di datteri vicino a Maria, invece di eliminare il presepe? Ma tant’è, per essere inclusivi secondo la EU bisogna escludere le tradizioni cristiane, anche le più popolari. Ed è anche vero che nel paradiso multietnico Singapore, invece, le festività natalizie sono celebrate esplicitamente con “Merry Christmas” e luminarie di ogni tipo lungo la Orchard Road, che ne è il lussuoso corso principale, benché la popolazione cristiana, residuo dell’epoca coloniale, sia un’esigua minoranza rispetto ai cinesi, agli indù, ai malesi ed ai musulmani. A proposito, bisogna escludere accuratamente dal linguaggio anche alcuni verbi che possano eventualmente offendere la suscettibilità di qualche immigrato africano, ostacolandone psicologicamente l’integrazione, ad es. “colonizzare”. Così invece di discutere su come colonizzare il pianeta disabitato Marte, bisogna invece parlare di “insediamento umano su Marte”. Quindi sarebbe auspicabile rivedere secondo tali direttive anche qualche testo letterario ancora più scandaloso dell’Amante di Lady Chatterley, Manzoni, ad esempio: “Al pio colono augurio / d’un più sereno dì” (dal secondo coro dell’Adelchi). Ma perfino la parola “cittadino” va rigorosamente censurata, perché nell’EU vivono anche delle persone apolidi e degli immigrati clandestini che si sentirebbero esclusi se non la si escludesse. Qui ci sembra veramente grave che l’Unione Europea, che tanto s’impunta sugli stati di diritto, voglia escludere la cittadinanza dalla sua comunicazione ufficiale. Anche lo stato di famiglia deve essere il più inclusivo possibile, e perciò bisogna rigorosamente escludere tutte le qualifiche familiari come “sposato”, “celibe”, “single”… Da nessuna lingua del mondo, tranne quella inclusionista, sono escluse le parole “madre” e “padre”.

Tabù sono tutti i nomi spiccatamente cristiani, come ad es. Maria o Giovanni. Ma qui stai fresco, a escludere da un normale testo europeo tutti i nomi marcatamente cristiani da Natalino*a a Pasqualino*a, Palmiro*a, per non dire delle varie Concetta*o, Carmela*o, Dolores e perfino Carmen (Bizet, addio!). E chi lo sa, se per caso Giovanni (Juan in spagnolo, Jean in francese, John in inglese) in ungherese si dice Istvan? Non si capisce però perché dalle direttive ufficiali non vengano pure esclusi d’autorità i nomi spiccatamente islamici, come Mohammed, Mehmet o Mahmud. Forse perché i cittadini di fede musulmana sono molto più pronti di quelli cristiani ad atteggiarsi a offesi? Secondo l’aurea regola: “È meglio evitare le grane… “. Allora, se le chiese cristiane cominciassero a strillare con tutta forza come i mullah, a Bruxelles ci penserebbero due volte prima di escludere dal vocabolario le feste cristiane. E ci domandiamo: se vengono ufficialmente permessi da Bruxelles i nomi di tradizione romana, come Giulio (Julius), Marco (Marcus), Sabina, ecc. questo è merito del fatto che i villaggi gallici di Asterix e Obelix non possono sollevarsi a protestare? A proposito di nomi proibiti, c’è un celebre aneddoto riguardante l’attrice svedese Zarah Leander, grande diva del cinema nazista: una volta sedendo accanto a Josef Göbbels, ministro della cultura del Reich, durante un ricevimento, costui le si rivolse in tono scherzosamente provocatorio: “Ma lo sa, signora Leander, che il suo nome è di origine ebrea?”. E l’attrice, senza scomporsi, rispose: “E Lei lo sa, Doktor Göbbels, che anche il suo nome è ebreo?”. Al che il gerarca nazista rimase confuso e rispose che sì, ma non ci aveva mai pensato.

Anche il Vaticano si è pronunciato per bocca del Cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin (praticamente il Nr. 2 dopo il Papa), che in un’intervista pubblicata su Vatican News, ha detto essere quella la via sbagliata nella giusta lotta contro le discriminazioni, di evitare parole come Maria o Natale: “Perché alla fine si rischia di distruggere, annientare la persona, in due direzioni principali. La prima, quella della differenziazione che caratterizza il nuovo mondo, la tendenza è purtroppo di omologare tutto, non sapendo invece rispettare le giuste differenze, che naturalmente non devono diventare contrapposizione o fonte di discriminazione, ma devono integrarsi proprio per costruire una umanità piena e integrale. La seconda: la dimenticanza di ciò che è una realtà. E chi va contro la realtà si mette in serio pericolo. E poi c’è la cancellazione di quelle che sono le nostre radici, soprattutto per quanto riguarda le feste cristiane, la dimensione cristiana anche della nostra Europa.”

Dopo questa valanga di critiche la signora Dalli ha pensato bene di fare un passo indietro ed ha annunciato di ritirare il suo lavoro: “L’iniziativa delle linee guida aveva lo scopo d’illustrare la diversità della cultura europea e di mostrare la natura inclusiva della Commissione” ha dichiarato, “Tuttavia la versione pubblicata delle linee guida non è funzionale a questo scopo. Non è un documento maturo e non va incontro ai nostri standard qualitativi. Quindi lo ritiro e lavoreremo ancora su questo documento”. Alla buon’ora, e speriamo bene.

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