Le scelte dei tedeschi condizionate da incertezze e timori legati agli scenari globali più che nazionali. Il lascito di Angela Merkel

A tre settimane dalle elezioni politiche per il rinnovo del Bundestag, il parlamento tedesco, l’atteggiamento degli elettori appare caratterizzato da una frustrante consapevolezza: il prossimo cancelliere (o cancelliera), indipendentemente dalla persona che assumerà questa carica e, allo stesso modo, la prossima coalizione di governo, indipendentemente dai partiti che ne faranno parte, non potranno fare molto di fronte ai grandi problemi che caratterizzano i tempi attuali. Questa affermazione è tanto più vera, e ancor più amara, se si considera che essa vale per ogni governo, degno di questo nome, non solo in Europa, ma a livello globale. Gli avvenimenti di queste ultime settimane rappresentano uno spaccato assai poco lusinghiero della situazione con cui i futuri governanti tedeschi dovranno cimentarsi e che, in estrema sintesi, è riconducibile a tre categorie solo apparentemente distanti e distinte: la pandemia, il disastro ambientale, la guerra e il terrorismo internazionale.

Cominciamo da quest’ultimo

Esattamente vent’anni fa, l’11 settembre 2001, il mondo assistette incredulo e sgomento all’abbattimento delle Twin Towers a New York. A colpire le torri, con due aeroplani dirottati, fu un gruppo di terroristi di Al-Qaida, movimento fondamentalista guidato da Bin Laden, nato alla fine degli anni ’80 in Afganistan durante l’invasione sovietica. La reazione degli Stati Uniti la conosciamo. Vent’anni di guerra hanno accentuato la destabilizzazione di una vasta area geografica in una spirale di morte e di violenza. La conseguenza sono stati i flussi migratori e il terrorismo internazionale di matrice islamica. Dal 15 agosto scorso i talebani sono nuovamente al potere. Il 26 agosto un attentato compiuto da frange dell’Isis, il famigerato Stato islamico (ora in contrasto con gli stessi talebani), ha ucciso decine di civili afgani e tredici soldati americani. La vendetta annunciata da Joe Biden non si è fatta attendere. Poche ore dopo un missile lanciato da un drone ha ucciso due leader del gruppo terroristico. Tutto ciò lascia attoniti. Possibile che il presidente americano pronunci pubblicamente parole di vendetta e non si renda conto che ciò è esattamente quello che desiderano i terroristi per mettere in atto nuovi attentati e alimentare la loro propaganda?

Passiamo alla catastrofe ambientale causata dal cambiamento climatico

L’ultimo rapporto dell’IPCC, pannello intergovernativo ONU, ha affermato che la velocità del cambiamento è maggiore di quanto finora ipotizzato. Le terrificanti ricadute sull’ambiente le abbiamo viste in diretta: da una parte gli incendi, dall’altra le alluvioni. Quest’ultime hanno profondamente colpito il territorio tedesco, con oltre 180 vittime e danni per miliardi di euro. Impressionanti le scene di devastazione. Tra esse, emblematiche quelle del fiume Inde, nella Renania Settentrionale-Vestfalia, che si è ripreso prepotentemente il suo corso nel suo letto naturale dopo essere stato deviato, nel 2005, per scavare una miniera.

Infine la pandemia, conseguenza anche essa dell’intrusione antropica

La sciagurata tendenza a defraudare gli animali del loro habitat naturale ha creato un perverso corto circuito biologico con la specie umana. La proliferazione delle varianti del virus e la loro aumentata capacità di infettare le persone richiederà un continuo aggiornamento dei vaccini e delle dosi da somministrare, con notevoli ricadute sul piano sociale ed economico. A pagare il prezzo più alto saranno i più deboli e ciò varrà sia a livello di individui che di nazioni.

Le tre categorie suddette hanno, abbiamo detto, una portata che trascende la capacità dei singoli Stati di porvi rimedio. La loro politica potrà essere incisiva soltanto nel quadro di una strategia condivisa a livello globale. Ciò richiederebbe un radicale rafforzamento delle Nazioni Unite e del mandato a loro affidato. Perché questo succeda le grandi potenze dovrebbero rinunciare al loro ruolo dominante. Vedremo cosa diranno al prossimo G20 a presidenza italiana.

Torniamo alla Germania

Di fronte a questa situazione, tutte le valutazioni riguardanti i singoli candidati, i relativi partiti, i sondaggi e le previsioni di successo o di insuccesso lasciano il tempo che trovano. Una cosa è certa: l’uscita di scena di Angela Merkel dopo sedici anni di governo in cui ha profuso un lavoro intenso e scevro da atteggiamenti autoreferenziali (e già solo per questo meritevole di lode). Quando nel 2011 ci fu la catastrofe di Fukushima fu lei a decidere di smantellare le centrali nucleari tedesche entro il 2022. Con la sua frase “wir schaffen das” la cancelliera nel 2015 prese un’altra decisione difficile e coraggiosa. Aprì le frontiere a oltre un milione di profughi siriani, iracheni e afgani. Quella decisione aprì un dibattito acceso nella società tedesca e non solo. Oggi che la questione dell’accoglienza agli afgani è tornata di attualità comprendiamo quanto la solidarietà debba essere un valore fondante della convivenza sociale in Europa.

Ci vorranno anni per valutare i risultati della politica di Angela Merkel e comprenderne il lascito. A ciò servirà il contributo degli storici più che dei giornalisti. Nell’immediato, in un’Europa caratterizzata dalla scomparsa dei partiti politici tradizionali, la scena politica tedesca ripropone i suoi partiti storicamente più forti e tre candidati alla cancelleria. Ne abbiamo parlato nel numero di maggio del nostro giornale. La questione di fondo è se nell’elettorato ci siano le motivazioni e la volontà per creare discontinuità rispetto al passato. Se ciò avverrà, l’Unione CDU-CSU e Armin Laschet ne faranno le spese mentre i Verdi e Annalena Baerbock potrebbero trarne vantaggio. Con Olaf Scholz i socialisti della SPD hanno ritrovato una vitalità che sembrava definitivamente perduta. L’attuale ministro delle finanze ha mostrato di possedere una calma e una lucidità che sta piacendo al grande pubblico. Vedremo quanto peseranno sul voto finale. Vedremo, soprattutto, se la coalizione che uscirà dalle urne avrà la capacità di trovare un accordo su un programma politico duraturo e se questo sarà in grado di influenzale positivamente la politica europea e, aggiungiamo, mondiale sulle grandi questioni che attanagliano l’umanità.

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